I conservanti sono additivi che vengono usati nel cibo per favorire la conservazione degli alimenti sia crudi che preparati in seguito a cottura. Possono essere antimicrobici o antiossidanti: esempi conosciuti sono rispettivamente i solfiti e l'acido ascorbico. Spesso sono visti come dannosi, ma il loro uso nelle quantità appropriate – normate dalle istituzionni sulla base di studi scientifici – può proteggerci dalle conseguenze nocive delle intossicazioni alimentari.
Conservanti naturali e metodi di conservazione del cibo: cosa sono e quali sono
Fin dalla scoperta della cottura dei cibi, l'uomo ha sfruttato processi come l'essiccazione o l'affumicatura, che impediscono lo sviluppo di microorganismi come muffe o batteri. Questo aiuta a preservare il gusto, e allo stesso tempo a difenderci dal rischio di intossicazioni, dalle più comuni a quelle mortali come il botulismo.
L'essiccazione all'aria è un processo che non "aggiunge" composti al cibo, mentre quella sotto sale e l'affumicatura rilasciano nel cibo sostanze che fungono da conservanti nel tempo: nel caso dell'affumicatura, le sostanze (aldeidi o alcoli) derivano dalla combustione del legno. Un altro conservante utilizzato da secoli è lo zucchero, tipicamente impiegato in marmellate e conserve di frutta.
Altri alimenti non necessitano di particolari additivi dopo la cottura: è il caso della passata di pomodoro, tanto amata dagli italiani, ma che in forma di conserva fu inventata solamente nel 1796 dall'inventore francese Charles Nicolas Appert.
In questo caso, oltre alla perdita di acqua in cottura, l'acidità naturale dei pomodori (con un pH che oscilla solitamente tra 3,9 e 4,6) protegge il preparato dalla proliferazione dei microorganismi. L'ISS (Istituto Superiore di Sanità) consiglia, per maggior sicurezza, di mantenere un pH < 4,3 scegliendo opportuni tipologie di pomodoro, o aggiungendo succo di limone alla passata.
I conservanti e la normativa Europea
Con l'industrializzazione della filiera alimentare e lo studio della chimica degli alimenti, un numero sempre crescente di prodotti, naturali o sintetici, sono stati utilizzati per la protezione dei cibi.
In Europa i conservanti sono indicati da un codice numerico "E" all'interno della lista degli ingredienti: un sistema forse poco intuitivo per i consumatori, ma che permette di identificare in maniera univoca le sostanze.
Tra queste sostanze possiamo individuare due principali famiglie, gli antimicrobici e gli antiossidanti.
Tra i primi possiamo trovare i solfiti (E220-228) usati ad esempio nei vini, o l'acido benzoico e i suoi sali (E210-213), utilizzati in sottaceti o marmellate con scarso tenore di zuccheri.
Gli antiossidanti sono utilizzati soprattutto per prodotti freschi e non cotti, come insalate pronte o frutta tagliata. I naturali cambiamenti di colore, dovuti all'esposizione all'aria, scoraggiano infatti i consumatori anche in assenza di reali pericoli.
Per questo motivo si usano acidi come l'ascorbico e i suoi derivati, tra cui la vitamina C (E300-303), o l'acido citrico (E330). Quest'ultimo è contenuto anche nel succo di limone, il classico "rimedio della nonna" per conservare fragole o altra frutta tagliata che tutti abbiamo usato nelle macedonie.
I conservanti alimentari sono dannosi?
Come abbiamo visto, molti conservanti sono in realtà sostanze di comune utilizzo, ed il loro uso è fondamentale per potersi nutrire in sicurezza. L'uso degli additivi è normato e studiato da agenzie come l'EFSA (European Food Safety Authority), che si occupa di valutare l'incidenza degli eventuali casi di reazioni allergiche o avverse, così come i risultati di nuovi studi scientifici, per definire quali sostanze utilizzare e in che quantità.
Tra le sostanze ancora usate, per esempio, abbiamo i nitriti e nitrati (E249-E252), utilizzati nel confezionamento di salumi e altri prodotti a base di carne sono attualmente classificati come probabilmente cancerogeni, nello specifico all'interno del gruppo 2A della classificazione stilata dalla IARC (agenzia internazionale per la ricerca sul cancro). Questa classificazione indica una limitata evidenza (pochi studi) di effetti sull'uomo, con maggiori evidenze su animali.
Il rischio non è legato alle sostanze, naturalmente presenti anche in molti ortaggi come bietole o spinaci, quanto dalle reazioni innescate durante le cotture ad alta temperatura, come la frittura: in queste condizioni i nitriti possono formare le N-nitrosammine, le specie realmente dannose.
La reazione avviene in presenza di ammine, composti derivati dalle proteine, come quelle presenti in carni o formaggi. I nitrati possono invece essere trasformati in nitriti dal nostro organismo durante la digestione, portando anche questi a reagire con le ammine.
Per questo motivo, negli alimenti è stata definita una concentrazione massima di nitrati e nitriti di 150 milligrammi per kg (ossia lo 0,0150%). Nell'industria alimentare è molto comune aggiungere alle carni conservanti antiossidanti , come la Vitamina C, per la loro capacità di inibire la formazione di nitrosammine riducendo la probabilità di effetti negativi.
L'apporto di nitriti e nitrati negli alimenti è quindi basso e, in una dieta normale, la quantità di salumi consumata è decisamente minore di quella assunta negli studi dalle cavie; alcune specie sono inoltre scelte per una già alta propensione allo sviluppo di effetti avversi, con risultati che difficilmente sarebbero replicabili sull'uomo.
Possiamo quindi evitare di correre a svuotare il frigo. Ognuno dev'essere libero di fare le proprie scelte in fatto di cibo, ma per la nostra salute i conservanti restano uno strumento utile e sicuro: non facciamoci ingannare da titoli sensazionalistici e godiamoci i nostri pasti con serenità.