Gli Inuit li conoscono bene e li studiano dalla notte dei tempi: i narvali (Monodon monoceros), detti anche "unicorni di mare", sono cetacei, cioè mammiferi marini, tipici dell'Artico e unici nel loro genere per la presenza del caratteristico “corno”. Questa protuberanza dalle presunte proprietà magiche non è altro che un'enorme zanna che si sviluppa nei maschi della specie (in rarissimi casi anche nelle femmine). Ci sono diverse teorie sulla funzionalità del "corno": per molto tempo si è pensato che fosse solo un carattere sessuale secondario (come le piume dei pavoni), ma si è visto che è un mezzo di comunicazione tra diversi esemplari, uno strumento per stordire le prede e perfino un utile radar sensoriale per percepire variazioni di temperature, vibrazioni e salinità dell'acqua, permettendo ai narvali di orientarsi tra i ghiacci.
Quello del narvalo è davvero un corno? No, è un dente
Quello che viene comunemente chiamato “corno” è in realtà un dente, per essere precisi il canino superiore sinistro. Quando i giovani maschi si avviano verso i 2-3 anni d’età, questa struttura così bizzarra cresce e si allunga, trafora la mascella e fuoriesce, spiralizzandosi in senso antiorario.
In realtà di denti se ne sviluppano inizialmente due ma solo uno cresce seguendo questo schema. Oltre a questi, i narvali possiedono anche dei denti vestigiali, molto piccoli e meno vistosi. Di norma, le femmine non sviluppano il corno, anche se non è ancora ben chiaro il perché: sono rari infatti i casi di esemplari femminili dotate di questo mastodontico dente.
Questa enorme lancia appuntita è flessibile e innervata, può crescere fino a 3 metri ed è in grado di piegarsi fino a 30 cm in tutte le direzioni. La crescita della zanna porta alla deformazione del cranio che risulta, così, asimmetrico.
A cosa serve la zanna del narvalo: uno strumento di comunicazione e orientamento
Il fatto che solamente i maschi possiedano la zanna, per molto tempo ha suggerito che si trattasse di un carattere sessuale secondario legato alla socialità e all’accoppiamento, un po’ come avviene nei pavoni con le code sgargianti o ai leoni con la criniera. Detta in parole povere, più questi tratti sono vistosi e robusti, più aumentano lo status sociale. Per fare un esempio un po’ più concreto, la loro funzione parrebbe analoga quella dei palchi del cervo, carismatici per la controparte femminile ma pur sempre delle armi per vincere a duello contro gli altri maschi adulti.
Ma non dimentichiamo che hanno anche un ruolo nella comunicazione tra simili, come ad esempio nel tusking, un tipico comportamento che consiste nell’incrociare le zanne fuori dall’acqua come fossero spade. Oltre a queste appena descritte, grazie a nuovi dati provenienti da studi chimici, fisici, biologici e genetici combinati con la conoscenza Inuit, nuove tecniche di immagine e remote sensing, i ricercatori sono riusciti a ipotizzare diverse teorie per spiegare la presenza di un carattere così straordinario e ingombrante.
Una prima teoria prevede l’uso della zanna per la cattura delle prede. Se credete che i pesci vengano infilzati come pezzi di carne su uno spiedo, siete fuori strada: questa ipotesi molto drammatica è stata smentita. Abbiamo invece prove di come i narvali possano usare l’enorme dente per colpire le prede e stordirle.
Un’altra ipotesi, che non sembra escludere la prima, considera la zanna un organo sensoriale molto spiccato, data la presenza di una fitta rete di oltre 10 milioni di nervi. Seguendo questa scia il “corno” sarebbe estremamente utile nella percezione delle vibrazioni, della temperatura e della salinità dell’acqua circostante e, di conseguenza, per sapersi muovere nella fitta coltre di ghiaccio artico. Ne consegue la possibilità di capire la topologia dei ghiacci e i punti dove prendere fiato. D’altronde, sanno stare per molto tempo sott’acqua ma hanno pur necessità di respirare.
Che animale è il narvalo?
Il narvalo è indubbiamente una creatura curiosa che non passa inosservata. Con quel suo “coso” che esce dalla testa si è aggiudicato il soprannome di “unicorno del mare” che, nel mondo scientifico, si riadatta in Monodon monoceros dal greco, letteralmente, “un dente, un corno”. Il suo nome comune, invece, si suppone derivi dall’antico termine norreno nafarr che significa "trivella".
Sebbene schivi, i narvali hanno sempre suscitato molta curiosità e sono stati ampiamente studiati, portandoci ad avere una comprensione abbastanza solida della loro ecologia, biologia e del loro comportamento. Da un punto di vista tassonomico sono cetacei odontoceti, mammiferi marini di cui fanno parte delfini, capodogli e orche. Vivono e si muovono in gruppi sociali nell’area del Circolo Polare Artico, lungo le coste del Canada, della Groenlandia, dell’Alaska, dell’Islanda e della Scandinavia, nuotando tra il Mare di Barents e nell’Oceano Artico.
Derivano da un gruppo di ungulati terrestri che hanno fatto ritorno al mare, dai quali hanno ereditato e mantenuto un sistema digestivo formato da più camere (come quello degli erbivori terrestri), adattate poi ad una dieta carnivora a base di pesce. Questi mammiferi marini possono raggiungere poco meno di due tonnellate di peso per 5 metri di lunghezza, sempre se non consideriamo la loro caratteristica più evidente: quell’enorme zanna che si portano appresso.
Curiosità sugli unicorni del mare
Sebbene di solito si sviluppi un solo corno e solo nei maschi, presso il National History Museum di Londra si può vedere un reperto singolare: un esemplare che presenta due “corni”, risalente ad un viaggio in acque artiche datato 1949. Ancora più spettacolare è il teschio conservato al museo di Zoologia di Amburgo, risalente al 1684: due enormi denti in un esemplare che si pensa sia femmina, secondo i racconti del Seicento, ma sono in corso analisi del DNA per confermarlo o meno.
Se pensate che la rarità vada di pari passo con il profitto, avete ragione: in passato il corno di narvalo è riuscito a valere fino a 500 volte il proprio peso in oro. Ma chi lo acquistava e per farci cosa? Nobili, borghesi e personalità abbienti ne ricavavano monili, pozioni magiche, veleni e tonificanti dalle presunte proprietà afrodisiache. Ma la situazione non è cambiata di molto: l’avorio di cui è formato il dente, così come quello degli elefanti, è tutt’ora molto gettonato e richiesto dal mercato nero. Il bracconaggio di queste specie protetta è ancora piuttosto attivo e rappresenta un reale pericolo per la sopravvivenza della specie.