Di fronte ad alcuni avvenimenti, come ad esempio attentati terroristici, calamità naturali o magari la caduta di un piccolo meteorite, possono scatenarsi veri e propri episodi di panico sociale. Non è raro, inoltre, sentir dire da qualcuno che viviamo in una società più rischiosa rispetto a quelle passate. Ma è davvero così? Vediamo insieme perché questo accade e come evitare che alcune situazioni pericolose vengano sottovalutate o possano scatenare, al contrario, delle reazioni esagerate di panico collettivo.
La differenza tra rischio e pericolo
Il calcolo del rischio accomuna la fisica, l’ingegneria e le scienze sociali perché può essere applicato a numerosi fenomeni: dal fumo, all’energia nucleare, agli incidenti stradali, agli investimenti monetari.
Spesso si utilizzano i termini “rischio” e “pericolo” come sinonimi, ma è importante fare una distinzione:
- il rischio è la probabilità di subire o incorrere in un danno in un determinato contesto, in una precisa situazione: ha a che fare con l’eventualità, la possibilità e dipende molto dalle condizioni generali in cui siamo inseriti.
- il pericolo è la caratteristica intrinseca di una situazione, di un prodotto o di un oggetto, che potrebbe provocare un danno.
Facciamo un esempio per comprendere meglio la differenza. Per un essere umano un leone rappresenta un pericolo a causa di una sua caratteristica intrinseca, cioè quella di essere un predatore carnivoro. È però anche un rischio? Dipende dalla situazione: se il leone è chiuso in una gabbia no, ad esempio, se è libero ma noi abbiamo un fucile un po' di più, e così via.
Il rischio, quindi, si origina nella presenza di un pericolo, ma è legato alla probabilità che esso raggiunga la capacità di produrre un danno alle persone e alle cose. Ora, date certe condizioni, il rischio si può calcolare probabilisticamente e quindi in maniera oggettiva. Allora perché non lo percepiamo tutti allo stesso modo?
Come funziona la percezione del rischio
Dal momento che il rischio si compone di più elementi (comportamenti individuali, fattori esterni, tecnologici, organizzativi ecc.), non è sempre facile agire anticipando azioni che possono essere necessarie per salvaguardare la nostra salute e sicurezza.
Nella nostra società uno dei rischi maggiormente percepiti è quello di morire in un attentato terroristico, soprattutto dopo l’11 settembre. Si tratta di una percezione che sembra aumentare dopo ogni nuovo episodio terroristico e che può essere talmente radicata in alcune persone da condizionarle prima di decidere se prenotare un viaggio (magari in particolare in Israele o in Medio Oriente), andare allo stadio, al mercato o in un luogo affollato. Dall’Italian Terrorism Infiltration Index 2019, ideato dall’Istituto Demoskopika, era emerso che 1 italiano su 4 poneva “terrorismo e sicurezza” tra le preoccupazioni maggiori del 2020.
Un esempio: come è più probabile morire?
Cosa ci dicono i dati? La ricercatrice Susanna Hertrich, nella sua opera Risk I – III paragona l’attenzione che l’opinione pubblica e i media hanno su svariate cause di morte (incidenti aerei, attacchi terroristici, surriscaldamento globale e altri), accompagnandole alle probabilità statistiche che davvero si realizzino, sulla base dei dati delle ricerche svolte dal dottor Peter M. Sandman, ricercatore presso l’università di Haifa.
Come possiamo vedere dall'immagine qui sopra, il rischio percepito dagli individui spesso non coincide con la probabilità reale della sua incidenza. Secondo il Center for Disease Control and Prevention emergono infatti alcuni dati interessanti: rispetto alla percezione diffusa, la probabilità di morire per un attentato terroristico è appena 1 su 20 milioni, due volte meno probabile che perdere la vita in ascensore (1 su 10 milioni) e cento volte meno probabile che essere colpiti da un asteroide (1 su 200mila).
Di contro, si rileva una probabilità su cinque di morire di cancro e, secondo il Global Priorities Project, la probabilità di perire in un incidente d’auto è una su 10mila, dieci volte minore di quella determinata da eventi catastrofici legati al cambiamento climatico (1 su 1000 circa). Per quanto possa sembrarci strano, quindi, morire a causa dei cambiamenti climatici è 20 mila volte più probabile di perdere la vita in un attacco terroristico.
Perché la nostra percezione è distorta?
La nostra percezione del rischio viene distorta da vari fattori, tra cui:
- Il ruolo dei mezzi di informazione: riprendendo l'esempio degli attentati terroristici, il fatto che la notizia di ogni singolo attentato monopolizzi telegiornali, talk show e social network per giorni o settimane rende l'avvenimento molto accessibile alla nostra memoria e ne storpia la percezione. Più un evento è accessibile, più ci sembrerà frequente e probabile.
- L’illusione del controllo: si tratta della tendenza a sovrastimare le proprie capacità e probabilità di successo di fronte a una situazione di rischio ed è dovuta a un’eccessiva fiducia in sé stessi. In questo caso si sottostimano i fattori che rendono rischioso un evento e si sovrastimano alcune capacità personali: avviene soprattutto nelle situazioni in cui le persone ritengono di essere capaci o di avere esperienza nel gestire ciò che succede (come guidare, assumere alcol o sostanze stupefacenti, sciare fuori pista, ecc.).
- Il bias ottimistico e le euristiche cognitive: al di là dei nomi complicati, si tratta di “scorciatoie mentali” che fanno risparmiare tempo al nostro cervello quando deve elaborare delle informazioni, permettendoci di agire e prendere decisioni velocemente, ma che possono anche indurci in errore. Il bias ottimistico, ad esempio, consiste nel pensare che, rispetto alle altre persone, la probabilità di fare esperienza di eventi negativi sia per noi minore: si ritiene, cioè, che gli altri siano esposti a un certo rischio più di quanto lo siamo noi, senza apparente motivo.
- In ultimo, si osserva che la maggior parte delle persone esprime mediamente una maggiore preoccupazione per i problemi che hanno un effetto immediato sulla loro vita quotidiana rispetto ai problemi di lungo termine (come il cambiamento climatico o la diminuzione della natalità).
In conclusione, è fondamentale studiare questi meccanismi per far coincidere il più possibile il rischio reale con quello percepito, comprendere quanto sia essenziale in molti casi il valore della prevenzione ed evitare il più possibile la paura e il panico sociale.