
Charles John Joughin è stato il capo panettiere sul Titanic, ed è sopravvissuto al naufragio del 15 aprile 1912. Joughin ha raccontato di essere stato tra gli ultimi ad abbandonare la nave, e di essere sopravvissuto per 2 ore nell'acqua gelata grazie al whiskey che aveva bevuto e che lo avrebbe protetto dal freddo. In realtà, è probabile che la sua testimonianza non sia del tutto attendibile, perché il corpo umano può sopravvivere in acqua gelata solo per pochi minuti e l'alcool non ha la capacità di scaldare il corpo. Tuttavia, un "goccetto" potrebbe aver attenuato lo shock, oppure il capo panettiere potrebbe non essere stato nell'acqua tutto quel tempo, ma solo esposto all'aria.
Chi era Charles Joughin, capo panettiere sul Titanic
Joughin, nato a Birkenhead, Liverpool, il 3 agosto 1879, aveva già lavorato come capo panettiere per la White Star Line sulla nave gemella del Titanic, l’Olympic. Al momento in cui si era arruolato, aveva 30 anni ed era residente a Elmhurst. Dall’analisi svolta grazie al censimento del 1911 sappiamo che aveva una moglie di nome Louise, di 31 anni, originaria di Douglas, nell’Isola di Man, una figlia chiamata Agnes, di tre anni, nata a Kirkdale vicino a Liverpool, e il figlio Roland, di un anno, nato invece a Southampton, la città da cui il 10 aprile del 1912 alle 12.06 salpò il Titanic. Joughin, come capo panettiere, era responsabile di un gruppo di 13 persone.

Dopo il naufragio del transatlantico, Joughin è rientrato in Inghilterra e ha partecipato come testimone all’inchiesta britannica sulla disgrazia, che si è tenuta dal 2 maggio al 3 luglio 1912. In seguito, lavorò ancora sulle navi da crociera.
La testimonianza di Joughin: come ha fatto a sopravvivere durante il naufragio
Joughin, durante la testimonianza, racconta che, al momento dell’impatto con l’iceberg, avvenuto alle 23.40 del 14 aprile, era fuori servizio e si trovava nella sua cuccetta. Si rese conto dell’accaduto e inviò i suoi panettieri a rifornire con 50 pagnotte i passeggeri che salivano sulle scialuppe di salvataggio, poi si ritirò per bere qualcosa di alcolico.

In seguito, si recò sul ponte e raggiunse la scialuppa che gli era stata assegnata come responsabile, essendo lui membro dell’equipaggio: Joughin ricordava che era la scialuppa numero 10, ma non ci salì per dare il buon esempio. Preferì aiutare donne e bambini a mettersi in salvo e poi, dopo che la scialuppa partì, lui rientrò e bevve di nuovo del whisky.
Quando tornò sul ponte della nave, tutte le barche di salvataggio erano già partite, e quindi Joughin decise di scendere sul ponte inferiore e lanciare in mare delle sedie a sdraio per permettere a chi si trovava in acqua di aggrapparsi a qualcosa.
Quando intorno alle 2 del mattino il Titanic si spezzò in due tronconi e Joughin non riuscì più a mantenere la posizione eretta a causa della pendenza della nave e rimase attaccato in verticale: sarà una delle ultime persone, se non proprio l’ultima, a rimanere attaccato al transatlantico che si inabissò alle 2.10. Pochi minuti dopo si ritrovò in acqua, e disse di non essersi nemmeno bagnato i capelli.
Nella testimonianza, raccontò poi di aver semplicemente iniziato a nuotare e, verso le 4 di essere riuscito ad avvistare la zattera pieghevole B appartenente al Titanic, ma non c’era posto per lui, così rimase ancora in acqua. Dopo altro tempo, un collega dell’equipaggio, il cuoco Isaac Maynard lo riconobbe e lo aiutò a salire sulla zattera B della nave Carpathia, che lo trasse in salvo. Joughin racconterà di essersi accorto solo allora di avere i piedi gonfi. Arrivò a New York il 16 aprile del 1912, in uno stato generale di buona salute.
I dubbi e le incongruenze sulla testimonianza di Joughin
Charles Joughin disse di aver sì accusato il freddo, ma forse grazie all’alcool che aveva in corpo non lo ha sofferto più di tanto né si è fatto fermare da esso. Nella testimonianza di Joughin, confrontata con racconti di altri testimoni, vennero riscontrate diverse incongruenze.
Innanzitutto, il tempo di sopravvivenza in acque con temperature intorno agli 0°, è di pochi minuti: è quindi pressoché impossibile che abbia nuotato 2 ore senza morire per ipotermia. Per quanto riguarda la possibilità che si sia salvato grazie alla "protezione" dell'alcool bevuto, trattandosi di un vasodilatatore, la morte immerso in acqua sarebbe sopraggiunta più in fretta, non più lentamente.
Diverso sarebbe stato se lui fosse stato solo esposto all’aria gelata: l’alcool avrebbe potuto sia di proteggerlo – in parte – dalla fibrillazione ventricolare a cui il nostro cuore va incontro a basse temperature che dalle lesioni dovute al freddo ma anche dallo shock e dal terrore, altra causa di morte di molte persone.
Che il capo panettiere del Titanic abbia colorito il suo racconto? O i ricordi si sono alterati, forse a causa del grande impatto emotivo della faccenda? O magari ha voluto consegnarci una storia un po' diversa, forse romanzata, di come sono andate davvero le cose? Sicuramente siamo davanti a un personaggio tenace, basti pensare che dopo la Prima Guerra Mondiale, Charles Joughin si arruolò nella marina mercantile e lavorò ancora come panettiere in diverse traversate oceaniche, per poi trasferirsi in America, in New Jersey, dove muorì a causa di una brutta polmonite il 9 dicembre 1956. Prima di morire, fu chiamato a lasciare la sua testimonianza nel libroA Night to Remember di Walter Lord, testo in commercio ancora oggi.
La vera storia di Charles Joughin rimane avvolta nel mistero, così come molte altre vicende di passeggeri – sia sopravvissuti che purtroppo scomparsi – nel naufragio più famoso dell'ultimo secolo.