
La teoria della catastrofe di Toba sostiene che, circa 74.000 anni fa, il vulcano Toba (conosciuto anche in ambito giornalistico come "supervulcano") in Indonesia fu protagonista della più devastante eruzione mai vissuta dall'umanità. Gli effetti di questo estremo evento eruttivo sugli esseri umani non sono ancora completamente chiariti. Secondo il modello più noto, il mondo avrebbe subito un prolungato "inverno vulcanico", ovvero un drastico sconvolgimento del clima su scala globale caratterizzato da un significativo abbassamento delle temperature. Questo avrebbe potuto contribuire alla creazione di un “collo di di bottiglia” per la riduzione della popolazione umana e della sua diversità genetica. Tuttavia, recenti ritrovamenti archeologici mettono in discussione questa teoria, suggerendo che i nostri antenati potrebbero essersi adattati rapidamente alle nuove condizioni climatiche e migrati verso aree più calde.
L'eruzione del vulcano Toba
Il vulcano Toba si trova nell’attuale isola di Sumatra, in Indonesia. La sua caldera, lunga circa 100 km e oggi occupata dal lago Toba, è stata prodotta dal collasso dell’edificio vulcanico a seguito di una serie di eruzioni esplosive di grande intensità susseguitesi negli ultimi 1,2 milioni di anni. La più recente, risalente a circa 74.000 anni fa, è conosciuta come la più grande supereruzione del periodo Quaternario. Gli esperti stimano che siano stati emessi oltre 5300 km³ di materiale piroclastico e attribuiscono al vulcano Toba un indice di esplosività VEI pari a 8. Per comprendere le dimensioni di tale evento, basti pensare che la famosa eruzione del Monte St. Helens nel 1980, negli Stati Uniti d'America, una delle più grandi di questo secolo con un indice VEI pari a 5, ha prodotto circa 2,8 km³ di materiale.

Le conseguenze per il clima e per la vita
La storia geologica della Terra ci ha insegnato che le supereruzioni possono avere effetti devastanti sui cicli naturali terrestri. Secondo la teoria più accreditata, anche l’eruzione del Monte Toba avrebbe stravolto completamente l’equilibrio climatico globale, con effetti catastrofici sulla vita sul pianeta.
Gli ingenti volumi di cenere vulcanica, superiori a 2.800 km³, e gas, specialmente anidride solforosa, immessi in atmosfera avrebbero innescato un prolungato “inverno vulcanico”, ovvero un repentino abbassamento delle temperature su scala globale. Si stima che un mantello di ceneri in atmosfera avrebbe ricoperto un’area superiore a 10 milioni di km², oscurando il pianeta e riducendo la visibilità per diversi mesi. Per diversi anni, i gas di zolfo nella stratosfera avrebbero agito come una superficie riflettente, riflettendo la radiazione solare e riducendo drasticamente la quantità di calore che raggiungeva la superficie terrestre.
Di conseguenza, le temperature sarebbero precipitate e diverse regioni del pianeta avrebbero sperimentato condizioni climatiche atipiche. I modelli climatici indicano una riduzione della temperatura di circa 10 gradi nell’emisfero boreale nel primo anno successivo all’eruzione, mentre evidenze rinvenute all’interno di carote di ghiaccio mostrano temperature tra 3 e 5 gradi inferiori alla norma nei 10 anni successivi all’evento vulcanico.

I cambiamenti climatici avrebbero poi avuto un impatto significativo sulla vita, causando quella che molti esperti definiscono la "quasi estinzione del genere umano". Dati genetici, infatti, indicano che gli esseri umani moderni derivano da una piccola popolazione, comprendente poche migliaia di individui, che ha subito una riduzione significativa tra 100.000 e 50.000 anni fa. Nel 1998, l’antropologo statunitense Stanley H. Ambrose ha formulato la teoria del collo di bottiglia, secondo la quale la supereruzione del vulcano Toba avrebbe avuto grosse ripercussioni sull’evoluzione della specie umana, riducendo drasticamente il numero di individui e la diversità.
Evidenze contrastanti sull'impatto dell'eruzione
Gli effetti dell’eruzione del vulcano Toba sull’evoluzione e sopravvivenza dei nostri antenati non sono ancora del tutto chiari e diversi studi recenti hanno messo in discussione la teoria della quasi estinzione. In uno studio pubblicato nel 2020 sulla rivista scientifica Nature Communications, viene documentato il ritrovamento della stessa tipologia di utensili nel sito archeologico di Dhaba, nello stato del Madhya Pradesh, in un periodo compreso tra 80.000 e 65.000 anni fa. Questa scoperta supporta l'ipotesi che la popolazione locale non sia stata significativamente influenzata dall'eruzione del Toba, poiché, in caso contrario, si sarebbe verosimilmente assistito a una sostanziale reset nello sviluppo tecnologico.

Alcuni studi paleoclimatici indicano che gli effetti non siano stati uniformi su scala globale, mostrando differenze significative a livello regionale e emisferico. Ad esempio, alcune regioni del Sud Africa e dell’India avrebbero registrato cambiamenti climatici minimi, quasi impercettibili. Ritrovamenti archeologici in Sud Africa supportano questi modelli, suggerendo una continuità nella vita delle popolazioni locali, senza evidenze di impatti significativi sulla loro quotidianità.
Al contrario, uno studio pubblicato nel marzo 2024 su Nature rivela che gli ominidi noti come Shifa-Metema, residenti nel nord-ovest dell’Etiopia, hanno modificato il loro stile di vita per adattarsi alle avverse condizioni climatiche, in particolare a stagioni aride dovute ai cambiamenti climatici scatenati dalla supereruzione. Hanno ad esempio variato la loro dieta, consumando più pesce, reso più accessibile dalle pozze d’acqua formatesi dal prosciugamento del fiume Shinfa durante la stagione secca. I cambiamenti climatici avrebbero inoltre incentivato la dispersione e migrazione umana.