Sono tristemente noti i casi delle bombe atomiche sganciate dagli Stati Uniti sulle città giapponesi di Hiroshima e Nagasaki alla fine della Seconda Guerra Mondiale. Molte meno persone, invece, sanno che nei decenni successivi, durante la Guerra Fredda e oltre, sono stati documentati almeno 32 incidenti che hanno coinvolto bombe atomiche (definiti con l'espessione Broken Arrow, "freccia spezzata"), alcune delle quali sono andate disperse – sì, avete capito bene, disperse. Tra queste, almeno sei bombe statunitensi non sono ancora state ritrovate e recuperate e lo stesso vale per numerose armi ex sovietiche. Capiamo dove sono andate disperse le bombe atomiche, come è stato possibile perderle e approfondiamo qualche caso celebre.
I 32 casi di Broken Arrow
Broken arrow (in italiano "freccia spezzata") è il termine utilizzato in ambito militare per indicare un incidente che vede coinvolte armi nucleari senza però scatenare un'esplosione nucleare o una guerra atomica. In particolare dal 1950 ad oggi sono stati almeno 32 gli incidenti documentati che hanno coinvolto bombe atomiche, alcune delle quali andate disperse e altre non ancora recuperate. Secondo l'Atomic Archive e un'indagine della BBC, al momento ci sarebbero almeno 6 bombe atomiche statunitensi disperse, ma non si possiede una lista completa che riguardi anche gli altri Paesi poiché non si hanno informazioni ufficiali su Cina, Russia, Regno Unito e Francia.
D'altro canto, è noto che durante la Guerra Fredda varie bombe atomiche dell'Unione Sovietica siano andate disperse (ad esempio il caso avvenuto nell'ottobre 1986, quando un sottomarino sovietico a propulsione nucleare con 34 missili atomici a bordo affondò al largo di Bermuda), ma essendo missioni svolte principalmente con sottomarini la loro posizione esatta non è oggi nota né facilmente accessibile.
Gli incidenti durante l'operazione Chrome Dome
Chrome Dome fu il nome in codice di un programma sviluppato dal 1958 al 1968 dalle Forze Aeree Statunitensi che prevedeva di condurre missioni di “allerta in volo” usando bombardieri Boeing B-52 Stratofortress armati con bombe nucleari, come deterrente contro l’Unione Sovietica. Il potenziale pericolo di una guerra nucleare tra i due Paesi fece sì che 24 ore su 24 venissero realizzati pattugliamenti aerei su specifiche rotte che avrebbero potuto rappresentare punti strategici per un attacco nucleare all’URSS.
Tra i vari casi di bombe atomiche andate disperse nel corso della storia, tre episodi noti capitarono proprio durante l'operazione Chrome Dome e coinvolsero l'aeronautica statunitense.
Una è la bomba termonucleare Mark 15 dispersa il 5 febbraio 1958 al largo dell’isola di Tybee, in Georgia (lo Stato americano, non quello a cavallo tra Europa e Asia). Durante una missione di addestramento, si verificò per errore uno scontro tra due aerei militari, durante il quale il bombardiere B-47 che trasportava la bomba nucleare Mk 15 fu danneggiato e il pilota decise di sganciare l'arma in acqua per alleggerire il peso dell’aereo, prima di effettuare un atterraggio di emergenza. La bomba cadde al largo dell'isola di Tybee, finendo in mare, senza però provocare alcuna detonazione.
Una seconda bomba nucleare fu dispersa nel Mar delle Filippine il 5 dicembre 1965, a circa 70 km dall’isola giapponese di Kikaijima. Un aereo Douglas A4E Skyhawk, che trasportava una bomba nucleare B-43, doveva decollare dalla portaerei statunitense Ticonderoga per un volo di prova. Ma in fase di rullaggio a causa di un errore umano del pilota che stava spostando il velivolo da una piattaforma di sollevamento al ponte della portaerei, l'aereo insieme al pilota e alla bomba precipitarono in mare, ad una profondità di 4.900 m, e non furono mai più recuperati.
Un terzo incidente avvenne in Groenlandia, sopra la base aerea Thule, il 21 gennaio 1968, quando un incendio accidentale su un velivolo B-52 partito da New York fece sì che l’equipaggio dell’aereo lo abbandonasse prima che questo si schiantasse, bruciando a sud ovest della pista della base aeronautica di Thule. Le quattro bombe nucleari Mark 28 che l'aereo trasportava furono distrutte dal fuoco dello schianto, contaminando con materiale radioattivo (ma senza che avvenisse un'esplosione nucleare) un vasto ghiacciaio circostante. Gli Stati Uniti, in seguito all'accaduto, con il monitoraggio del governo danese, condussero un'operazione di rimozione di ghiaccio, neve e acqua contaminati e trasportati in un sito di stoccaggio negli Stati Uniti.
L'incidente di Palomares nel 1966
Un altro degli incidenti più noti che ha coinvolto ordigni nucleari è stato quello avvenuto in Spagna nella cittadina di Palomares, sulla costa della provincia meridionale di Almeria, in Andalusia, il 17 gennaio 1966. Due aerei militari statunitensi si scontrarono in volo e uno dei due, un bombardiere B-52, precipitò disperdendo quattro bombe termonucleari B28 di 1,5 megatoni l’una e del peso di 800 grammi, sulla località spagnola di Palomares. Delle quattro bombe, una finì in acqua: fu avviata una missione di recupero sui fondali che vide l’impiego di circa 12.000 uomini e che portò 80 giorni dopo al recupero della bomba (ci furono vari tentativi falliti). L'ordigno si trovava a 869 m di profondità a una distanza di circa 5 miglia dalla costa.
Quanto alle tre bombe che caddero sulla terraferma, a causa dell’impatto violento con il terreno una si ruppe disperdendo il proprio materiale radioattivo e contaminando il suolo. Da allora Palomares è stata tristemente soprannominata "la città più radioattiva d'Europa". Ancora oggi numerose associazioni di ecologisti e ambientalisti stanno portando avanti campagne di protesta e sensibilizzazione, soprattutto contro la volontà di una società britannica di creare sul luogo un resort per vacanze.
Le bombe disperse potrebbero esplodere?
Due domande che potreste porvi a questo punto sono: perché gli incidenti non hanno causato esplosioni nucleari? Ed esiste il rischio che, a un certo punto, possano causarle? La risposta dovrebbe tranquillizzare tutti. Nel corso di alcune delle missioni aeree che abbiamo citato, per esempio, il protocollo prevedeva che la capsula contenente plutonio venisse aggiunta all’ordigno all'ultimo momento, solo in caso di attacco. Pertanto, nel corso di un normale volo di ricognizione, anche se una bomba fosse esplosa a bordo non si sarebbe verificata un’esplosione nucleare.
Inoltre anche nel caso di protocolli diversi, cioè in presenza di materiale fissile nell’ordigno – di norma plutonio o uranio – per innescare la reazione nucleare è comunque necessaria una serie di passaggi chimici e fisici precisi a partire da esplosivi tradizionali molto stabili. Quindi è quasi impossibile che la concatenazione di eventi che porta alla fissione avvenga in modo casuale e spontaneo. Tutto questo senza citare le bombe a idrogeno, dove la fissione nucleare innesca a sua volta una fusione nucleare e quindi il processo è ancor più complesso.
In assoluto, perciò, è vero che il pericolo di esplosione non è nullo, ma nel caso di ordigni contenenti plutonio o uranio, un’esplosione potrebbe eventualmente portare quasi solo a una dispersione di materiale radioattivo. Tuttavia anche questa eventualità è molto remota e, anche se fosse, le bombe disperse per fortuna si trovano in luoghi lontani da esseri umani.
Allo stato attuale, quindi, le bombe andate disperse non sono qualcosa di effettivamente pericoloso. Inoltre è anche molto remota la possibilità che qualche Stato malintenzionato possa provare a impossessarsene. Al di là, infatti, che ora come ora tali bombe saranno presumibilmente inservibili, trovarle e recuperarle sarebbe eventualmente complicatissimo. Soprattutto in caso di perdita in mare, infatti, le armi nucleari della Guerra Fredda non erano dotate di scatola nera come oggi e quindi sono anzitutto molto difficili da individuare.
Inoltre, anche nel caso di ordigni già individuati, spesso la loro posizione, magari in fondo all’oceano, li rende sostanzialmente irrecuperabili, sia per la mancanza di mezzi per raggiungerli e portarli in superficie in sicurezza sia per i costi che avrebbe un'iniziativa del genere. Un esempio è quello della bomba caduta vicino l'isola di Tybee, in Georgia, nel 1958: l'arma è rimasta inesplosa sotto uno strato di limo spesso tra 1,5 e 4,6 m sul fondo dell’oceano e lì probabilmente rimarrà.