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22 Gennaio 2024
8:00

Quando gli animali si ammalano a causa dell’uomo, la zoonosi inversa: il caso degli scimpanzé

In Uganda la sopravvivenza degli scimpanzé è messa a dura prova dalla trasmissione di patogeni umani agli animali, un fenomeno noto come “zoonosi inversa”. Spesso la causa è il non rispetto delle norme di comportamento quando ci si avvicina agli animali selvatici.

A cura di Arianna Izzi
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Quando gli animali si ammalano a causa dell’uomo, la zoonosi inversa: il caso degli scimpanzé
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Nel Parco Nazionale di Kibale, in Uganda, una comunità costituita da 205 scimpanzé, Pan troglodytes, ha destato preoccupazione in ricercatori e conservazionisti, a causa di frequenti influenze, tosse e raffreddori che, in alcuni casi, hanno portato alla morte degli animali. In seguito a numerose analisi, gli studiosi hanno compreso che alle origini dell’epidemia, che in poco tempo ha causato la scomparsa del 12% degli individui della comunità, c’era un virus umano chiamato metapneumovirus.

Quando un microrganismo patogeno umano viene trasmesso a una specie selvatica, si parla di zoonosi inversa, o in inglese spillback. È l'opposto del fenomeno più noto dello spillover, ovvero il “salto” da un'altra specie alla nostra. Sono noti vari esempi di zoonosi inversa. Per esempio, il Sars-CoV-2 si è diffuso tra alcuni cervi nordamericani, ma anche visoni e furetti. Si sono registrati anche casi di ghepardi colpiti dall'influenza A e molluschi positivi all'epatite A.

Si tratta di una grande minaccia per molte specie di animali. Nel caso degli scimpanzé in Uganda, da tempo a rischio di estinzione a causa della distruzione dei loro habitat, della caccia e del commercio illegale di animali vivi, la presenza di malattie portate dalla nostra specie, Homo sapiens, non fa altro che aggravare le condizioni di uno stato di conservazione della specie che abbiamo già fortemente contribuito a compromettere.

La scoperta del virus trasmesso dagli uomini agli scimpanzé

Che Homo sapiens sia in grado di trasmettere malattie a diverse specie selvatiche è noto da tempo alla comunità scientifica. Nel caso degli scimpanzé, inoltre, i casi di zoonosi inversa tendono ad accentuarsi per via della vicinanza genetica tra loro e noi. Condividiamo, infatti, più del 98% del patrimonio genetico e questo renderebbe piuttosto semplice la trasmissione di malattie da una specie all’altra.

In seguito all’osservazione di numerosi scimpanzé malati nel Parco Nazionale di Kibale, sono state condotte numerose analisi, tra cui lo studio approfondito della carcassa di una delle femmine adulte della comunità, trovata dai ricercatori poco dopo il decesso. L’epidemiologo statunitense che ha condotto l’autopsia, Tony Goldberg, ha presto stabilito che la causa della morte dell’animale sarebbe da attribuire a una polmonite, determinata a sua volta dalla presenza di un virus umano: il metapneumovirus.

Purtroppo non è possibile parlare di un caso isolato e, anzi, dagli studi condotti nelle zone interessate sappiamo che, per alcune popolazioni di primati che vivono in aree protette, il rischio di zoonosi inversa è addirittura maggiore di altre grandi minacce, come la distruzione degli habitat o il bracconaggio. Per cercare di mitigare questo problema, l’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura (IUCN) sta attualmente rilasciando le più aggiornate linee guida, da rispettare soprattutto quando si ha a che fare col turismo relativo all’osservazione di primati a rischio, come scimpanzé e gorilla.

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I comportamenti da evitare per evitare

La trasmissione di malattie dall’uomo ai primati (ma non solo) è spesso collegata a comportamenti scorretti da parte di Homo sapiens, messi in atto nelle occasioni in cui le due specie entrano in contatto. Il turismo incentrato sull’osservazione di specie selvatiche, come nel caso degli scimpanzé in Uganda, è molto diffuso e le pratiche di comportamento, che l’IUCN ha rilasciato nel 2015 e che le varie istituzioni stanno attualmente cercando di standardizzare e diffondere capillarmente, spesso non vengono rispettate.

In presenza delle grandi scimmie antropomorfe (termine col quale ci riferiamo a scimpanzé, gorilla, orango e bonobo) allo stato selvatico, infatti, bisognerebbe mantenere una distanza minima di 7 metri dagli animali e indossare una mascherina, proprio per evitare la trasmissione di malattie. Inoltre, sarebbe preferibile organizzare gruppi costituiti da poche persone per volta e le guide locali dovrebbero assicurarsi dello stato di buona salute degli accompagnati. Questo, purtroppo, non sempre accade e a pagarne le conseguenze sono proprio gli animali selvatici.

Avere consapevolezza di tutto questo, tuttavia, potrebbe fare la differenza. In alcune zone del Pianeta, il turismo è fondamentale per la conservazione delle specie e per la salvaguardia della biodiversità, e sapere qual è la maniera più corretta per avvicinarsi alle specie selvatiche è quanto di meglio possiamo fare per contribuire alla loro sopravvivenza.

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