Dal secondo dopoguerra, la popolazione italiana ha vissuto cambiamenti importanti: dopo un forte rialzo della natalità negli anni del baby boom si è assistito a una progressiva e costante diminuzione dei nuovi nati fino ai giorni nostri, dove il numero medio di figli per donna si attesta a 1,4. La demografia italiana, tuttavia, presenta alcune importanti differenze regionali, sia nei comportamenti familiari sia nei confronti della salute e delle migrazioni. Facciamo una panoramica.
Le differenze tra regioni d'Italia del nord e del sud
Le regioni italiane si differenziano molto in termini di dimensione demografica e di superficie territoriale. Le più estese sono Sicilia e Piemonte (oltre 25.000 km2), seguite da Sardegna, Lombardia, Toscana ed Emilia-Romagna, (tutte con superfici superiori ai 20.000 km2).
Tra queste, la Lombardia è anche la più popolosa (circa 10 milioni di residenti), seguita da Lazio (5,7 milioni), Campania (5,6 milioni) e dalla Sicilia (poco più di 5 milioni di residenti). Umbria, Basilicata, Molise e Valle d’Aosta sono le meno popolose (circa 1 milione di residenti) e sono anche le meno estese (con una superficie inferiore a 6000 km2).
Nelle regioni italiane esistono forti differenze nelle strutture familiari, ossia nei modi e tempi di costruire una famiglia. In generale, si assiste a una progressiva diminuzione della fecondità: il numero medio di componenti per famiglia diminuisce ovunque, ma i valori sono diversi da regione a regione. Agli estremi troviamo la Liguria, con una media di 2,1 componenti per famiglia, e la Campania, molto al di sopra della media nazionale (con una media pari a 2,8).
Le cause della diminuzione del tasso di fecondità italiano
Tra le cause della diminuzione costante del tasso di fecondità italiano (numero medio di figli per donna) vi è la prolungata permanenza dei giovani nella famiglia di origine, l’allungamento dei tempi della formazione (per esempio, molti giovani si iscrivono all’università), le difficoltà a entrare nel mercato del lavoro e l’instabilità dei contratti, le difficoltà di accesso al mercato delle abitazioni e la ridotta crescita economica in generale. Vi sono poi cause culturali: ad esempio, la “caduta” del numero dei matrimoni lascia spazio a forme alternative di unione, tra cui un buon numero di relazioni senza figli. Per non parlare poi di scelte prettamente etiche o personali.
Quando i tassi di fecondità hanno iniziato a calare negli anni 90, l’Italia si differenziava molto dagli altri paesi occidentali, perché ancora non si riscontrava in essa la diversità di modelli di famiglia contemporanea (separazioni, secondi matrimoni, figli fuori dal matrimonio, famiglie monogenitoriali ecc.). Attualmente però il processo di avvicinamento agli altri Paesi europei è sempre più chiaro.
Mortalità e salute tra Nord e Sud
Nascere a Reggio Calabria o a Bolzano rappresenta ancora un importante fattore per l’aspettativa di vita, quantomeno "in buona salute". Se la speranza di vita, infatti, è abbastanza simile lungo tutta la penisola (tra 82 e 83 anni circa, in media), l’aspettativa di vita in buona salute varia fino a 12 anni se si nasce in Calabria o in Trentino-Alto Adige, a favore di quest'ultima regione.
E ancora: il 16% della popolazione minorenne del Sud (circa 1,4 milioni di minorenni) vive in povertà assoluta, cioè in ambienti insalubri, sovraffollati, senza i beni primari (un pasto quotidiano, il riscaldamento), contro il 14% dei bambini del Nord.
A livello di servizi invece, un bambino che si ammala nel Sud d’Italia ha il 70% di probabilità in più di uno del Centro-Nord di dover affrontare una “migrazione sanitaria” e farsi curare in un ospedale fuori dalla propria regione di residenza. Il dato non indica una carenza di medici o di eccellenza nel Sud, ma la carenza di strutture adeguate.
Spopolamento e immigrazione
I dati indicano che da più di un ventennio nelle regioni meridionali è in atto un processo di spopolamento che riguarda i centri urbani di media-piccola grandezza e le zone rurali interne. Con questo andamento, l’Istat prevede che nel 2056 le regioni meridionali perderanno 5.084.813 dei 20.625.813 abitanti attuali, (1 abitante su 4). Questo processo si deve in particolare allo scambio di italiani tra regioni, che vede come luoghi di destinazione soprattutto le regioni del Centro-Nord.
Un altro fenomeno demografico è il costante aumento della componente straniera. Gli stranieri, però, solo in parte riescono a contenere gli effetti negativi della bassa natalità italiana: se nei decenni scorsi la popolazione immigrata rappresentava una quota di popolazione con alti livelli di fecondità, ora, la sua integrazione nelle dinamiche socio-culturali ed economiche del Paese sta rendendo dati e statistiche delle famiglie di origine straniera sempre più simili a quelli delle famiglie di origine italiana. Comunque sia, la distribuzione regionale della popolazione straniera, in crescita ovunque, finirebbe anche in questo caso soprattutto nelle regioni del Centro-Nord.