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È stato finalmente risolto un enigma durato quasi 200 anni. Un team di ricerca, guidato dai ricercatori dell’Università di St. Andrews nel Regno Unito, avrebbe identificato la sorgente dell’eruzione vulcanica che, nel 1831, durante la “Piccola Era Glaciale”, causò un abbassamento globale delle temperature fino a 1 °C, innescando i cambiamenti climatici che portarono al fallimento dei raccolti e a carestie in diverse regioni dell’Asia. Il vulcano responsabile è la caldera Zavaritski, situato sulla remota isola di Simushir a largo dell’isola di Hokkaido, nell’Oceano Pacifico, all’interno dell’arcipelago delle Curili, parte della Cintura di Fuoco. Nel 1831, avrebbe prodotto una potente eruzione esplosiva con una magnitudo pari a 5.5 VEI (Indice di Esplosività Vulcanica).
L’evento catastrofico: cosa accadde dopo l’eruzione del 1831
Il periodo storico compreso tra il 1800 e il 1850 è noto come la “Piccola Era Glaciale”. Si tratta del periodo più freddo negli ultimi 500 anni e fu causato dalla successione di diversi eventi vulcanici esplosivi. Tra questi, l’eruzione del vulcano Tambora in Indonesia nel 1815 e quella del Cosegüina in Nicaragua nel 1835.
Per quasi 200 anni gli scienziati hanno cercato di trovare il responsabile dell’eruzione vulcanica che, nell’estate del 1831, sconvolse il clima globale, causando un abbassamento delle temperature tra 0,5 e 1 °C, nonché responsabile di una diminuzione delle precipitazioni monsoniche in Africa e India. Oltre 13 milioni di tonnellate metriche di materiale piroclastico vulcanico e solfuri furono rilasciati nell'atmosfera, sbarrando il passaggio della radiazione solare verso il suolo e innescando, tra le conseguenze, una carestia che colpì India e Giappone tra il 1832 e il 1838, entrambe vittime di condizioni climatiche avverse e di scarsità dei raccolti. La stessa successione di eventi potrebbe aver poi contribuito all'intensificazione e/o diffusione del colera asiatico, diffuso dall’India, Giappone e Cina, verso l’Europa già a partire dal 1826 fino al 1837.
In quell’anno, il compositore tedesco Felix Mendelssohn, in viaggio attraverso le Alpi, scrisse: “È freddo come in inverno, c’è già neve spessa sulle colline vicine.” Altri documenti storici riportano avvistamenti di un sole dai colori insoliti – verde, viola o blu – osservato in diverse aree dell’emisfero nord. Fenomeni simili sono noti, ad esempio, dopo l’eruzione del vulcano Krakatoa in Indonesia nel 1883, e sono causati dalla dispersione e dall’assorbimento della radiazione solare all'interno di densi aerosol vulcanici.

Cosa dice il nuovo studio
Per molti anni, i principali sospettati sono stati due: il vulcano Babuyan Claro, nelle Filippine, e l’Isola Ferdinandea, situata a 50 km a sud della costa agrigentina, la cui formazione risale proprio all’estate del 1831. Tuttavia, un nuovo studio pubblicato su PNAS (Proceedings of the National Academy of Sciences) ha escluso entrambe le ipotesi, tracciando la vera origine dell’eruzione alla caldera Zavaritski, un vulcano remoto situato sull’isola Simushir, parte dell’arcipelago delle isole Curili, nel Pacifico nord-occidentale, tra l'isola di Hokkaido e dalla penisola del Kamchatka.

“Per molti vulcani terrestri, specialmente quelli in aree remote, abbiamo poche informazioni riguardo alle eruzioni storiche”, ha dichiarato Will Hutchison, coautore dello studio e vulcanologo presso l'Università di St. Andrews in Scozia. “Nessuno vive sull’isola Simushir e i documenti storici sono limitati a una manciata di diari di navi che passavano di lì ogni pochi anni.”
Analizzando la concentrazione di ceneri vulcaniche in alcune carote di ghiaccio della Groenlandia, gli scienziati hanno identificato alte concentrazioni di criptotephra, frammenti di vetro vulcanico incredibilmente minuti, con un diametro di circa un decimo di quello di un capello umano, risalenti all’estate del 1831. Inoltre, è stato riscontrato un alto quantitativo di zolfo prodotto dalla ricaduta atmosferica, superiore di 6,5 volte rispetto ai livelli trovati per lo stesso periodo nelle carote di ghiaccio dell'Antartide. Questa evidenza dimostrava che l’eruzione doveva essere avvenuta nell’emisfero settentrionale, quindi più vicino alla Groenlandia che all’Antartide.

L'analisi chimica del materiale vulcanico ha evidenziato una corrispondenza perfetta con campioni provenienti dall'arcipelago delle Curili. L’eruzione sarebbe avvenuta abbastanza vicina al Giappone da causare la distruzione dei raccolti, ma sufficientemente lontana da passare inosservata alla popolazione. Infine, le datazioni al radiocarbonio e il confronto con campioni prelevati da diverse isole nell'arcipelago Curili hanno permesso di identificare con precisione il vulcano Zavaritski, che, in quel periodo, avrebbe dato vita a un’eruzione altamente esplosiva, con un indice VEI compreso tra 5 e 6, risolvendo così un mistero che durava da quasi 200 anni.