La presenza dei satelliti ha consentito il progresso tecnologico del nostro pianeta ed é, oggi, uno strumento fondamentale per il benessere della nostra società. Quindi può sorgere spontanea la domanda: quanti satelliti possiede l'Italia? Forse alcuni saranno sorpresi dalla risposta ma siamo una potenza nel settore spaziale, con circa 15 satelliti artificiali – esclusi quelli militari. In questo articolo vediamo quale sia la definizione di satellite, quanti sono i satelliti appartenenti al nostro paese e il loro uso.
Cosa si intende per satellite artificiale
Prima di darvi i numeri, dobbiamo specificare la definizione di un satellite: trattasi di un qualsiasi oggetto (naturale o artificiale) che giri intorno ad un pianeta. Tutti i satelliti intorno alla Terra sono stati costruiti dall'uomo tranne uno: la Luna. Questa definizione di satellite esclude altri veicoli costruiti dall'uomo fra cui:
- I mezzi che usiamo per viaggi di sola andata nello spazio. Un esempio é la navicella (spacecraft in inglese) che ha portato Perseverance su Marte oppure un razzo (spacerocket in inglese) che porta proprio i satelliti in cielo.
- I mezzi utilizzati per viaggi di andata e ritorno nello spazio. Ossia le navette spaziali (space shuttle in inglese) come il Columbia che spesso trasportano astronauti.
Quanti satelliti possiede l'Italia?
Un'associazione no-profit, Union of Concerned Scientists, ha calcolato che a maggio 2022 vi erano in totale 5.465 satelliti attivi, anche se altre stime invece parlano di un numero maggiore. Questi valori escludono i satelliti militari, di cui per motivi di sicurezza non abbiamo valori ufficiali a disposizione. La gran parte dei satelliti ad uso civile sono usati per le comunicazioni. Il grafico sottostante mostre che in ogni caso i satelliti artificiali rappresentano la gran parte degli oggetti che abbiamo portato nello spazio. Le famose sonde spaziali che abbiamo conosciuto nei film hollywoodiani, come Deep Impact o Armageddon, rappresentano una porzione di tutti i veicoli spaziali costruiti e lanciati dall'uomo e di cui la NASA da sola ne ha lanciati circa 300.
Anche se non abbiamo un valore affidabile e aggiornato sul numero totale di satelliti in cielo, abbiamo un valore ben preciso per i satelliti italiani. Se consideriamo i satelliti totalmente italiani, cioè appartenenti al Ministero della Difesa o all'Agenzia Spaziale Italiana – ASI, il conteggio si riduce a 15. Nove di questi satelliti sono adibiti all'osservazione della terra, ossia raccolgono dati riguardanti processi fisici, chimici e biologici della Terra. Per esempio, sullo stato di salute delle foreste.
Il resto dei satelliti interamente italiani sono legati a telecomunicazioni (3) oppure sono prototipi (3) che raccolgono informazioni per missioni future. Se consideriamo i satelliti che possediamo insieme a partners internazionali tramite l'Agenzia Spaziale Europea (European Space Agency – ESA), il numero sale a 64. Fra questi spiccano due costellazioni, Galileo e Copernicus, che al momento contano più di 30 satelliti attivi in orbita e forniscono dati su tutto il mondo per il sistema di posizionamento e navigazione satellitare e per monitorare parametri ambientali.
Tuttavia questi numeri possono comunque variare tanto se consideriamo altri criteri, quali: nazione dove le componenti vengono costruite, nazione dove il satellite viene assemblato, nazione che lo controlla da terra, nazione dove viene registrato. Per esempio il Lussemburgo, ossia la nazione meno popolosa dell'Unione Europea (dopo Malta), ha registrato ben 29 satelliti grazie ai vantaggi fiscali di cui godono le agenzie del settore che operano li, mentre gli Stati Uniti possiedono e/o controllano oltre il 60% dei satelliti attivi. Ma questi numeri non rendono bene il ruolo che abbiamo avuto nel settore spaziale. Andiamo così al capitolo successivo.
La storia dei satelliti italiani
È l'Ottobre 1957, appena all'inizio della guerra fredda tra Unione Sovietica e USA, quando per la prima volta un segnale proveniente da un satellite lanciato dall'uomo nello spazio, lo Sputnik-1, viene captato sulla Terra: inizia la conquista dello spazio. La risposta degli USA non si fa attendere: l'anno successivo nasce la National Aeronautics and Space Administration, ai più nota come NASA. Come vi abbiamo già raccontato qui, il primo test spaziale a nome italiano é quello di San Marco: il 15 dicembre 1964 dalla base di Wallop Island, in Virginia, venne lanciato su un razzo americano, il primo satellite italiano: San Marco-1. L'Italia diviene così la terza nazione al mondo a lanciare un satellite dopo Unione Sovietica e Stati Uniti. Tuttavia a quell'epoca mancava una strategia spaziale a livello nazionale, l'ASI nascerà solo nel 1988, e fino ad allora la gran parte degli sforzi saranno condotti dall'aereonautica militare e vari dipartimenti universitari.
Saranno la NASA e Roscosmos (l'agenzia spaziale russa) a guidare e dominare la corsa allo spazio fino alla fine degli anni '70 con quasi 100 lanci, la gran parte dei quali necessari per mandare in orbita satelliti dedicati a telecomunicazioni e monitoraggio meteo. Nel frattempo anche altre agenzie spaziali si erano formate, fra cui l'ELDO (European Launcher Development Organization) e ESRO (European Space Research Organization), che si fonderanno a formare l'European Space Agency – ESA) nel 1975 di cui il nostro paese é un stato fondatore. Da questo momento la progettazione e programmazione dei satelliti italiani si incastra con le esigenze e le priorità dell'ESA.
Degli otto centri ESA sparsi in Europa, quello sull'Osservazione della Terra si trova a Frascati, a soli 20 km da Roma. Da quel momento l'Italia ha iniziato a costruire e spedire satelliti anche tramite l'ESA. Non a caso oggi contribuiamo a quasi il 12% del budget dell'ESA. A questa somma si aggiungono i ~2.5 miliardi di euro che investiamo solamente nell'ASI che, anche se sono un decimo del budget NASA 2022, rappresentano comunque un investimento notevole per il nostro paese in proporzione al PIL. La curiosità è che la gran parte dei satelliti ASI e ESA avviene su razzi che vengono fatti partire né in Italia e neppure in Europa ma nella Guyana francese, ossia ad oltre 8.000 km dal suolo nazionale. Il motivo è prettamente economico: avvicinandoci all'equatore il razzo spaziale su cui i satelliti sono montati richiedono meno carburante per l'ascensione dato che possono sfruttare la velocità di rotazione terrestre, di oltre 1600 km all'ora rispetto all'asse terrestre.
Il futuro dei satelliti italiani
Il futuro del settore spaziale in generale è prevedibile da ciò che è avvenuto nell'ultimo decennio a causa dei minori costi di produzione e miniaturizzazione delle attrezzature montate sui satelliti. I costi non più proibitivi che prima limitavano l'accesso allo spazio alle agenzie nazionali, ha fatto sì che nuove organizzazioni si possono ora permettere di costruire nuovi satelliti. Queste sono quasi sempre compagnie private e quindi lo spazio non è più solo un business per pochi: chiunque abbia le attrezzature e la conoscenza necessaria può cimentarsi nello sviluppo di una piccola missione spaziale. Produrre un satellite piccolino oramai costa relativamente poco (nell'ordine di centinaia di migliaia di euro) e si può produrre in meno di un anno. Pensate che da sola Starlink da sola ha inviato oltre 1.900 satelliti per telecomunicazioni.
Se guardiamo infatti al numero di lanci per anno, ogni anno vengono lanciati oltre un migliaio di oggetti, più del doppio rispetto ai primi anni 2000. Questi numeri sono destinati ad aumentare se consideriamo anche lo sviluppo del settore privato ed di nuove nicchie di mercato fra cui il turismo spaziale. Oramai siamo entrati nell'età dell'oro del settore spaziale.
Per l'Italia supportare sia un'agenzia nazionale che continentale è di importanza strategica per rimanere ancora estremamente competitivi in un mercato che sta crescendo molto velocemente ed in cui concorrono tutti, dai privati americani ai potenti cinesi agli indiani. A rafforzare il nostro ruolo nel futuro mercato mondiale va detto che molte delle missioni satellitari che oggi abbiamo con ASI e ESA sono destinate a continuare per i prossimi 10/15 anni rifinanziando i vari programmi spaziali in cui siamo coinvolti oppure si espanderanno tramite l'invio di nuovi satelliti in aggiunta a quelli già in orbita.