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3 Novembre 2022
10:39

La NASA ha testato SHIELD, un lander progettato per schiantarsi su Marte

SHIELD è il primo prototipo di lander fatto per resistere a un atterraggio duro, schiantandosi al suolo su Marte. Il suo primo test è stato un successo.

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La NASA ha testato SHIELD, un lander progettato per schiantarsi su Marte
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Illustrazione di SHIELD. Credit: California Academy of Sciences.

Il 12 agosto 2022 nella sede californiana del Jet Propulsion Laboratory della NASA, uno strano contenitore metallico viene portato in cima a una torre e poi fatto cadere fino a schiantarsi a tutta velocità su una lastra d'acciaio. No, l'agenzia spaziale americana non è impazzita: questo è stato il test di SHIELD, un nuovo concept sperimentale per un lander in grado di atterrare su Marte senza frenare attivamente, semplicemente “cadendoci” sopra.
Una scommessa tecnologica che promette di semplificare drasticamente la fase in assoluto più critica e delicata di ogni missione destinata a Marte: l'atterraggio. La promessa è anche di ridurre notevolmente i costi necessari per fare arrivare sano e salvo un robot sul pianeta rosso.

Come siamo atterrati su Marte (finora)

Atterrare su Marte è molto difficile. Storicamente, circa il 50% dei tentativi di atterraggio sul pianeta rosso sono falliti. Finora ci sono riusciti solo gli USA e recentemente la Cina, con il rover Zhurong. L'ex Unione Sovietica fu sempre molto sfortunata da questo punto di vista. L'Europa ci provò nel 2016 con il lander Schiaparelli, che però si schiantò su Marte per un errore del sistema autonomo di navigazione.

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Il sito dell’impatto incontrollato di Schiaparelli ripreso dalla sonda Mars Reconnaissance Orbiter (credit: NASA/JPL/UA/Emily Lakdawalla).

La NASA è senza dubbio la veterana degli atterraggi marziani: ci è riuscita con successo ben nove volte, la prima il 20 luglio 1976 con la missione Viking 1. Essendo questo un lander piuttosto leggero, si posò (come anche Viking 2) sul suolo marziano grazie all'aiuto di retrorazzi.
Con l'avvento di robot più pesanti si dovettero escogitare altri metodi. I primi rover marziani (Sojourner, Spirit e Opportunity), per esempio, atterrarono su Marte rimbalzando su grandi airbag.

Il rover americano Sojourner.
Il piccolo rover americano Sojourner della NASA, il primo ad atterrare su Marte il 4 luglio 1997 (credit: NASA/JPL).

Gli ultimi due rover NASA, Curiosity e Perseverance (entrambi tuttora operativi), sono invece atterrati non solo grazie all'aiuto di paracadute ma anche con un complesso sistema chiamato skycrane, una “gru spaziale” a cui il rover era appeso e che appoggiava quest'ultimo al suolo rallentando tramite propulsori a razzo.

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Il paracadute usato durante l’atterraggio di Perseverance il 18 febbraio 2021 (credit: NASA/JPL–Caltech).
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Lo skycrane di Perseverance durante la discesa su Marte (credit: NASA/JPL–Caltech).

La novità di SHIELD per l'atterraggio su Marte

Con SHIELD (Simplified High Impact Energy Landing Device) la NASA sta testando una nuova tecnologia per gli atterraggi marziani. A differenza di tutte le soluzioni precedenti, questa non prevede nessun dispositivo di frenata attiva: niente paracadute, niente airbag, niente retrorazzi, ma solamente un contenitore molto resistente in grado di assorbire in modo estremamente efficace un impatto ad alta velocità, letteralmente uno schianto al suolo.
SHIELD è sostanzialmente un attenuatore, cioè un congegno in grado di attutire grandemente un impatto. Come potete vedere, è una struttura pieghevole a mo' di fisarmonica. È costituita da diversi cilindri concentrici che possono entrare l'uno nell'altro, assorbendo così in massima parte l'energia dell'impatto.

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La struttura di SHIELD in configurazione aperta (credit: NASA/JPL–Caltech).

L'idea di base è molto semplice: affidarsi solamente al rallentamento passivo dovuto all'attrito con l'atmosfera marziana. Stando ai calcoli della NASA, una struttura come SHIELD potrebbe essere rallentata in questo modo da una velocità iniziale di circa 23.000 km/h (nel momento dell'ingresso in atmosfera) ad appena 177 km/h, che è una velocità senz'altro elevata per uno schianto, ma gestibile da un punto di vista ingegneristico.

Il test di caduta

Come testare se un attenuatore è in grado di reggere un impatto a 177 km/h con il suolo? Lo si fa schiantare al suolo a 177 km/h! È esattamente quello che è stato fatto il 12 agosto nei laboratori del JPL. Tramite una gru, SHIELD è stato portato fino a un'altezza di 27 metri, dalla quale è stato lasciato cadere liberamente.

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La torre usata per il test di caduta di SHIELD (credit: NASA/JPL–Caltech).

Nel momento dell'impatto, sotto l'attenuatore era posizionata una lastra d'acciaio spessa 5 cm. Su Marte naturalmente non ci sono lastre d'acciaio, ma la presenza di questa piastra era giustificata: se SHIELD è in grado di resistere a un impatto a 177 km/h con l'acciaio, può resistere anche all'atterraggio sulla più morbida regolite marziana!
E così è stato. Al netto di un rimbalzo imprevisto (dovuto con ogni probabilità all'acciaio stesso), SHIELD è rimasto integro dopo lo schianto. E non solo. Al suo interno erano stati inseriti uno smartphone, una radio e un accelerometro, e tutti questi dispositivi sono sopravvissuti perfettamente all'impatto.

I dati registrati dall'accelerometro indicano che l'impatto è avvenuto con una forza equivalente a 112 tonnellate di peso.

L'utilità per le future missioni

Ci si potrebbe chiedere perché sviluppare una nuova tecnologia di atterraggio su Marte quando ce ne sono già di perfettamente funzionanti. Il motivo è presto detto: le tecnologie attuali sono altamente complesse, fallibili e costose, tutti problemi che potrebbero essere in buona parte risolti con l'impiego di un concept come quello di SHIELD.
È facile infatti immaginare quanto più semplice potrebbe essere la progettazione di una missione in cui non siano coinvolti complicati sistemi di rallentamento che devono essere testati minuziosamente per minimizzare quanto più possibile il rischio di malfunzionamenti. Questo permetterebbe naturalmente anche di abbassare i costi di progettazione, consentendo così di concentrare maggiormente il budget sugli aspetti puramente scientifici delle missioni.

Si può immaginare poi un altro grande vantaggio. Uno dei principali vincoli nella scelta dei siti di atterraggio è – oltre all'interesse scientifico del sito stesso – la sicurezza dell'atterraggio: zone troppo impervie o scoscese sono da sempre considerate off-limits, per evitare al massimo i rischi di fallimenti che comprometterebbero definitivamente la missione stessa. Con una tecnologia di questo tipo, invece, si avrebbe molta più libertà nella scelta dei luoghi su cui fare atterrare lander e rover.
Stando alla NASA, la progettazione completa di questo sistema di atterraggio dovrebbe concludersi l'anno prossimo. Successivamente si potranno valutare possibili strategie di implementazione di questa tecnologia per le prossime missioni destinate al pianeta rosso.

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Filippo Bonaventura
Content editor coordinator
Laureato in Astrofisica all’Università di Trieste e ha conseguito un Master in Comunicazione della Scienza presso la SISSA di Trieste. È stato coordinatore della rivista di astronomia «Le Stelle», fondata da Margherita Hack. Insieme a Lorenzo Colombo e Matteo Miluzio gestisce il progetto di divulgazione astronomica «Chi ha paura del buio?». Vive e lavora a Milano.
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