Pensando alla serie numerosa di eventi meteorologici che negli ultimi 100 anni hanno segnato e sconvolto il territorio italiano, l’alluvione di Firenze è certamente tra quelli che hanno lasciato un ricordo indelebile nella memoria collettiva. All’inizio del novembre 1966 un episodio di maltempo di rara intensità in Italia causò precipitazioni straordinarie che nel Triveneto e in Toscana causarono l'alluvione di Firenze del 4 novembre 1966, una tra le più gravi che il nostro Paese ricordi, responsabile in totale di almeno 134 vittime, quasi 90.000 sfollati e danni per circa 1000 miliardi di lire dell’epoca. La tragedia subita da Firenze e dal suo patrimonio artistico e culturale ebbe una straordinaria risonanza internazionale, ma le conseguenze dell’evento furono durissime anche per le valli tra il Trentino orientale, il Bellunese e la pianura veneto-friulana.
La situazione meteorologica in Toscana prima dell'alluvione
L’alluvione di Firenze del 1966 trae origine da una particolare situazione meteorologica a scala continentale creatasi nel mese di ottobre. Un mese caratterizzato in Europa da frequenti scambi meridiani, ovvero nord-sud, tra l’aria fredda artica e l’aria più calda sub-tropicale. Questo accade tutte le volte che si viene a creare una marcata differenza di temperatura tra Poli ed Equatore, assai frequente nelle stagioni di mezzo, ovvero in autunno e in primavera. In sostanza, si pongono le basi per il verificarsi di fenomeni violenti o estremi.
Tra il 1° e il 3 novembre 1966 l’Italia si ritrovava all’interno di una vasta saccatura (conca di bassa pressione allungata nel senso dei meridiani, a cui sono normalmente associate condizioni di brutto tempo), che dalle coste dell’Africa settentrionale si estendeva fino ai Paesi scandinavi, alimentata sul lato occidentale dall’aria fredda in discesa dall’Artico (la stessa che nei giorni precedenti raggiunse la Penisola favorendo precoci e abbondanti nevicate sull’arco alpino e sull’Appennino settentrionale).
Sul lato orientale di questa saccatura, invece, iniziò il pompaggio massiccio di aria calda e umida meridionale. Tra le due diverse masse d’aria, nel corso del 3 novembre, prense vita la classica perturbazione a carattere di fronte freddo (sistema nuvoloso associato a condizioni di maltempo con fenomeni anche intensi e temporaleschi) sul mar Tirreno, praticamente stazionario. Davanti a questo fronte si sviluppò una serie di piccole depressioni secondarie che risalgono il Mediterraneo, impattando sulla Toscana e sulle regioni di Nordest. In particolare si formarono ben 4 mini-depressioni, quasi allineate tra loro, associate a intensi moti convettivi e dunque a intense celle temporalesche. Tra queste vi era anche quella posizionata tra alto Tirreno e Mar Ligure, che avrebbe contribuito a generare l’alluvione di Firenze. Questi mini-vortici attivarono venti meridionali fortissimi associati a precipitazioni di eccezionale intensità, soprattutto nel Centro-Nord della Penisola dove la perturbazione persiste in maniera più duratura e con effetti più devastanti.
Perché l'alluvione di Firenze del 1966 fu così estrema
Quella appena descritta non può essere definita una configurazione meteorologica rara ed eccezionale. Tenete presente che la minima pressione registrata al suolo era di 994 hPa perché questo tipo di circolazioni atmosferiche sono frequenti nella stagione autunnale. A fare la differenza rispetto ad altre situazioni meteorologiche simili fu l’intervento simultaneo di una serie di fattori molto particolari. Tra questi vale la pena ricordare:
- la risalita di masse d’aria molto calde e umide dall’Africa settentrionale e dal basso mar Mediterraneo verso il mar Tirreno, vero e proprio “carburante” per la genesi di fenomeni meteorologici persistenti e violenti. La forte differenza di pressione est-ovest (più alta a est e più bassa ad ovest rispetto alla Toscana, da cui derivò lo spostamento dell’aria da sud-est verso nord-ovest) creò le condizioni per l’attivazione di un imponente flusso di vapore che viene definito atmospheric river (“fiume atmosferico”). Il rilascio del calore latente di condensazione di questo flusso umido impresse un’ulteriore spinta verso l’alto alle masse d’aria (scaldandole queste diventano ancora più leggere e in grado di contenere quantità maggiori di vapore acqueo), facendo da calamita per il richiamo di ulteriore aria calda e umida da meridione (una sorta di risucchio continuo d’aria dal basso verso l’alto).
- la disposizione geografica dell’Appennino settentrionale rispetto alla direzione (meridionale e dunque perpendicolare) delle correnti. Le masse di aria calda al suolo, provenienti da sud-sudest, vennero convogliate tra l’Appennino a est e le masse fredde ad ovest. In sostanza le correnti sud-orientali rimangono schiacciate in una sorta di “canale a imbuto”, una specie di strozzamento, che le costringeva a superare forzatamente i rilievi orografici. Nella loro risalita forzata dell’Appennino, sul pendio toscano, queste masse calde si raffreddavano velocemente salendo di quota, favorendo così la condensazione e dunque la trasformazione dell’enorme quantità di vapore acqueo presente al loro interno in goccioline d’acqua, che si scaricarono poi sui rilievi toscani attraverso enormi quantità di pioggia.
A pesare negativamente su questa serie di concause, già di per sé sufficienti a generare un evento di dimensioni e impatto devastanti, hanno contribuito:
- la notevole piovosità del precedente mese di ottobre e soprattutto dell’ultima decade (+188% rispetto alla norma, che superò il 200% per alcune zone della Toscana);
- le nevicate precoci (fino a quote poco sotto i 1000 metri) degli ultimi giorni di ottobre e del 1° novembre.
È evidente dunque che le falde sotterranee e i bacini imbriferi fossero sostanzialmente saturi ai primi di novembre e che la possibilità di ritenzione di nuove piogge fosse alquanto scarsa. Il successivo rapido scioglimento della neve caduta sull’Appennino, tra il 3 e il 4 novembre, a seguito dell’afflusso caldo e del conseguente repentino rialzo termico, fece il resto.
Le precipitazioni in Toscana
Per quanto riguarda gli effetti precipitativi, le maggiori precipitazioni si registrarono nel Triveneto con accumuli in meno di 48 ore di oltre i 500 mm sulle Prealpi venete e di oltre 700 mm su quelle friulane. In Toscana il valore più elevato venne misurato a Badia Agnano (AR), nell’alta Valle dell’Arno, con 437,2 mm in 48 ore, di cui 338,7 mm in 24 ore. A Firenze, tra il 4 e il 5 novembre caddero tra i 180 e i 200 mm. La piena eccezionale dell’Arno raggiunse, nel suo momento di picco (alle ore 3 del giorno 4), una portata di 4000 m3/s, e il volume di acqua che entrò in città raggiunse i 230 milioni di metri cubi di acqua (dati dell’Autorità di Bacino dell’Arno).
I danni nel Nordest
Nelle regioni del Nordest (Veneto, Friuli Venezia Giulia, Trentino-Alto Adige ed Emilia) le vittime furono 87, gli sfollati oltre 42.000. In Pianura Padana vennero inondati almeno 137 km2 di territorio, con danni in almeno 209 comuni. In Toscana si contarono 47 morti, centinaia di feriti e 46.000 tra sfollati e senzatetto concentrati principalmente nella città di Firenze.
Tutti i fiumi veneti della rete idrografica principale registrano le piene più elevate del secolo. Fu il Piave a causare i maggiori danni. A Venezia, complice una violentissima corrente sciroccale, l’acqua alta raggiunse il record a oggi imbattuto di ben 194 cm.