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17 Gennaio 2025
18:00

Morto David Lynch, chi era il regista visionario di Twin Peaks e Mulholland Drive

Il visionario David Lynch, che ha diretto il famosissimo “Mulholland Drive” e la nota serie tv “Twin Peaks”, è stato indubbiamente uno dei registi più amati di sempre. Scomparso il 16 gennaio 2025, la sua eredità cinematografica surreale, a tratti inquietante e tagliente, rimarrà eterna.

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Morto David Lynch, chi era il regista visionario di Twin Peaks e Mulholland Drive
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Il 16 gennaio 2025 ci ha lasciati uno dei più grandi registi dell'ultimo secolo, il "visionario" David Lynch. Ma non è stato solo regista: è stato anche sceneggiatore, produttore, artista, musicista e vincitore del Leone d'oro alla carriera alla Mostra del cinema di Venezia nel 2006 (senza dimenticare che nel 2019 ha ricevuto un premio Oscar onorario). Noto per il suo stile unico, onirico e surreale, ha influenzato profondamente il cinema e la televisione, esplorando temi come il subconscio, il mistero e il confine tra il reale e il sogno, utilizzando immagini inquietanti, narrazioni non lineari e atmosfere disturbanti. Tra le sue pellicole più note troviamo Eraserhead, The Elephant Man, Mulholland Drive e Lost Highway.

Persino la NASA ha tenuto a salutare il regista americano, condividendo sul suo profilo X la foto di un buco nero accompagnata dalla frase: “Non pensare troppo al buco, ma concentrati sulla ciambella”. Questa frase, pronunciata dal celebre regista durante un'intervista, è diventata emblematica del suo approccio creativo: un invito a non perdersi nei dettagli che potrebbero generare ansia o confusione, ma a considerare la totalità e il valore dell'insieme.

La giovinezza di Lynch, sempre sopra le righe

Nato il 20 gennaio 1946 a Missoula, nel Montana, da bambino girò molto a causa del lavoro del padre, che era ricercatore per il Dipartimento dell'agricoltura USA. Questo modo di vivere però, come raccontò in alcune interviste, non gli pesò affatto, perché aveva sempre fatto amicizia facilmente. Quello che non gli piaceva, semmai, era andare a scuola, che riteneva essere "un crimine contro i giovani" che li privava della libertà.

Un giovanissimo Lynch. Photo Credits: Wikimedia Commons

Da sempre interessato alla pittura, decise di studiarla al college. Iniziò gli studi alla Corcoran School of the Arts and Design di Washington, ma dopo un anno la lasciò, perché non c'era nulla che lo ispirasse lì: tutto era rigido e quadrato, e non invogliava a dare sfogo alla creatività. Dopo un brevissimo viaggio in Europa con un amico – fatto con lo scopo di incontrare il pittore espressionista austriaco Oskar Kokoschka, che poi non incontrarono – tornò in Virginia, e poco tempo dopo si trasferì a Philadelphia per studiare alla Pennsylvania Academy of Fine Arts. Lì Lynch realizzò il suo primo cortometraggio con una cinepresa da 16 mm pagata pochissimo, Six Men Getting Sick (six times). Occupò insieme a degli amici dell'accademia una stanza abbandonata dell'accademia, e in tutto pagò 150 dollari, che all'epoca gli sembrarono un'assurdità, ma che furono l'investimento che avrebbe fatto da base per tutto ciò che è venuto a seguire.

Senza quel cortometraggio di 60 secondi mostrato alla mostra annuale di fine anno dell'Accademia, infatti, non avrebbe fatto breccia nel cuore di uno dei suoi compagni, H.Barton Wasserman, che era molto ricco e gli offrì una considerevole cifra per creare un'installazione cinematografica nella sua abitazione. La cosa non andò in porto, ma Wasserman non ritirò l'offerta, e con i soldi Lynch sperimentò e diede vita a The Alphabet (1968), in cui una donna recitava l'alfabeto su una serie di immagini di cavalli prima di morire per emorragia nel suo letto. Per l'audio, Lynch usò un registratore a nastro Uher rotto che rendeva il pianto della protagonista molto distorto e angoscioso. L'effetto, profondamente voluto dal regista, fu molto efficace e colpì le persone che guardarono il cortometraggio.

Il viaggio profondo nel suo inconscio proseguiva in maniera tratteggiata, come i suoi studi: nel 1970 si trasferì a Los Angeles per studiare regia cinematografica al Conservatorio AFI. Lì scrisse una sceneggiatura, ma le interferenze di professori e compagni di corso che gli consigliavano delle modifiche lo stressarono a tal punto che abbandonò il corso. Il preside del conservatorio, disperato, lo fece convocare e gli chiese di restare, perché lui era uno dei migliori studenti. Lynch si fece convincere, ma a un patto: nessuno avrebbe mai più ficcato il naso nelle sue sceneggiature.

Il viaggio nel cinema: i suoi lavori più noti

Una volta tornato tra i suoi compagni, si mise a scrivere una nuova sceneggiatura – lunga 21 pagine – dal nome Eraserhead. Nel 1972, dopo aver ottenuto dall'AFI un finanziamento di 10.000 dollari, iniziarono le riprese del film (interrotte parecchie volte per mancanza di soldi, tantoché il padre dovette dargli una mano), girato in bianco e nero. Lynch raccontava di un giovane tranquillo che vive in una distopica landa desolata industriale, la cui compagna mette al mondo un bambino disabile che affida totalmente a lui. Nel 1976, finalmente, il film fu terminato, e il regista cercò di farlo partecipare al Festival di Cannes, ma senza successo: i critici lo ritennero orribile e impresentabile. Non tutti però la pensavano così, e in America venne proiettato al Los Angeles Film Festival. Ben presto venne distribuito in parecchie sale, e divenne popolare tra i film di mezzanotte. Per sua grande sorpresa, poco a poco quel progetto che aveva quasi finito per ritenere fallimentare stava spiccando il volo, e persino Stanley Kubrick gli fece i complimenti, affermando che era uno dei suoi film preferiti.

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Eraserhead (1976) – David Lynch

Poi fu il turno dell'indimenticabile The Elephant Man, film surrealista in bianco e nero che narra la storia vera di Joseph Merrick, uomo conosciuto nella Londra vittoriana per la sua grave deformità e che dopo aver lasciato il teatro dei baracconi venne preso in cura da un noto chirurgo londinese. Il modo forte e al contempo delicato di raccontare questa storia fruttò a Lynch un grande plauso dalla critica e dal pubblico, e rimane una pietra miliare del cinema. Gli fruttò 8 nomination agli Oscar e una fama mai vista prima, che portò George Lucas a chiedergli di dirigere il terzo film della trilogia di Star Wars, Il ritorno dello Jedi. Lynch rifiutò senza pensarci due volte, perché non voleva apporre la sua visione a quella di Lucas, ma non passò molto tempo prima che un altro produttore gli chiedesse di dirigere un film di fantascienza epico: negli anni '80 infatti Dino de Laurentiis gli chiese di creare l'adattamento cinematografico per il romanzo di Frank Herbert che ha fatto innamorare tantissimi appassionati di fantascienza, Dune.

Lynch questa volta accettò, e il film uscì nel 1984, ma ne fu profondamente deluso: se se sarebbe sempre dichiarato insoddisfatto, sostenendo che se avesse potuto tornare indietro nel tempo non avrebbe mai accettato il progetto poiché non aveva avuto il controllo creativo sull'opera. Insomma, non era cosa sua, e questa mancanza di libertà d'espressione si rifletteva anche nella pellicola, che fu un vero fiasco al botteghino.

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Blue Velvet (1986) – David Lynch

Nel 1986 fu il turno dell'iconico (e amatissimo da molti dei suoi fans) thriller psicologico noir Velluto Blu, che esplora i lati oscuri della natura umana e delle apparentemente tranquille periferie americane. Il protagonista è Jeffrey Beaumont, un giovane che scopre un orecchio umano mozzato e viene trascinato in un mondo di segreti, violenza e perversioni, incarnati dal disturbante cattivo del film, Frank Booth. Nel film Lynch contrappone la dualità tra l'apparente innocenza della cittadina di Lumberton e la corruzione che si cela sotto la superficie, e nel farlo sceglie delle immagini suggestive e inquietanti, mescolate da erotismo e surrealismo. La pellicola fruttò a Lynch la sua seconda nomination come miglior regista agli Oscar, e fu un enorme successo per la critica cinematografica USA.

Con gli anni '90 Lynch apre un nuovo capitolo, incontrando il produttore televisivo Mark Frost. Un giorno, mentre stavano parlando in caffetteria, si immaginarono un cadavere che veniva trascinato dalle onde sulla riva del lago di una cittadina sperduta, e lì iniziò a prendere forma la serie televisiva tra le più note e iconiche di quegli anni: I segreti di Twin Peaks. Il protagonista della serie è l'agente dell'FBI Dale Cooper, che indaga sulla morte della studentessa Laura Palmer, finendo per rivelare i segreti di numerosi abitanti del luogo. Lynch dirige i primi sette episodi, apparendo in alcuni come attore, nei panni dell'agente FBI Gordon Cole. La serie ebbe tre stagioni, ma Lynch fu affezionato particolarmente solo alla prima e, in parte, alla seconda, perché poi gli sceneggiatori e i registi degli episodi successivi misero lo zampino e cambiarono la visione d'insieme della serie di Lynch, che comunque diresse l'ultimissimo episodio.

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I segreti di Twin Peaks – David Lynch

In quegli anni Lynch si dedicò anche ad altro: nel 1990 adattò in chiave cinematografica il romanzo di Barry Gifford Wild at Heart. Stiamo parlando di un film davvero surreale e selvaggio in cui amore, romanticismo e violenza si intrecciano in maniera esplosiva e talvolta grottesca, con rimandi al Mago di Oz e un'estetica viscerale che evoca reazioni intense e immediate. La storia racconta di Sailor Ripley e Lula Fortune, due amanti in fuga dalla madre manipolatrice di lei, che li perseguita con l'aiuto di criminali e un investigatore privato. Chi lo ha visto, lo sa: è un film ricco di momenti iconici, con potenti musiche evocative e interpretazioni quasi esagerate, dove la libertà e la sopravvivenza nel caos sono padrone. La pellicola vinse la Palma d'Oro a Cannes, ma la critica rimase divisa, e il pubblico non fu da meno: per alcuni era un film fin troppo "strambo".

Lynch ritornò poi alla sua Twin Peaks per un film – Twin Peaks: Fire Walk with Me (1992) – dai toni dark e inquietanti, in cui il regista esplora gli ultimi giorni di Laura Palmer, rivelando i traumi, i segreti e l'orrore che hanno preceduto la sua morte. Quando uscì nelle sale il film fu un fallimento commerciale, ma col tempo ci furono critici che lo riabilitarono, definendolo addirittura il suo "capolavoro".

Nel 1997 fu il tempo del thriller psicologico e surreale Lost Highway (1997), che esplora temi di identità, colpa e realtà distorta. La storia segue la vita di Fred Madison, un musicista accusato di omicidio, che inspiegabilmente si trasforma in un giovane meccanico, Pete Dayton, durante la detenzione. Il film si sviluppa in una struttura non lineare, mescolando violenza, erotismo e mistero, con personaggi enigmatici e situazioni inquietanti e di alta tensione in una cornice estetica cupa e dalle musiche evocative. Nonostante l'impegno e la dedizione, anche questo fu un fallimento commerciale, e la critica si divise.

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Lost Highway (1997) – David Lynch

Tra i tanti altri progetti che seguirono, però, ce ne fu uno che sicuramente ne consacrò definitivamente David Lynch: stiamo parlando del film onirico Mulholland Drive (2001), che intreccia sogno e realtà in una Los Angeles ambigua e inquietante. La trama segue Betty, aspirante attrice, e Rita, una donna con amnesia, mentre cercano di svelare un intricato mistero legato alla vera identità di Rita. In questa pellicola Lynch esplora il desiderio e la disillusione, rinchiudendo il tutto in un'atmosfera profondamente ipnotica ed enigmatica.

Da molti anni il regista non si è più occupato di cinema perché era molto malato: difatti, soffriva di un enfisema polmonare che non gli permetteva di stare sul set. Nonostante ciò, ha sempre tenuto un occhio sulla finestra del cinema contemporaneo.

Perché viene definito il regista "visionario" per eccellenza

David Lynch è considerato un visionario per il suo approccio unico e innovativo al cinema e all'arte visiva, che lo distingue come uno dei registi più originali della sua epoca. L'estetica oscura, profonda, dai colori taglienti e dalle riprese non convenzionali, talvolta frammentarie e ambigue, sono il nocciolo della sua arte cinematografica.

Lynch non è mai stato attratto dalla superficialità: i temi dei suoi film sono complessi e universali (come l'identità, il subconscio, il desiderio, la colpa e il male latente sotto l'apparenza della normalità), e per esprimerli sfida lo sguardo dell'osservatore, facendolo confrontare con realtà nascoste e scomode.

Lynch è stato senza ombra di dubbio un artista poliedrico, coinvolto non solo nella regia ma anche nella sceneggiatura, nella musica, nella pittura e nella scultura. Questo suo eclettismo è onnipresente nei suoi film, che combinano immagini, suoni e narrazione in un’esperienza immersiva e unica, e racchiude in sé tutta la sua cinematografia.

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Veronica Miglio
Storyteller
Innamorata delle parole sin da bambina, ho scelto il corso di lingue straniere per poter parlare quante più lingue possibili, e ho dato sfogo alla mia vena loquace grazie alla radio universitaria. Amo raccontare curiosità randomiche, la storia, l’entomologia e la musica, soprattutto grunge e anni ‘60. Vivo di corsa ma trovo sempre il tempo per scattare una fotografia!
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