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3 Marzo 2023
15:30

Come sta andando in Afghanistan dopo il ritiro delle truppe USA? La situazione oggi in sintesi

Isolato dal contesto internazionale, in una crisi senza precedenti, con metà popolazione - quella femminile - che è esclusa da ogni forma di vita sociale, l'Afghanistan sta attraversando una fase delicata e difficile. C'è speranza che migliori?

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Come sta andando in Afghanistan dopo il ritiro delle truppe USA? La situazione oggi in sintesi
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È ormai passato più di un anno e mezzo dal ritiro delle truppe statunitensi dall’Afghanistan. L’operazione è stata definita come una delle più disastrose della storia recente (dal punto di vista logistico e dell'organizzazione), e ha lasciato il Paese in mano ai talebani. Due giorni dopo la partenza della coalizione NATO questi ultimi hanno ripreso il potere su Kabul e su tutto l’Afghanistan dopo una guerra silenziosa durata vent’anni. Hanno rifondato l’Emirato Islamico abbattuto nel 2001 proprio dall’invasione statunitense e hanno riportato il Paese indietro di almeno un secolo dal punto di vista dei diritti civili e sociali.

Il regime dei Talebani, infatti, è uno dei più severi e duri al mondo e prevede un’interpretazione estremamente restrittiva della Sharia, la legge islamica. È ad esempio l’unico Stato a vietare la scuola alle bambine e alle ragazze. Anche per questo motivo nessun Paese riconosce ufficialmente l’Emirato islamico talebano e per questo c’è una crisi economica ed umanitaria senza precedenti. Eppure un timido sostenitore venuto a rimpiazzare gli Stati Uniti c’è: la Cina.

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La situazione attuale in Afghanistan

L'attuale situazione in Afghanistan si può sintetizzare con una parola: stallo. Sappiamo che uno Stato moderno per esistere ha bisogno di alcune cose fondamentali: sovranità su un territorio e su una popolazione, un esercito per il monopolio della forza e, infine, riconoscimento degli altri Stati.

Ecco, l’Afghanistan dei talebani non è riconosciuto da nessuno. Dopo oltre un anno di potere, nessuna nazione straniera ha ufficialmente riconosciuto l’esistenza del governo talebano. Cina, Russia, Pakistan e Turkmenistan si sono limitati ad accreditare i diplomatici talebani. Le motivazioni sono differenti, per alcuni di loro è una questione di sicurezza, per altri è parte di un interesse strategico.

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Questo mancato riconoscimento non è una questione puramente formale. Permetterebbe, infatti, di sbloccare aiuti umanitari e fondi per lo sviluppo provenienti dalle Nazioni Unite e dalle ONG. Inoltre, moltissimi fondi (e quindi soldi) afghani sono bloccati negli Stati Uniti perché sarebbero dovuti andare al governo ormai deposto.

In dodici mesi l'ONU stima siano stati persi 5 miliardi di dollari: moltissime imprese hanno chiuso perché scappate dal Paese oppure perché chiuse dai talebani. Inoltre la metà della forza lavoro, ossia quella femminile, è stata mandata a casa perché per le donne è vietato lavorare in quasi tutti i campi. Per questi e altri motivi in un anno sono stati annullati dieci anni di progressi in ambito civile, sociale ed economico.

Si stima che questo abbia ulteriormente alzato il tasso di povertà. Oggi il 97% della popolazione vive sotto la soglia di povertà.

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Perché gli Stati Uniti hanno scelto di ritirarsi

Da anni gli statunitensi non avevano più visto di buon’occhio la guerra in Afghanistan. Il perché è molto semplice: i motivi per cui era stata iniziata non c’erano più. Nel 2001 il tasso di approvazione nei confronti del conflitto tra la popolazione degli USA era del 88%, contro il 61% del 2009 e contro la totale impopolarità dopo soli due anni, quando uno dei tanti motivi per cui Obama vinse le elezioni fu proprio perché espresse la sua contrarietà alle guerre in Afghanistan e in Iraq.

Questa presenza militare ventennale, che ha causato 2312 morti fra i soldati americani e ne ha feriti più di 19mila, è diventata negli ultimi anni straordinariamente impopolare. Fin dalla presidenza di Barack Obama, infatti, si parlò di ritirare progressivamente la presenza americana dal territorio afghano.

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Il piano prevedeva il ritiro di tutte le forze statunitensi entro il 2014 ad eccezione di diecimila unità che sarebbero servite per addestrare l’esercito locale e annientare gli ultimi focolai di Al Qaeda sparsi sul territorio. La prima parte del piano venne eseguita. Ma i restanti diecimila soldati avrebbero dovuto abbandonare il Paese nel 2016. Nel 2017, quando salì al potere Trump, erano ancora lì.

In campagna elettorale Donald Trump era per una scelta “isolazionista”, ovvero avrebbe voluto che tutti i militari statunitensi tornassero a casa. Dopo sette mesi di governo, però, ammise che, nonostante inizialmente fosse favorevole ad un netto ritiro dall’Afghanistan, aveva paura che andandosene si sarebbe creato uno spazio per i terroristi.

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La sua amministrazione siglò un patto con i talebani nel 2020 a Doha che prevedeva il ritiro completo delle truppe statunitensi in cambio della chiusura, da parte dei talebani, di ogni rapporto con Al Qaeda. Con l’arrivo del nuovo Presidente Biden il piano venne prorogato. Dal 1 maggio 2021, che era la data prevista da Trump, Joe Biden volle spostarla all’11 settembre 2021, anniversario di una data storica, nonché principale motivo dell’avvio della guerra in Afghanistan. Un gesto estremamente simbolico.

Il problema è che, all’annuncio del ritiro ufficiale di Biden, i talebani, che non si erano mai sopiti, hanno iniziato una serie di attacchi nelle periferie afghane. L’intento era quello di riprendersi il territorio man mano che gli statunitensi indietreggiavano. Intento che vediamo essersi pienamente realizzato.

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Breve sintesi della guerra in Afghanistan

Viene chiamata ormai da tutti gli statunitensi “forever war”, perché è la guerra che è durata di più in tutta la storia del Paese. E la motivazione risiede in una data in particolare: l’11 settembre 2001. Dopo l’attentato delle Torri Gemelle e la rivendicazione di Al Qaeda, l’amministrazione Bush aveva bisogno di dare agli statunitensi sconvolti un nemico “fisico” a cui opporsi.

In Afghanistan c’era il feroce Emirato Islamico e il mullah (che significa "cultore dell'Islam") Mohammed Omar. Secondo la CIA era lui il vero capo dei Talebani nonostante non comparisse mai in pubblico. Inoltre i servizi segreti ritenevano che Osama Bin Laden, leader di Al Qaeda, avesse sposato la sorella del mullah Omar, il quale a sua volta avrebbe preso come quarta moglie la sorella del terrorista saudita.

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Nonostante il regime afghano smentì il proprio contributo all’attentato, il 7 ottobre iniziò l’operazione Enduring Freedom. Vi partecipò anche il Regno Unito. Scopo dell’operazione era abbattere un sistema ritenuto amico dei terroristi. Il 9 novembre iniziò l’azione via terra e in soli 4 giorni la coalizione militare raggiunse Kabul.

Le operazioni vennero sostenute anche da Ahmid Kharzai, che con una milizia di tremila uomini abbatté molte roccaforti talebane. In due mesi l’Emirato fu deposto. Tuttavia né Bin Laden né il Mullah Omar vennero mai catturati.

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Ahmid Karzai divenne il primo Presidente ad interim di un’Afghanistan in transito verso la democrazia. Da dicembre in poi anche l’ONU e altri attori come la NATO inviarono i loro contingenti. Anche l’Italia mandò diverse migliaia di unità. Lo scopo era quello di aiutare a stabilizzare il Paese.

I talebani rimasero, però, nel paese e misero in atto una “resistenza a basso impatto” nelle immense distese afghane, dove venivano affrontati dalle forze occidentali, che però non sono mai riuscite a sconfiggerli del tutto.

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