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Vittorio Emanuele II, nato a Torino nel 1820 e morto a Roma nel 1878, è stato il primo re d’Italia. Apparteneva al casato dei Savoia, che regnava sul Regno di Sardegna, e ascese al trono nel 1849. Promosse il processo di unificazione italiana insieme al suo primo ministro, Camillo Benso di Cavour, nonostante tra i due uomini non corresse buon sangue. Nel 1861 fu proclamato re d’Italia, scegliendo di continuare a farsi chiamare “secondo”, e negli anni seguenti “accompagnò” il completamento dell’unità nazionale con la conquista del Veneto e di Roma. Alla morte, il "vero padre", lasciò il trono al figlio primogenito Umberto.
Nascita e gioventù
Vittorio Emanuele II era il primogenito di Carlo Alberto, re di Sardegna appartenente alla dinastia dei Savoia. Nacque a Torino il 14 marzo 1820 e trascorse l’infanzia a Firenze insieme al padre, scampando miracolosamente a un incendio della sua abitazione. Nel 1831, quando Carlo Alberto divenne re di Sardegna, tornò con lui a Torino e divenne principe ereditario. Poco incline allo studio, da giovane Vittorio Emanuele si dedicava soprattutto ai cavalli, alle armi e alle escursioni in montagna. Entrò perciò nell’esercito, raggiungendo presto presto il grado di generale. Nel 1842 sposò la cugina, Maria Adelaide d’Austria, che sarebbe restata sua moglie fino alla morte nel 1855. Anche durante il matrimonio, però, Vittorio Emanuele non rinunciò alle relazioni extraconiugali. Nel 1847 intraprese la relazione con Rosa Vercellana, conosciuta come “la bela Rosin” (la bella Rosina), che gli sarebbe restata accanto tutta la vita.

L’ascesa al trono e l’Unità di Italia: cosa ha fatto
Vittorio Emanuele divenne Re di Sardegna nel 1849, quando aveva meno di trent’anni, perché il padre, sconfitto dagli austriaci, fu costretto ad abdicare. Assunse il trono di un regno che comprendeva il Piemonte, la Sardegna, la Liguria, la Valle d’Aosta, Nizza e la regione della Savoia (gli ultimi due territori sarebbero stati ceduti alla Francia nel 1859).

Nonostante le pressioni degli austriaci, Vittorio Emanuele non ritirò lo Statuto Albertino, la costituzione emanata dal padre, mostrandosi così più progressista di molti altri monarchi europei, che non riconoscevano una costituzione che limitasse il loro potere. Vittorio Emanuele, però, sciolse due volte il Parlamento, invitando gli elettori a votare per i candidati moderati. Il re non amava Camillo Benso di Cavour, che all’inizio degli anni ‘50 emerse come uno dei ministri più in vista del governo di Massimo d’Azeglio. Ciò nonostante, nel 1852 accetto di nominarlo presidente del consiglio e negli anni seguenti ne approvò tutte le scelte politiche più importanti. Il Regno di Sardegna si pose così alla testa del processo di unificazione italiana, con la partecipazione alla guerra di Crimea del 1853-55 e, soprattutto, con la seconda guerra di indipendenza contro l’Austria-Ungheria del 1859. Vittorio Emanuele affermò che il suo Regno non era «insensibile al grido di dolore che da tante parti d’Italia si leva» e sostenne il processo di unificazione. Nel 1860, mentre era in corso la Spedizione dei mille, raggiunse Garibaldi e, nel celeberrimo incontro di Teano, prese di fatto possesso delle regioni meridionali. Il 17 marzo 1861 il parlamento, riunito a Torino, proclamò ufficialmente Re d’Italia Vittorio Emanuele II.

Vittorio Emanuele II diventa Re d’Italia
Il sovrano scelse di continuare a farsi chiamare “secondo” e non primo. Era infatti il secondo “Vittorio Emanuele” del Regno di Sardegna, ma, logicamente, il primo per l’Italia. Inoltre, riprendendo la formula in uso nel Regno di Sardegna, si definiva “Re d’Italia per grazia di Dio e volontà della nazione”. Il re seguì con attenzione il “completamento” dell’Unità. Nel 1866 raggiunse l’esercito impegnato nella terza guerra di indipendenza, che consentì l’annessione del Veneto, e nel 1870 patrocinò, sia pure con qualche perplessità, la conquista di Roma. Per reazione, il Papa scomunicò lui e tutti i suoi discendenti.

Dopo la presa di Roma, Vittorio Emanuele si trasferì nella nuova capitale, prendendo alloggio al palazzo del Quirinale. Si spostò a Roma anche Rosa Vercellana, che nel 1869 il re aveva sposato con matrimonio morganatico (cioè un matrimonio tra persone di "diversa condizione", previsto in alcuni ordinamenti monarchici, nel quale la moglie e i figli non ereditano i titoli e le qualifiche del marito). Il re continuò a dedicarsi alla caccia, che era la sua passione sin da giovane, e morì proprio per le conseguenze di una battuta: l’umidità delle campagne laziali (o, secondo un’altra interpretazione, la malaria), gli provocò una forte febbre, che lo portò alla morte il 9 gennaio 1878, all’età di 58 anni. Fu sepolto nel Pantheon di Roma dopo solenni funerali.

La discendenza e il mito
Vittorio Emanuele ebbe numerosi figli, in parte non riconosciuti. La moglie Maria Adelaide ne partorì otto, tra i quali Umberto, futuro re d’Italia con il nome di Umberto I, e Amedeo, capostipite del ramo dei Savoia-Aosta. Il re ebbe inoltre due figli dalla moglie morganatica Rosa Vercellana e vari figli illegittimi dalle numerose amanti con le quali intrattenne relazioni adulterine. Dopo la morte, Vittorio Emanuele fu immediatamente celebrato e omaggiato. Non si contano le strade e le piazze a lui intitolate, né i monumenti che lo raffigurano, in parte eretti quando era ancora in vita. Nel 1911, in occasione del cinquantenario dell’Unità, a Roma gli fu dedicato il Vittoriano, il grande monumento in marmo bianco di Piazza Venezia. Ancora oggi, nonostante l’instaurazione della repubblica, la Penisola italiana è piena di monumenti e intitolazioni a Vittorio Emanuele II.