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29 Dicembre 2022
18:30

I manichini di Artemis 1 della NASA stanno tornando al Kennedy Space Center

I tre manichini che hanno viaggiato con Artemis 1, Campos, Helga e Zohar, stanno ora tornando a Cape Canaveral dove verranno analizzati. I dati serviranno per garantire la protezione degli astronauti per la missione Artemis 2.

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I manichini di Artemis 1 della NASA stanno tornando al Kennedy Space Center
orion manichini
Credit: NASA/Lockheed Martin/DLR

Con il termine della missione Artemis 1, ammarata nell'Oceano Pacifico l'11 dicembre, anche il finto equipaggio di manichini è rientrato sulla Terra. Dopo il ritorno della prima missione del programma Artemis la NASA non è certo rimasta con le mani in mano in attesa della prossima missione lunare, anzi, Artemis 2 sarà in tutto e per tutto figlia di Artemis 1. Questo significa che tantissimi dettagli della sua progettazione dipendono in realtà dalla mole di dati raccolti durante Artemis 1.
E siccome la prossima missione Artemis sarà la prima a trasportare esseri umani in carne e ossa, uno degli aspetti più importanti di Artemis 2 sarà proprio assicurarsi l'opportuna protezione degli astronauti dalle insidie dello spazio.
Ecco perché la capsula Orion di Artemis 1 ospitava ben tre manichini: Campos, Helga e Zohar. Andiamo a conoscerli insieme e capiamo che ruolo hanno avuto in questa prima missione per il ritorno dell'uomo sulla Luna.

Perché sono stati usati dei manichini per la missione Artemis 1?

Uno dei problemi principali che deve affrontare un essere umano durante una missione spaziale sono le radiazioni cosmiche che attraversano lo spazio. Non parliamo di radiazioni elettromagnetiche, cioè luce, ma di particelle cariche (protoni, elettroni e nuclei atomici) altamente energetiche prodotte dal Sole e da corpi celesti più lontani. Qui sulla Terra siamo protetti dallo “scudo” dell'atmosfera terrestre, ma nello spazio l'organismo è esposto a questa radiazione dannosa per la salute.
Le agenzie spaziali hanno quindi a disposizione una varietà di tute, che vediamo per esempio quando gli astronauti della Stazione Spaziale Internazionale (ISS) compiono attività extraveicolari.

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Samantha Cristoforetti indossa la tuta spaziale russa durante la sua attività extraveicolare del 21 luglio 2022 (credit: NASA).

Queste tute però non sono adatte alle missioni Artemis, perché la ISS si trova in orbita bassa, a circa 400 km di quota, dove la dose di radiazioni cosmiche è relativamente bassa. Le missioni Artemis invece sono pensate per salire molto più in alto, fino a circa 400.000 km dal nostro pianeta, dove le radiazioni cosmiche sono fino a 100 volte più intense e dunque più pericolose.

Il problema è reso ancora più severo dal fatto che il Sole si sta avvicinando alla fase di massima attività magnetica, pertanto la sua emissione di radiazione cosmica è attualmente particolarmente elevata ed è destinata a crescere ulteriormente per l'epoca del primo allunaggio di Artemis, previsto per il 2025 o 2026.
Inoltre, le missioni Artemis saranno tendenzialmente più lunghe delle missioni Apollo, pertanto gli astronauti avranno bisogno di protezioni ancora più efficaci.

Per tutti questi motivi la NASA e l'ESA hanno sviluppato nuove tute spaziali per i loro astronauti. Prima di mettere degli astronauti a bordo della capsula Orion, però, è opportuno testare “sul posto” (cioè attorno alla Luna) le prestazioni sia delle tute sia della stessa Orion in termini di protezione dalla radiazione cosmica. Ecco lo scopo principale dei tre manichini di Artemis 1: verificare che le radiazioni assorbite dagli astronauti delle prossime missioni rimangano confinate entro livelli accettabili. I tre manichini sono infatti farciti di sensori per misurare la quantità di radiazioni assorbite durante il loro viaggio verso la Luna (ma anche per misurare lo stress del lancio e del rientro a terra).

Il “comandante” di Artemis 1: Moonikin Campos

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Moonikin Campos (credit: NASA).

Campos è l'unico manichino a forma intera di Artemis 1. È realizzato con la forma di un corpo maschile ed e fatto di materiale che simula il corpo umano in termini di capacità di assorbire la radiazione cosmica. Ha compiuto l'intero viaggio di Artemis 1 all'interno della nuova tuta spaziale dell'agenzia spaziale americana. Questa tuta di nuova generazione è molto più evoluta di quelle dell'epoca Apollo, essendo in grado di mantenere in vita l'astronauta al suo interno per ben 6 giorni nello spazio.

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Campos durante un test a terra (credit: NASA).

Il suo nome è un omaggio ad Arturo Campos, ingegnere NASA dell'epoca Apollo che nel 1970 diede un contributo fondamentale nel riportare a terra gli sfortunati astronauti della missione Apollo 13. “Moonikin” è invece un gioco di parole prodotto dalla fusione dei termini mannequin (“manichino”) e Moon (“Luna”). Abbiamo intravisto Campos anche durante la missione Artemis 1, ripreso da una delle camere interne della capsula Orion.

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Campos “seduto” nella capsula Orion durante la missione Artemis 1 (credit: NASA).

Le “gemelle” Helga e Zohar

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Helga e Zohar (credit: StemRad).

Gli altri due manichini che sono andati in orbita attorno alla Luna con Artemis 1 sono invece due torsi con testa, privi cioè degli arti superiori e inferiori. Sono costruiti sulla base dei manichini usati in medicina diagnostica per studiare l'assorbimento di radiazioni e hanno entrambi una forma femminile. Questo perché l'organismo femminile sembra essere più sensibile di quello maschile alle radiazioni cosmiche. Anch'essi come Campos sono composti di materiale che simula i tessuti molli del corpo umano.

I due manichini sono completamente identici. L'unica differenza è che uno dei due, Zohar, indossa un gilet protettivo nero chiamato AstroRad, realizzato dall'agenzia spaziale tedesca in collaborazione con quella israeliana, il cui scopo è proteggere gli astronauti durante un'ipotetica tempesta solare. I due manichini montano migliaia di sensori per misurare l'assorbimento di radiazione da parte dei vari organi.
La presenza di due manichini identici serve per poter confrontare l'assorbimento di radiazioni con e senza AstroRad, in modo da poterne misurare direttamente l'efficacia.

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Helga e Zohar nella capsula Orion (credit: NASA/LM/DLR).

In viaggio verso “casa”

Dopo l'ammaraggio di Orion dell'11 dicembre, la capsula è stata recuperata ed è sbarcata sulla terraferma nella base navale di San Diego, in California. Da lì è cominciato il 21 dicembre il suo viaggio coast-to-coast fino alla Florida, con destinazione il Kennedy Space Center di Cape Canaveral. Che è il luogo da cui i manichini hanno lasciato il pianeta il 16 novembre, giorno del lancio di Artemis 1.

Lì, nei laboratori della NASA, i portelloni della capsula verranno finalmente aperti in ambiente controllato. Verranno esaminate le prestazioni dei materiali della capsula e recuperato tutto il materiale destinato a essere recuperato per la missione Artemis 2. Ma una delle operazioni più importanti sarà proprio il recupero dei manichini.
I sensori di Campos, Helga e Zohar hanno infatti raccolto una enorme mole di dati durante i 25 giorni e mezzo di viaggio di Artemis 1. Questi dati saranno fondamentali per progettare al meglio Artemis 2 in termini di sicurezza e comfort degli astronauti che sorvoleranno la Luna nel 2024 o 2025.

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Filippo Bonaventura
Content editor coordinator
Ho una laurea in Astrofisica e un Master in Comunicazione della Scienza alla SISSA di Trieste. La prima mi è servita per imparare come funziona ciò che ci circonda, la seconda per saperlo raccontare. Che poi sono due cose delle tre che amo di più al mondo. Del resto, a cosa serve sapere qualcosa se non la condividi con qualcuno? La divulgazione per me è questo: guidare nel viaggio della curiosità e del mistero. Ah, la terza cosa è il pianoforte e la musica in ogni sua forma.
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