
Mercoledì 11 maggio la Russia di Putin ha imposto delle sanzioni nei confronti di alcune aziende europee sussidiarie di Gazprom (il gigante russo del gas naturale, controllato dallo Stato), determinando in concreto il blocco del flusso di gas attraverso il gasdotto Yamal, diretto in Germania e transitante per un lungo tratto in Polonia. La misura potenzialmente ha un impatto notevole: il gasdotto in questione potrebbe portare in Europa fino a 33 miliardi di metri cubi di gas naturale all'anno (circa un sesto del gas russo importato nel continente), anche se da da qualche mese risultava già quasi inutilizzato. Nonostante questo, l'intervento deciso da Putin ha fatto impennare i prezzi della materia prima aggravando la crisi energetica in atto.
Come mai la Russia si è mossa in questo modo? Le motivazioni sono soprattutto di tipo geopolitico: le sanzioni sono in parte una risposta al blocco, operato da parte ucraina, del flusso di gas a partire dall'impianto di Sokhranivka. Guardando al quadro generale, inoltre, l'iniziativa russa segue la decisione presa a fine aprile di interrompere le forniture di gas a Polonia e Bulgaria, colpevoli, dal punto di vista di Mosca, di non avere pagato il rifornimento di gas in rubli. Tutto questo determina un ulteriore peggioramento delle relazioni tra Europa e Russia, già incredibilmente compromesse, e mette ulteriormente a rischio l'approvvigionamento di energia nel continente europeo e in particolare in Germania, già attiva nella spasmodica ricerca di fornitori diversi da Mosca e di fonti di energia alternative al gas russo (similmente a quanto sta accadendo per l'Italia).
