Attraverso gli immensi altopiani del versante orientale del continente africano, ci si trova di colpo davanti a delle valli profonde con versanti ripidi. Lungo questa depressione, che si estende (con diverse profondità) per quasi 6 mila km, vi sono montagne vulcaniche e profondi laghi ricchi di sedimenti. La struttura si estende dal Mozambico, in Africa sudorientale, alla Siria, in Asia e quello che si crea è un paesaggio unico che rende l'area una delle principali attrazioni naturalistiche al mondo. Sì, stiamo parlando della cosiddetta Rift Valley Africana (chiamata anche Great Rift Valley o Grande Fossa Tettonica), una grande frattura continentale in espansione da almeno 35 milioni di anni. L'area, oltre che per il turismo, è famosa per le importanti scoperte paleoantropologiche, come lo scheletro dell'australopiteco Lucy.
Ma come si è formata la Great Rift Valley? E perché è così importante per le geoscienze?
Come si è formata la Rift Valley?
Creatasi dalla separazione delle placche tettoniche africana e araba e dalla separazione dell'Africa dell'est dal resto dell'Africa, la Rift Valley Africana è il principale esempio di grande frattura continentale, cioè una zona della crosta terrestre caratterizzata da estensione tettonica, cioè da una grande depressione allungata. Il processo di separazione delle placche che ha dato vita alla Rift Valley (il cui nome le è stato conferito dall’esploratore inglese John Walter Gregory) è iniziato 35 milioni di anni fa e continua ancora oggi.
Le “parti” della Rift Valley
La parte settentrionale della Rift Valley forma la valle del fiume Giordano, che scorre verso sud attraverso il Lago Hula e il Mar di Galilea, in Israele, fino al Mar Morto. Nella parte più meridionale la Rift Valley si dirama in due direzioni diverse, verso est e verso sud, una zona detta triangolo di Afar. La diramazione verso est forma il golfo di Aden, e da questo punto in poi la Rift Valley continua come dorsale oceanica.
Tra la depressione dell'Afar e la depressione del lago Turkana, in Kenya, si sviluppa la cosiddetta Rift Valley Etiopica, che separa l'altopiano etiope da quello somalo. Più a sud il rift dell'Africa orientale (quello che va verso sud) si divide in due rami, uno orientale e uno occidentale.
Il ramo occidentale, la “faglia albertina”, va dall'estremità settentrionale del Lago Alberto all'estremità meridionale del Tanganica. È delimitato da alcune delle montagne più alte dell'Africa, come il Ruwenzori. Il ramo orientale, chiamato “rift di Gregory”, si sviluppa in Kenya e Tanzania, dove si trova tra l’altro la montagna più alta d'Africa, il Kilimangiaro. I laghi del ramo orientale sono meno profondi e caratterizzati da un'alta concentrazione di depositi salini dovuta alla forte evaporazione.
Vulcanismo e geotermia della Great Rift Valley
Ci sono molti fenomeni di vulcanismo nell'area, anche se non sono distribuiti in modo omogeneo lungo tutta la faglia. Il sistema di rift del ramo orientale, a differenza di quello occidentale, è associato a vulcanismo (a partire soprattutto dal Miocene), sismicità, un elevato flusso di calore, una struttura anomala e particolari proprietà fisiche della crosta e del mantello.
La Great Rift Valley ha un grande potenziale per la produzione di energia geotermica: nel 2021 il Kenya ha prodotto per via geotermica il 38% dell'energia che utilizza, cosa che lo rende uno dei primi Paesi al mondo per produzione di questo tipo di energia rinnovabile e alternativa.
L’Africa orientale si separerà?
Sì. Ma di certo non a breve! L'attività geotermica e l'allargamento della faglia hanno però causato un progressivo assottigliamento roccioso. Questo significa che, tra qualche milione di anni, la litosfera potrebbe spaccarsi e l'Africa orientale potrebbe dividersi dal resto del continente.
La culla dell’umanità
Lungo quest’area sono state fatte importanti scoperte paleoantropologiche, anche grazie agli abbondanti sedimenti della valle provenienti dall’erosione degli altopiani circostanti, che hanno creato un ambiente favorevole alla preservazione dei resti umani. Qui sono state trovate numerose ossa di ominidi, incluse quelle della cosiddetta "Lucy", uno scheletro quasi completo di australopiteco scoperto dall'antropologo Donald Johanson. Per queste numerose tracce, la valle è considerata spesso la culla dell'umanità, cioè il luogo in cui si è evoluta e diversificata la nostra specie negli ultimi milioni di anni.