Quanti di voi conoscono almeno una delle seguenti canzoni?
– The End – The Doors (11:43 minuti)
– Bohemian Rhapsody – Queen (9 minuti)
– Another brick in the wall – Pink Floyd (8:27 minuti)
– American Pie – Don McLean (8:27 minuti)
– Hey Jude – The Beatles (7:11 minuti)
Probabilmente quasi tutti, magari con l'eccezione di qualche lettore più giovane. Ma la verità è che il numero di brani così lunghi oppure molto brevi (1/2 minuti) è decisamente minoritaria rispetto alle tantissime canzoni (soprattutto pop) che durano circa 3 o 4 minuti. Di conseguenza la domanda sorge spontanea: perché proprio 3 minuti? E non 2 o 5 o 7? Non esiste una risposta ufficiale, ma di seguito scopriamo l'ipotesi più accreditata. Quel che è certo attualmente è che per partecipare all'Eurovision un pezzo non può superare i 3 minuti e che, non a caso, facendo una media delle 28 canzoni dell'edizione 2023 di Sanremo risulta un timing medio di 3 minuti e 21 secondi. Un'altra tendenza in atto nel mondo della musica, poi, dipende dalla possibilità di ascoltarla in streaming: vedremo che questo sta facendo diminuire la durata media delle canzoni.
L'ipotesi tecnica dietro la durata di 3 minuti delle canzoni
La spiegazione più semplice e diffusa rispetto alla durata media di circa 3 minuti delle canzoni riguarda il supporto tecnologico sul quale queste ultime sono state registrate per lungo tempo.
Anzitutto bisogna citare il cosiddetto 78 giri, il primo disco fonografico inventato nel 1889 da Emile Berliner che in breve tempo rese obsoleto il cilindro fonografico (introdotto precedentemente da Thomas Edison). Il 78 giri presentava un limite fisico alla durata della musica che poteva esservi incisa: la sua versione da 10 pollici (1 pollice = 2,54 cm) consentiva la registrazione di una canzone di circa tre minuti per ogni lato; quella da 12 pollici arrivava fino a circa 4 minuti.
Dopo la II Guerra Mondiale, si impose rapidamente il 45 giri, un disco in vinile (in particolare la versione da 7 pollici) utilizzato diffusamente per la distribuzione di singoli, uno per ogni lato del disco e della durata massima di circa 4 minuti.
Progressivamente anche il 45 giri fu soppiantato dagli LP a 33 giri (in cui poteva essere registrato un intero album) e dalle musicassette, a loro volta scalzati dai CD. Grazie a queste nuove tipologie di supporto, diffusesi a partire dagli anni '70 e molto meno vincolanti dal punto di vista della durata del singolo pezzo, quest'ultima salì sensibilmente superando la soglia dei 4 minuti, come è possibile notare nel seguente grafico.
Oggigiorno, come vedremo tra poco, la possibilità di ascoltare la musica in streaming sta facendo nuovamente abbassare la durata media. A ogni modo, per tirare le somme, è probabile che l'iniziale limite tecnico tra i 3 e i 4 minuti si sia fissato talmente tanto nella cultura musicale da renderlo uno standard sopravvissuto fino ai giorni nostri. In effetti, bisogna anche considerare che le radio e le televisioni abituarono per decenni il pubblico a una simile lunghezza.
Per darvi conto di quanto sia determinante attualmente la durata di 3 minuti, sappiate che tra le regole dell'Eurovision, il più importante contest di competizione musicale tra i vari Paesi europei e a cui partecipa, in rappresentanza dell'Italia, il vincitore del Festival di Sanremo, esiste la clausola che possono essere iscritte e partecipare alla gara solo canzoni lunghe al massimo 3 minuti. E non a caso la durata media delle 28 canzoni in gara nel corso dell'edizione 2023 del Festival è 3 minuti e 21 secondi.
La durata media delle canzoni sta diminuendo
Probabilmente un altro aspetto da tenere in considerazione riguarda la soglia di attenzione delle persone per il singolo contenuto. Le pubblicità in televisione insegnano: la loro durata classica è 30 secondi. Negli ultimi 15 anni, inoltre, l'avvento dei social network sta generando un calo drastico della nostra capacità di concentrazione e questo risulta evidente osservando i dati relativi al tempo speso dall'utente medio su ciascun post o video. Parentesi: su Facebook la permenenza media globale su un video è di 10 secondi; se non ci credete, vi invitiamo a fare una ricerca. Fortunatamente i video di Geopop hanno dei valori molto più alti della media 😉
In effetti il boom della musica in streaming è stato accompagnato da una diminuzione della durata media delle canzoni. Insomma, tornando al grafico che abbiamo condiviso sopra, negli ultimi anni la curva della durata media dei brani sta tornando ad abbassarsi, proprio in parallelo all'enorme diffusione di servizi come Spotify, Apple Music, Amazon Music e YouTube Music.
Nel merito, nel 2017 lo streaming musicale ha superato in termini di fatturato i download digitali e la vendita di album e singoli incisi su supporto fisico. Attualmente, inoltre, gli abbonati alle varie piattaforme di streaming superano mezzo miliardo di persone. Insomma, il futuro appare saldamente in mano a questa tipologia di veicolazione dei contenuti musicali.
Un'analisi condotta da Music Machinery sulle tempistiche con cui le persone "skippano" le canzoni durante il loro ascolto su Spotify ha evidenziato che circa il 25% delle persone passa al brano seguente entro i primi 5 secondi e, considerando anche questa quota, il 50% degli utenti lo fa prima che la canzone in ascolto termini. In generale, poi, più le canzoni sono lunghe più la quantità di persone che arriva in fondo diminuisce.
Ebbene, gli algoritmi delle varie piattaforme tendono a privilegiare i brani in modo tale da mantenere gli utenti il più possibile connessi e generalmente valutano un pezzo "riprodotto" solo se supera un certo minutaggio di ascolto (spesso 30 secondi). Visto questo meccanismo e considerata l'elevata frequenza di skip da una canzone all'altra (di cui abbiamo parlato poco fa), ai cantanti e ai musicisti conviene realizzare più contenuti di minore durata, invece che meno contenuti più lunghi. In questo modo, infatti, hanno maggiori probabilità di "acchiappare" gli ascoltatori e trattenerli su almeno uno dei loro pezzi, cosa che consente a loro e alla piattaforma di guadagnare. Non solo: sono proprio questi brani, di conseguenza, a essere maggiormente diffusi dagli stessi algoritmi e quindi ad essere più ascoltati, generando di conseguenza un circolo vizioso che porterà probabilmente sempre di più a un'uniformazione della durata delle canzoni.