Il concetto di “capro espiatorio” ha origine nel libro del Levitico, e riguarda un essere animato o inanimato (per esempio una capra) ritenuto capace di riunire a sé i mali e le colpe della comunità, la quale, grazie a questo transfer, viene liberata, espiata.
Oggi, l’espressione fa riferimento a un preciso sentimento di odio che si diffonde nelle società e che converge verso una sola vittima, nonostante il capro espiatorio sia parzialmente o totalmente innocente. Capiamo perché ciò avviene e quali sono i meccanismi psicologici e sociali che portano a questa situazione.
L’uso del capro espiatorio
Quando aleggiano sentimenti di paura o di insicurezza, non è inusuale accorgersi che la società converga nell'additare all’unisono colpe e odio verso bersagli ben precisi. In queste circostanze, si identifica un soggetto (o, in passato un animale) che deve pagare al posto di tutti gli altri i mali della società, allo scopo di ripulirla.
In situazioni in cui la disgregazione sociale è forte, la comunità non può trovare accordo se non unendosi contro qualcuno o qualcosa. Il capro espiatorio quindi, “svia” la violenza del gruppo e la canalizza su un bersaglio che diventa legittimo, il cui “sacrificio” salva la comunità (lavandone le colpe). Da qui anche il termine “immolarsi” (da mole, la pietra della lapidazione). Spostando il malcontento e le insoddisfazioni sul capro espiatorio, si ritiene che il suo sacrificio ristabilirà la pace e risolverà tutti i conflitti.
Il capro espiatorio diventa in senso figurato un sacco da boxe, il bersaglio contro cui scagliamo problemi e conflitti che facciamo fatica a risolvere. Si tratta di una semplificazione: scaricare le colpe verso qualcuno evita a noi di approfondire una situazione complicata che richiede di essere risolta.
Durante le crisi collettive vediamo questi comportamenti ripetersi e degenerare quasi sempre nello stesso modo, dando vita a un desiderio unanime e indifferenziato di vendetta. L'antropologo Girard definisce questo dilagare di vendetta “contagio memetico”: un emozione collettiva molto forte che si espande velocemente nell’intera comunità. La folla, spesso guidata da un leader carismatico, tenderà ad additare come colpevole un gruppo ristretto o un individuo per concentrare il proprio sentimento di odio e risentimento. Un esempio lampante riguarda la persecuzione degli ebrei nella storia e, in particolare, nel primo Novecento.
Il capro espiatorio può essere visto come una menzogna che la comunità si racconta per non disperdere il proprio legame sociale. Di fatto, quando il gruppo decide di “uccidere” (ora in senso figurato) l’unico responsabile dei mali che affliggono la società, rafforza il proprio legame di convivenza.
La scelta della vittima
La spinta mimetica, sempre secondo Girard, porta la folla a scegliere il proprio “condannato” non in base a indizi di colpevolezza ma in base a caratteristiche fisiche o situazionali che rendono un individuo sacrificabile. Ed è proprio per questo che la comunità non prova compassione per la sua sorte: dal momento che la morte del sacrificabile non verrà vendicata, non c’è il rischio che si inneschi un nuovo ciclo di violenza.
Tutti i capri espiatori hanno infatti in comune alcune caratteristiche:
- Sono diversi dal resto del gruppo: presentano diversità fisica, sociale o morale diverse dalla maggioranza. Gli accusatori, quindi, sono meno portati a identificarsi con loro e a provare compassione
- Possono avere un “difetto” fisico o psichico
- Possono essere persone di particolare bellezza o di bruttezza (come accadeva nelle società arcaiche)
- Possono appartenere a diverse religioni
- Non sono ritenuti essenziali per la sopravvivenza del gruppo: sono per esempio di ceti sociali molto bassi
Tuttavia, perché la punizione del capro espiatorio permetta di tranquillizzare davvero la società, la vittima sacrificale deve diventare una creatura malvagia e mostruosa: si costruisce una precisa narrazione che vede l’individuo come meritevole di punizione.
La funzione della vittima sacrificale
La creazione di un capro espiatorio risponde diverse necessità. Anzitutto, di autoconservazione: il gruppo scarica su un individuo relativamente indifferente (o una cerchia ristretta di persone) la violenza che altrimenti colpirebbe i suoi stessi membri. Attraverso un meccanismo chiamato “proiezione”, i capri espiatori attirano a sé tutti di quei sentimenti negativi che l’individuo, il gruppo o la società faticano a riconoscere come propri (non si ha il coraggio di ricercare i colpevoli reali tra i propri simili).
Non solo: gli esseri umani cercano un capro espiatorio quando non riescono a mettere in discussione il proprio valore personale. Ci difendiamo non attribuendoci le responsabilità dei nostri fallimenti ma li scarichiamo su qualcuno all’esterno.
In ultimo, la ricerca di un capro espiatorio è comune quando siamo di fronte a una situazione negativa a cui fatichiamo a trovare una chiara spiegazione.
In ogni caso, la conclusione di questo processo accusatorio ed eliminatorio è provvisoria: la distruzione del capro espiatorio eliminerà il male solo fino alla prossima crisi.