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5 Novembre 2022
15:30

Come funziona il metodo stratigrafico usato dagli archeologi durante gli scavi

Come fanno gli archeologi a decidere dove scavare e soprattutto come si fa a ottenere un’interpretazione storica di monumenti e reperti durante uno scavo?

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Come funziona il metodo stratigrafico usato dagli archeologi durante gli scavi
stratigrafia archeologia

Quando scavano, gli archeologi applicano i principi di un metodo scientifico: il metodo stratigrafico. Si tratta dello studio delle relazioni tra i vari strati archeologici di un sito di scavo. L'analisi degli strati e la raccolta di eventuali reperti e resti, infatti, consentono all’archeologo di ricostruire la sequenza delle attività umane che li hanno generati e del contesto, dell'ambiente, in queste attività hanno avuto luogo. Così facendo è possibile reperire moltissimi dati e informazioni cruciali per ipotizzare la cronologia del sito e degli avvenimenti in esso accaduti. Ma come si è sviluppato il metodo stratigrafico e quali sono i suoi principi basilari?

L’evoluzione del moderno metodo di scavo archeologico

Per molto tempo lo scavo archeologico è stato un’attività finalizzata al recupero di manufatti antichi da vendere a collezionisti privati o sul mercato antiquario. Gli “archeologi” erano cercatori di rovine e tesori, spinti da un ideale più romantico che scientifico. Questo accadeva soprattutto nel mondo mediterraneo, ricco di testimonianze scritte e di rovine ben visibili.

A partire dal ‘700, però, soprattutto nelle regioni del nord Europa dove si stava sviluppando la branca dell’archeologia preistorica, caratterizzata da pochi testi scritti e pochi resti monumentali, si sviluppò un primo metodo di analisi sperimentale che metteva al centro della ricerca i manufatti e i relativi contesti. Se si trovava un gioiello prezioso all’interno di una tomba, oltre al valore dell’oggetto in sé, si dava importanza all’intero corredo funerario per cercare di rispondere alle domande fondamentali che si deve porre un archeologo: chi, come, quando e perché.

stratigrafia scientifica

Nell’800 l’archeologia fu per la prima volta concepita come una disciplina scientifica: i più grandi musei europei e i primi istituti archeologi nazionali promossero ricerche nei principali siti archeologici di Grecia, Egitto e Vicino Oriente. Nei siti che erano state le città delle più celebri civiltà del passato, gli archeologi iniziarono a concepire un metodo per l’interpretazione della stratigrafia archeologica.

Tra la fine dell’800 e la prima metà del ‘900, grandi archeologi come W.F. Petrie e M. Wheeler perfezionarono il metodo stratigrafico, fino alla sua definizione finale avvenuta intorno al 1970 a opera dell’archeologo inglese Edward Harris, che è stato a tutti gli effetti il padre del moderno metodo stratigrafico.

Dalla scelta del sito alle prime picconate: come nasce uno scavo archeologico

La scelta di un sito o di un’area specifica all’interno di un sito per lo svolgimento di uno scavo archeologico non è mai casuale ma segue una strategia ben precisa. Nel caso di siti già noti, gli archeologi sono in genere motivati dall’interesse di ampliare la conoscenza di uno specifico contesto: se ci si trova a Pompei, per esempio, lo scopo di uno scavo in un’area ancora sepolta sotto i detriti dell’eruzione del Vesuvio è quello di scoprire una nuova parte della città, comprendere il suo assetto urbanistico, distinguere le funzioni di ogni edificio e ricostruire così un altro pezzetto della storia pompeiana.

scavi archeologici di pompei

Nel caso di siti non ancora scavati, prima di poter iniziare a rimuovere il terreno gli archeologi svolgono una serie di ricognizioni di superficie. Vengono selezionati vari siti nell’area geografica di interesse e si effettuano delle cosiddette surveys: come prima cosa il sito viene suddiviso in porzioni (ad esempio quadranti sulla base dei punti cardinali), gli archeologi poi si dispongono su file parallele non troppo distanti (5 m) e iniziano a “pattugliare” il terreno, raccogliendo reperti sparsi sulla superficie (soprattutto frammenti ceramici) ed evidenziando la presenza di strutture parzialmente visibili, come ad esempio allineamenti di pietre che potrebbero far pensare alla presenza di un muro sottostante.

datazione reperti archeologici

Sulla base delle informazioni ottenute con le ricognizioni e attraverso il confronto con siti noti della stessa area, gli archeologi selezionano il sito per l’indagine. A questo punto può avere inizio lo scavo archeologico: le prime picconate vengono date nelle aree ritenute “sensibili”, quelle cioè dove le ricognizioni suggeriscono la presenza di resti significativi: si tratta in genere del punto più alto del sito (l’acropoli) dove erano costruiti gli edifici più importanti (palazzi e templi), oppure i fianchi/bordi del sito dove si trovavano le fortificazioni. Non appena il piccone inizia a rimuovere gli strati di terra, il compito dell’archeologo è interpretare correttamente la stratigrafia.

Il metodo stratigrafico: la chiave per interpretare uno scavo archeologico

Archeologia e geologia hanno in comune lo studio della stratigrafia: entrambe analizzano il terreno e le sue trasformazioni avvenute nel corso del tempo. La stratificazione archeologica si distingue da quella geologica perché è principalmente frutto dell’attività umana, tuttavia entrambe hanno in comune un principio di base: gli strati in genere si sovrappongono nel corso del tempo e, di conseguenza, quelli più antichi saranno più in basso, quelli più recenti saranno più in alto.

strati del terreno archeologia

Alla base del moderno scavo archeologico c'è il principio delle cosiddette unità stratigrafiche (US), che vengono indicate con un numero e che rappresentano ogni singola azione, umana o naturale, che ha lasciato una traccia nella stratificazione archeologica. Qualsiasi cosa viene rinvenuta in uno scavo (uno strato, un pavimento, un muro, un focolare, una installazione) viene associata ad una US.

Applicando il metodo stratigrafico l’archeologo è come se sfogliasse le pagine di un libro: il libro è il sito, ogni pagina è una US. Procedendo nella lettura della stratigrafia, sfogliando strato dopo strato, si ricostruisce l’intera trama, cioè l’intera storia del sito. Se un libro però si legge dall’inizio alla fine, lo scavo archeologico si “legge” nel senso inverso: sfogliando la sequenza stratigrafica, infatti, gli archeologi esplorano per primi gli strati più recenti, che sono più in alto, e per ultimi quelli più antichi, che sono più in basso. In pratica si osserva la storia al contrario, scoprendo prima quello che viene dopo.

datazione archeologia

Per ricostruire questa storia gli archeologi devono essere in grado di riconoscere i rapporti fisici che esistono tra le US, per capire cosa viene prima (anteriore a), cosa viene dopo (posteriore a) e cosa invece è contemporaneo (uguale a). Stabilire la sequenzialità delle US permette di ricostruire i rapporti stratigrafici. Quando, ad esempio, si hanno due strati uno sopra l’altro, in gergo si dice che quello in basso “è coperto”, mentre quello in alto “copre”: la traduzione di questa relazione stratigrafica è che lo strato che “copre” è sempre più recente di quello che “è coperto”. Allo stesso modo, se a un certo punto è stata scavata una fossa in un terreno, l’US associata alla fossa (che “taglia”) sarà sempre più recente rispetto allo strato dove la fossa è stata scavata (che “è tagliato”).

misurazione scavo archeologico

Lo studio delle relazioni stratigrafiche è la chiave per riuscire ad interpretare uno scavo archeologico: stabilendo cosa viene prima e cosa viene dopo, gli archeologi è come se riordinassero le pagine sparpagliate di un libro, riuscendo a stabilire la successione cronologica degli eventi che hanno portato un sito da come era secoli fa a come lo vediamo noi oggi.

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