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16 Febbraio 2024
16:10

La Terra 700 milioni di anni fa era completamente ricoperta da ghiacci: ecco i nuovi studi

Circa 700 milioni di anni fa la Terra attraversò una glaciazione lunga ben 56 milioni di anni: si tratta dell'ipotesi della "Terra palla di neve" o "Snowball Earth". L'origine e la durata della glaciazione sono oggetto di due nuovi studi.

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La Terra 700 milioni di anni fa era completamente ricoperta da ghiacci: ecco i nuovi studi
terra palla di neve
Immagine realizzata con AI.

Tra 717 e 661 milioni di anni fa, durante il tardo Proterozoico, il nostro pianeta attraversò il periodo glaciale più estremo di tutta la sua storia, chiamato glaciazione sturtiana. La Terra era completamente ricoperta dai ghiacci e la sua temperatura media globale si aggirava intorno a –50 °C.
Questa è l’ipotesi della “Terra palla di neve” o “Snowball Earth”, elaborata dal geologo australiano Douglas Mawson nella prima metà del Novecento e poi confermata nei decenni successivi. Finora i meccanismi che hanno dato inizio alla glaciazione e che hanno fatto sì che durasse ben 56 milioni di anni non erano stati ben compresi.

In un nuovo studio, i ricercatori dell’Università di Sydney hanno provato a chiarirli grazie a un modello che ha riprodotto i movimenti delle placche tettoniche. Questi movimenti avrebbero determinato una minore attività vulcanica e di conseguenza una drastica diminuzione di anidride carbonica nell’aria, che avrebbe fatto crollare le temperature per un tempo lunghissimo. Contemporaneamente, un team di ricercatori americani ha pubblicato un altro studio, che attribuisce invece l’innesco della glaciazione all’impatto di un asteroide: quest’ultima ipotesi, tuttavia, avrebbe meno prove a suo sostegno.

Le caratteristiche della glaciazione sturtiana

L’ipotesi della “Terra palla di neve” fu formulata per giustificare il ritrovamento di materiali rocciosi deposti dai ghiacciai risalenti al Proterozoico su continenti che in quell’intervallo di tempo si trovavano nei pressi dell’equatore riuniti nel supercontinente Rodinia. Se questa e altre prove rendono ormai assodata l’esistenza dell’antica glaciazione, molto più difficile è spiegare che cosa possa aver innescato un evento che non è paragonabile a nessuno dei periodi glaciali successivi.

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Supercontinente Rodinia. Credit: Almeda Santos et al., 2020.

Cause astronomiche come la variazione dell’inclinazione dell’asse terrestre, per esempio, non potrebbero giustificare la durata della glaciazione sturtiana. Già in passato era stato ipotizzato che Rodinia, l’enorme continente che allora radunava le terre emerse nella fascia tropicale, potesse aver avuto un ruolo nel cambiamento climatico.

Questa gigantesca massa rocciosa comprendeva una vasta regione vulcanica, la Grande provincia ignea Franklin, attualmente situata nelle regioni artiche del Canada settentrionale. L’azione degli agenti meteorici su queste rocce, molto intensa ai tropici, le avrebbe degradate con un processo che sottrae grandi quantità di anidride carbonica all’atmosfera. Sappiamo che la variazione della concentrazione di anidride carbonica nell’atmosfera è strettamente correlata ai cambiamenti climatici, ma la degradazione di queste rocce non sarebbe stata sufficiente a causare una glaciazione della durata di quella sturtiana.

Una volta ricoperte dal ghiaccio, infatti, le rocce sarebbero state molto meno soggette alla degradazione e quindi i livelli di anidride carbonica avrebbero dovuto tornare a crescere.

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Depositi glaciali risalenti alla glaciazione sturtiana, in Australia. Credit: Professor Dietmar Müller/University of Sydney

Il nuovo studio sui movimenti delle placche

I ricercatori australiani ritengono di aver individuato il meccanismo che, insieme alla degradazione meteorica delle rocce della provincia di Franklin, avrebbe determinato una massiccia diminuzione di anidride carbonica in atmosfera per un lunghissimo periodo di tempo. A svolgere un ruolo chiave sarebbero stati i movimenti delle placche tettoniche.

Circa 750 milioni di anni fa, infatti, Rodinia cominciò a disgregarsi in diversi blocchi continentali. I ricercatori hanno riprodotto i loro spostamenti nel tempo, studiando come questi influissero sull’attività vulcanica sottomarina che si verifica lungo la dorsale medio-oceanica. I risultati hanno mostrato un significativo calo dell’attività vulcanica, che ha comportato una notevole diminuzione delle emissioni di anidride carbonica da parte dei vulcani sottomarini. Questo fenomeno sarebbe sufficiente a spiegare come la Terra abbia potuto somigliare a un’immensa “palla di ghiaccio” così a lungo.

L’ipotesi dell’asteroide

Proprio nei giorni in cui usciva questo studio, un team di ricercatori americani ha reso pubblica un’altra ipotesi molto diversa. In base a questa ipotesi, un asteroide delle dimensioni di quello che ha originato il cratere di Chicxulub in Messico, circa 65 milioni di anni fa, avrebbe potuto “congelare” la Terra per 56 milioni di anni.

L’impatto di un asteroide, infatti, può scagliare grandi quantità di polveri e goccioline di acido solforico in grado di riflettere la luce solare, raffreddando l'atmosfera terrestre. Secondo i ricercatori, se un simile evento fosse avvenuto in un periodo caldo i suoi effetti sarebbero stati più limitati nel tempo, mentre i bassi livelli di anidride carbonica presenti in atmosfera ne avrebbero prolungato le conseguenze. Uno degli autori dello studio relativo ai movimenti delle placche, Adriana Dutkiewicz, sostiene però che “non ci sono prove che un tale impatto abbia effettivamente innescato la glaciazione” e che “anche se tale impatto si fosse verificato, è improbabile che sostenga una glaciazione per un tempo così lungo”.

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