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L’alluvione di Sarno del 5 maggio 1998 e le cause che innescarono la tragica frana

Il 5 maggio 1998 l'alluvione di Sarno provocò 161 morti, 350 feriti e 3mila sfollati. Fiumi di fango e detriti investirono i centri abitati della cittadina salernitana e di alcuni comuni limitrofi tra cui Siano e Quindici. Ma cosa è realmente successo quella notte? La tragedia fu solo colpa della pioggia?

A cura di Videostorie
5 Maggio 2022
18:15
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L’alluvione di Sarno del 5 maggio 1998 e le cause che innescarono la tragica frana
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Tra il 5 e 6 maggio del 1998 i paesi di Sarno, Siano, Quindici, Bracigliano e San Felice a Cancello vennero travolti da molti milioni di metri cubi di fango e detriti che si riversarono sui centri abitati, travolgendo e distruggendo tutto ciò che si trova sulla sua strada. In questa tragedia persero la vita complessivamente 161 persone. Quella notte gran parte dello strato superficiale del monte Pizzo di Alvano si staccò, per le piogge insistenti che in quelle ore cadevano in quella zona. I rilievi che bordano la valle del Sarno, come in tante aree intorno al Vesuvio, sono ricoperti da uno strato di materiale vulcanico, pomici e ceneri. Questo materiale non è duro e compatto come la roccia ma è “sciolto”, così si dice in gergo, cioè è abbastanza poroso, permeabile e friabile.

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Sarno dopo le colate rapide – Foto Ansa

La causa di questa tragedia fino a poco tempo fa venne attribuita esclusivamente a un evento piovoso molto intenso, ma in realtà analisi geologiche e studi successivi suggeriscono che la quantità d’acqua caduta in quei giorni difficilmente avrebbe potuto generare una frana del genere. Fenomeni del genere, così violenti,  solitamente avvengono per una serie di cause che si sommano, non una sola;

1) geologico, cioè come abbiamo visto è un territorio che così come è fatto, ha un rischio idrogeologico;

2) le piogge;

3) riduzione della vegetazione;

4) cattiva manutenzione dei canali di sfogo.

Cosa è successo e perché

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Schema dei blocchi geologici delle montagne di Sarno
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L’acqua che crea la superfice di scivolamento

Dai monti di Sarno circa 2 milioni di m3 di fango scivolarono a una velocità di circa 50km/h, In quei giorni erano caduti dai 120 ai 170 mm di pioggia, una media notevolmente inferiore agli anni precedenti. I rilievi montuosi dove si verificarono le frane appartengono alla dorsale dei Monti di Avella e sono caratterizzati da due pacchi di strati geologici: sotto c’è la roccia più dura, carbonatica e sopra c’è il materiale vulcanico, piroclastico, che abbiamo accennato prima. In caso di piogge lente e insistenti lo strato piroclastico, che è permeabile, si inzuppa di acqua che filtra fino allo strato carbonatico, riempiendo le sue fratture. Tra i due strati l’acqua forma un cuscinetto che funge da superficie di scivolamento dando  vita alle “colate rapide”, ovvero un fiume di fango che viene giù violentemente dalla montagna. Questo tipo di frane colpì i centri abitati di Sarno, Siano, Quindici, Bracigliano e San Felice. A Cancello danneggiò più di 400 case e ne distrusse 178. A seguito degli avvenimenti del 5 e 6 maggio la Prefettura di Napoli decise di attivare una rete di monitoraggio ambientale, realizzata e installata da una società del settore, per garantire un controllo delle piogge e dei loro effetti sull'evoluzione della frana.

 Le cause della frana di Sarno 

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VV.FF–Monte Pizzo di Alvano visto dall’elicottero

La morfologia di questo territorio, le piogge, una copertura vegetale ridotta e la mancanza di una efficiente rete di canali di sfogo delle acque piovane, ha fatto sì che venissero giù queste colate rapide. La copertura vegetale del terreno è fondamentale su questi pendii, perché gli alberi svolgono un ruolo decisivo nella stabilità dei versanti. In quelle aree, negli anni precedenti, grossi incendi avevano ridotto la superficie boschiva e quindi la stabilità. Un altro motivo che contribuì alla tragedia fu l’assenza di un'appropriata manutenzione dei canali di drenaggio delle acque piovane che si trovavano ai piedi dei monti di Sarno. Questi canali erano ostruiti da anni e non erano mai stati ripuliti dai detriti. Quindi le cause di questo violento fenomeno sono sia naturali che antropiche.

Il disastro del 5 e 6 maggio 1998 portò all’emanazione di una nuova legislazione in materia di dissesto idrogeologico. Poche settimane dopo l’evento venne infatti emanato un  Decreto Legge, la cosiddetta “Legge Sarno”. Questa legge regola i criteri e i metodi per l’individuazione del rischio da frana e inondazione, e per la redazione dei Piani per l’Assetto Idrogeologico. La legge ha posto particolare attenzione alle fasi di valutazione dei livelli del rischio e alla definizione delle conseguenti misure di salvaguardia, e ha richiesto agli enti territoriali competenti la programmazione di opere di mitigazione del rischio stesso delle frane.

L’unica arma contro i grandi fenomeni naturali, come le frane, è la prevenzione. La prevenzione è quella capacità di agire prima; è quel pensare in anticipo e agire in anticipo. Solo così si possono evitare vittime e enormi danni. La società geologica italiana lo sta dicendo da decenni: c’è bisogno di fare prevenzione. Per farla c’è bisogno di sovvenzioni; bisogna finanziare le scienze geologiche.

In Italia ci sono tantissime aree in condizioni simili a quelle di Sarno. Abbiamo le persone che sanno come studiare queste aree e come metterle in sicurezza, quello che serve è prendere decisioni.

Immagini su gentile concessione del sito polaris.irpi.cnr.it, dell'Istituto di Ricerca per la Protezione Idrogeologica (IRPI), del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR)

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