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17 Marzo 2024
14:00

Il colore più costoso d’Europa nel Medioevo: il blu oltremare

Il blu oltremare derivato dal lapislazzuli è stato il colore più ricercato e costoso dal Medioevo all’Ottocento; ha conquistato nobili ed ecclesiastici per la ricchezza delle sua sfumature mentre artisti e chimici hanno gareggiato per trovare un pigmento sintetico che potesse eguagliarlo.

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Il colore più costoso d’Europa nel Medioevo: il blu oltremare
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Il blu oltremare, una caratteristica tonalità intensa di blu ottenuta da un pigmento inorganico minerale ricavato dal lapislazzuli, per secoli è stato il pigmento più costoso d’Europa e veniva utilizzato nei dipinti come simbolo di ricchezza e potere. La sua complessa struttura molecolare ha sfidato generazioni di chimici nella ricerca di una via più economica per la sua produzione e ha portato alla sintesi, dopo quasi quattrocento anni, dei primi oltremare artificiali con caratteristiche abbastanza simili a quello naturale. Vediamo come si produce, cosa sono i lapislazzuli e perché era considerato un simbolo di potere.

Il blu oltremare dal lapislazzuli

Il lapislazzuli è una pietra relativamente preziosa, la cui unica fonte durante il Medioevo erano le cave dell’odierno Afghanistan. Il pigmento che si ricava dalla pietra è chiamato “oltremare”, proprio perché arrivava letteralmente dall’altra parte del Mar Mediterraneo (usualmente i pigmenti venivano identificati in base al luogo d’origine). Dalle cave, questo minerale raggiungeva l’Europa approdando nei porti italiani tramite le rotte mercantili, principalmente veneziane. Questa “pietra azzurra” (lapis, pietra e lazuli, azzurro) ha un colore blu molto particolare, profondo, ricco e venato di striature dorate date dalla presenza di pirite, un composto di ferro e zolfo. La pietra in sé è infatti un miscuglio di minerali, e il colore blu è dato da quello più presente, la lazurite.

lapislazzuli

La lazurite: il pigmento minerale più complesso del Medioevo

La lazurite è un complesso alluminosilicato di sodio, cioè un minerale la cui struttura è composta da atomi di alluminio, sodio e ossigeno. Considerando che la sua composizione poteva variare in base al contenuto di sodio, zolfo e calcio o alla presenza di impurità, la formula della lazurite è la più complessa tra i pigmenti minerali. Una delle versioni ad oggi accreditate dalla International Mineralogical Association (IMA) è: Na7Ca(Al6Si6O24)(SO4)S3 · nH2O, mentre quella del pigmento è Al6Na8O24S3Si6

In genere, gli alluminosilicati sono incolori, ma quello che distingue la lazurite è sono gli ioni polisolfuro (gruppi ravvicinati di due o tre atomi di zolfo), caratterizzati dalla presenza di un elettrone spaiato (ossia che occupa da solo un orbitale atomico) libero di muoversi. Quando la lazurite viene colpita dalla luce bianca, il pigmento assorbe la lunghezza d’onda (una componente della luce) corrispondente al colore rosso e riemette quella complementare, ossia quella blu. A livello atomico cosa succede? L’elettrone spaiato dello zolfo, quando viene colpito dal fascio di luce, assorbe una specifica quantità di energia (quella appunto corrispondente alla lunghezza d’onda della luce rossa) e si eccita, saltando ad un livello di energia più alto. Quando torna al suo stato iniziale, rilascia l’energia precedentemente assorbita, ma a lunghezza d’onda complementare, quella che noi percepiamo come blu.

Come si otteneva il colore blu nel Medioevo

Secondo alcune fonti il pigmento derivante dal lapislazzuli veniva usato fin dall’impero bizantino tramite semplice macinazione della pietra, come per molti pigmenti dell’epoca: il colore che ne derivava era però sbiadito e grigiastro. I primi tentativi di ottenere un pigmento che ricreasse la profondità del colore della pietra sembra ci siano stati intorno al 1200, ma il procedimento più usato nel Medioevo è quello descritto nel XV secolo da Cellino Cellini. Si polverizzava la pietra e si impastava la polvere ottenuta con cere, resine e oli; l’impasto veniva poi avvolto in un panno e immerso più volte nella lisciva fresca, una soluzione di potassio carbonato. Questo procedimento permetteva di separare gradualmente la lazurite dagli altri minerali e di eliminare le impurità.

Un simbolo di potere e ricchezza

Il lungo viaggio dai luoghi in cui veniva estratta unito al processo laborioso per ottenere un pigmento puro sono le principali ragioni dell’elevato costo del prezioso blu oltremare, talvolta venduto a peso d’oro.

L’oltremare divenne uno dei colori più richiesti dalla nobiltà per opere che esaltassero la ricchezza e la posizione sociale del committente: nei contratti venivano inserite clausole e fondi proprio per il suo utilizzo. Uno sfoggio di prestigio fatto anche dalla Chiesa che ha portato a una nuova iconografia ecclesiastica (le vesti della Madonna diventano di un blu intenso) che secondo gli storici dell’arte è più legata al fattore economico che a ragioni simboliche secondo cui il blu era il colore celestiale per eccellenza.

Immagine
Beato Angelico, da Wikimedia Commons

La ricerca di un oltremare sintetico

Dati gli elevati costi, il blu oltremare era usato maggiormente in Italia, dove il prezzo già alto non veniva ulteriormente gonfiato dai dazi doganali. Nel resto d’Europa era sostituito ad esempio dall’azzurrite, meno intensa e nel tempo tendente al verde, o dall’indaco ricavato dalla Indigofera tinctoria, con sfumature più violacee. Il fascino dell’oltremare era tale da spingere chimici e artisti dell’epoca a cercare di decifrarne la struttura chimica e di sintetizzare un colore che potesse avvicinarsi non solo alle sue sfumature intense, ma anche all’incredibile stabilità e resistenza ai danni del tempo.

La ricerca del perfetto oltremare sintetico portò alla sintesi del blu di Prussia prima e del blu cobalto poco più tardi, entrambi però molto diversi dall’originale. Nel 1824 la Société d’encouragement pour l’industrie nationale offrì 6000 franchi a chi avesse scoperto un metodo industriale a basso costo per la produzione di oltremare sintetico e nel 1828 il premio venne vinto da Jean-Baptiste Guimet. In realtà, secondo un recentissimo studio dell’Università di Bari, fu il Principe di Sansevero Raimondo di Sangro a inventare il primo oltremare sintetico della storia. Appassionato di chimica , produceva direttamente lui i colori per i lavori che commissionava e proprio l’analisi di un affresco della cappella di famiglia sarebbe la prova della sua scoperta ben cinquant’anni prima di Guimet.

Dalla scoperta dell’oltremare sintetico, il pigmento naturale venne a poco a poco abbandonato, ma la ricchezza di questo colore ha continuato a ispirare moltissimi artisti del XX secolo, dagli impressionisti come Renoir e Matisse fino a Yves Klein che nel 1960 brevetta l’International Klein Blu (IKB), la sublimazione dell'oltremare ottenuto miscelando il pigmento sintetico con un legante che non alterava la lucentezza della polvere pura.

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