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21 Settembre 2022
9:11

Missione Apollo 13: il fallimento di maggior successo della NASA

L'Apollo 13 è una tra le missioni più tristemente note della NASA: l'obiettivo era raggiungere la Luna ma presto si trasformò in una missione di salvataggio.

A cura di Roberto Manzo
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Missione Apollo 13: il fallimento di maggior successo della NASA
Apollo 13

Nove mesi dopo la missione spaziale statunitense che portò l’uomo sulla Luna, partì da Cape Canaveral la 3° missione che prevedeva l’allunaggio: stiamo parlando dell'Apollo 13! Questa missione, iniziata l'11 aprile 1970, è stata definita “il fallimento di maggior successo della Nasa”, in quanto raggiunse un obbiettivo fondamentale: la sopravvivenza dell’equipaggio. Andiamo quindi a vedere più nel dettaglio non solo in cosa consisteva il programma Apollo ma anche quali furono le cause dell'incidente – reso ancor più famoso dal film di Ron Howard con protagonista Tom Hanks.

Il Programma Apollo

L'obbiettivo annunciato dal presidente Kennedy in un famoso discorso del 1962 era quello di portare l'uomo sulla Luna entro la fine degli anni '60. Dopo aver introdotto il programma Gemini, quello che effettivamente riuscì a portare l'uomo sul nostro satellite naturale sarà il programma Apollo. Il programma prevedeva l’utilizzo della navicella spaziale Apollo, progettata allo scopo di portare l'uomo sulla Luna e farlo ritornare in sicurezza sulla Terra. La navicella spaziale fu costruita in una serie di unità o stadi. I componenti principali erano il Launch Escape System (LES), il Modulo di Comando/Servizio (CM e SM), il Modulo Lunare (LEM) e l'Adattatore del Modulo Lunare (SLA). Tutti questi stadi erano posti sulla sommità del veicolo di lancio, il Saturn V, che per la sua alta efficienza fu utilizzato anche in altri programmi successivi.

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Il modulo lunare di Apollo 11 (credit: NASA)

La pianificazione di Apollo 13

La missione Apollo 13 fu la terza missione di allunaggio dopo l'Apollo 11 e 12. Lo scopo della missione era duplice: l’esplorazione di una diversa parte della superficie lunare, il cratere di Fra Mauro, e, soprattutto, eseguire una lunga serie di test geologici sul suolo lunare.
Pianificata per l’11 aprile 1970 e con una durata di 10 giorni, la missione venne affidata al comando dell’astronauta Jim Lovell, il primo uomo a vedere la faccia "nascosta" della Luna, assieme al pilota del modulo di comando Ken Mattingly (sostituito poi da Jack Swigert il 9 aprile causa rosolia) e al pilota del modulo lunare Fred Haise. Il piano di volo prevedeva una traiettoria ibrida, che poteva essere intrapresa in qualsiasi momento grazie all’ausilio di propulsori e permetteva di raggiungere siti con latitudini più elevate.

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Traiettoria eseguita da Apollo 13 (credit: AndrewBuck)

Il decollo della missione venne fissato per l'11 aprile 1970 alle ore 13:13 (ora locale) dal Kennedy Space Center. Durante le prime fasi del volo, mentre il razzo stava spingendo la navetta verso l'orbita terrestre, il motore centrale del secondo stadio del Saturn V si spense con circa due minuti di anticipo a causa di forti oscillazioni dette “pogo”; il viaggio proseguì senza problemi e il Controllo Missione decise di far funzionare i rimanenti quattro motori più a lungo del previsto. A quasi circa 56 ore dal decollo, l'Apollo 13 si trovava a circa 330.000 km dalla Terra. A quel punto il Centro di Controllo di Houston richiese l'attivazione dei mescolatori dei serbatoi di ossigeno, una mera operazione di routine. 95 secondi dopo questa operazione, gli astronauti sentirono un una forte esplosione e per 1,8 secondi vennero perse le comunicazioni e la telemetria verso la Terra.

Cosa è successo all'Apollo 13

L'incidente avvenne precisamente dopo 55 ore 54 minuti e 53 secondi dall'inizio del viaggio e circa 30 secondi dopo l'esplosione il comandante Lovell enunciò la celebre frase: "Houston, abbiamo avuto un problema”.
Dopo un momento di incertezza iniziale, l’equipaggio notò un calo di tensione delle tre celle a combustibile del modulo di servizio (alimentate da idrogeno e ossigeno). Haise verificò il loro stato e scoprì che due di esse erano scariche. Le regole della missione proibivano l'ingresso nell'orbita lunare se non vi fossero state tutte le celle a combustibile operative. Nei minuti successivi all'incidente ci furono diverse letture insolite della strumentazione, fino a quando Lovell, guardando fuori dal finestrino, riferì che "un gas di qualche tipo" si stava disperdendo nello spazio dal Modulo di Servizio, chiarendo così che vi fosse un problema grave.

A causa della perdita di due serbatoi dell'ossigeno del Modulo di Servizio e considerata la quantità di ossigeno richiesta dalle apparecchiature della navicella Apollo, si decise l'interruzione immediata della missione. Con questa situazione l'obiettivo della missione divenne, quindi, “semplicemente” riportare in vita gli astronauti sulla Terra.

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Modulo di servizio danneggiato (credit: NASA)

La missione di salvataggio

Il rifugio che salvò la vita all'equipaggio fu il Modulo Lunare utilizzato come "scialuppa di salvataggio". Uno dei problemi principali del salvataggio fu che il LEM, che era predisposto per ospitare due persone per due giorni, si ritrovava invece a dover ospitare tre persone per quattro giorni di viaggio.

Nonostante l'accuratezza della traiettoria di inserzione terrestre, la navetta spaziale si allontanò lentamente dalla rotta, richiedendo un'ulteriore correzione. Dato che il sistema di guida della LEM era stato spento, all'equipaggio fu chiesto di utilizzare come riferimento la linea tra la notte e il giorno sulla Terra, una tecnica già usata dalla NASA nelle missioni in orbita terrestre – ma mai durante il viaggio di ritorno dalla Luna. Per fortuna fu lo stesso Lovell a testare questa tecnica per la Nasa.

Poco prima di entrare a contatto con l’atmosfera, l’equipaggio si trasferì nel Modulo di Comando, staccando prima il Modulo di Servizio e poi, dopo qualche ora, il LEM. La ionizzazione dell'atmosfera attorno al modulo di comando durante il rientro comportava un'interruzione nelle comunicazioni della durata, generalmente, di quattro minuti. La particolare traiettoria di rientro dell'Apollo 13 allungò questo tempo a sei minuti; i controllori temettero che lo scudo termico del modulo di comando avesse ceduto. Apollo 13 riacquistò il contatto radio ed ammarò nell'oceano Pacifico meridionale a sud-est delle Samoa americane il 17 aprile 1970, dopo 5 giorni, 22 ore, 54 minuti e 41 secondi dalla partenza.

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Recupero equipaggio Apollo 13 dopo ammaraggio (credit: NASA)

Sebbene provato, l'equipaggio si trovò in buone condizioni. Il giorno successivo ricevette dal presidente Nixon la medaglia presidenziale della libertà, la più alta onorificenza civile.

Le cause dell'incidente all'Apollo 13

Nelle indagini si appurò che l’esplosione fu causata da una serpentina mal dimensionata del serbatoio di ossigeno del Modulo di Servizio. Successivamente di notò anche che, nonostante l'equipaggio sia stato molto sfortunato nel complesso, è stato anche "fortunato" nell'aver riscontrato il problema all'inizio della missione, in un momento in cui era disponibile il massimo di rifornimenti, attrezzature e alimentazione da usare nell'emergenza. Infatti, se l'esplosione del serbatoio si fosse verificata nella fase di ritorno, molto probabilmente non si sarebbero mai salvati, soprattutto perché non avrebbero avuto la possibilità di usare il Modulo Lunare.

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Riproduzione in laboratorio dell’incendio fatale (credit: NASA)
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