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9 Settembre 2022
14:15

Come ha fatto la NASA a produrre ossigeno su Marte con Moxie

Lo strumento montato a bordo del rover Perseverance è in grado di produrre ossigeno direttamente dall'anidride carbonica di Marte.

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Come ha fatto la NASA a produrre ossigeno su Marte con Moxie
perseverance ossigeno
Credit: NASA/JPL–Caltech.

L'acronimo sta per Mars OXygen In-Situ resource utilization ExperimentMOXIE è uno strumento gestito dal MIT in collaborazione con altre realtà internazionali e pensato per testare una tecnologia di produzione di ossigeno su Marte. Lo strumento è montato all'interno del rover Perseverance, atterrato su Marte il 18 febbraio 2021, e a partire dall'aprile dello scorso anno ha compiuto con successo ben sette sessioni di produzione di ossigeno, dimostrando che la tecnologia funziona. Questa non è solo la prima volta che viene prodotto ossigeno su Marte, ma è anche la prima volta che qualcosa viene prodotto su un altro pianeta direttamente a partire dalle risorse locali (un concetto noto come ISRU, In-Situ Resource Utilization)! Andiamo a scoprire perché tutto questo è importante, come funziona e quali sono le prospettive future.

Perché produrre ossigeno proprio su Marte?

Con il programma Artemis della NASA stiamo assistendo a un nuovo capitolo dell'esplorazione spaziale: il ritorno degli esseri umani sulla Luna dopo mezzo secolo di assenza. Un obiettivo già ambizioso di per sé, ma che ne rimanda a uno ancora più grande: arrivare su Marte. E quando invieremo i primi esseri umani su Marte, vorremo naturalmente vederli anche tornare a casa. Per farlo però avranno bisogno di un razzo, e il razzo a sua volta necessiterà di propellente per decollare dal suolo marziano. E indovinate un po' qual è uno dei propellenti più efficaci per i lanci spaziali? L'ossigeno in forma liquida. Per lasciare Marte ne servono svariate tonnellate: non certo un bagaglio comodo da portarsi dietro.

Ecco quindi l'idea: produrre ossigeno direttamente in loco, eliminando così a monte il problema del trasporto. MOXIE è proprio questo: un prototipo dimostrativo per testare la tecnologia che forse, tra qualche decennio, permetterà ai primi esploratori marziani di fare ritorno sul loro pianeta madre. Va da sé, poi, che in un'ottica di realizzare insediamenti marziani permanenti, l'ossigeno sarà fondamentale anche per… respirare!

Come funziona MOXIE

MOXIE
Lo strumento MOXIE prima della sua installazione a bordo di Perseverance (credit: NASA/JPL–Caltech).

MOXIE ha pressappoco le dimensioni di una batteria per auto (23,9 × 23,9 × 30,9 cm) e pesa 17,1 kg. Il principio alla base del suo funzionamento è simile a quello che da miliardi di anni usano le piante: convertire l'anidride carbonica in ossigeno. Il regno vegetale lo fa con la fotosintesi grazie all'aiuto dell'acqua, MOXIE invece tramite l'elettricità. Al cuore dello strumento troviamo infatti una cella elettrolitica.

L'atmosfera di Marte, seppur molto più rarefatta della nostra, è ricchissima di anidride carbonica, essendo composta al 95% di questo gas. MOXIE aspira l'aria marziana, filtra l'anidride carbonica, la pressurizza e la immette nella cella elettrolitica (chiamata SOXE, Solid Oxide Electrolyzer) che “strappa via” tramite elettrolisi un atomo di ossigeno (O) dalla molecola di anidride carbonica (CO₂). Gli atomi di ossigeno vengono quindi isolati e fatti reagire tra loro per formare ossigeno gassoso (O₂), mentre il resto viene reimmesso in atmosfera.

Lo strumento consuma circa 300 W per raggiungere gli 800 °C necessari alla dissociazione della CO₂. Per evitare che il calore danneggi il rover, MOXIE è ricoperto da uno strato di aerogel isolante e un rivestimento d'oro.

La posizione di MOXIE all'interno di Perseverance.
La posizione di MOXIE all’interno di Perseverance (credit: NASA/JPL–Caltech).

Cos'ha fatto finora

MOXIE è in grado di produrre in questo modo un massimo di 10 grammi di ossigeno all'ora, quanto basta a una persona per respirare 20 minuti. Durante le prove effettuate l'anno scorso, però, lo strumento è stato mantenuto mediamente a un ritmo di 6 grammi all'ora. È molto poco, certo, ma ricordiamo che MOXIE è un prototipo dimostrativo: il suo scopo è “soltanto” dimostrare che la tecnologia funziona. Jeffrey Hoffman, principal investigator di MOXIE, ha spiegato molto bene l'importanza di questo risultato:

Questa è la prima dimostrazione dell’utilizzo effettivo delle risorse presenti sulla superficie di un altro corpo planetario e della loro trasformazione chimica in qualcosa che sarebbe utile per una missione umana. E in questo senso è storica.

Uno studio pubblicato recentemente riporta i risultati delle sette prove sperimentali compiute da MOXIE nel 2021. Lo strumento è stato testato a svariate ore del giorno e della notte e in diversi periodi dell'anno marziano, dimostrandosi in grado di produrre ossigeno più o meno in ogni condizione. L'obiettivo del team di MOXIE è ora portare al massimo lo strumento. Nel cratere Jezero, dove si trova ora MOXIE, sta finendo l'inverno. Con l'arrivo della primavera la quantità di anidride carbonica nell'atmosfera marziana diventerà più elevata, così come la densità dell'atmosfera stessa: è il momento migliore per testare i limiti di MOXIE!

Lo strumento infatti non è mai andato a pieno regime, e non ha mai lavorato per più di un'ora. Se dovesse comportarsi bene al massimo delle sue potenzialità per periodi prolungati, versioni future di MOXIE potranno generare quantità molto maggiori di ossigeno per migliaia di ore!

Cosa ci aspetta

Eh già, perché una delle cose belle di MOXIE è che la sua tecnologia è scalabile. Questo significa che si possono progettare con relativa semplicità macchine analoghe ma molto più grandi e potenti (alimentate magari tramite generatori a radioisotopi), con una capacità di produzione di ossigeno anche 100 volte superiore a quella di MOXIE. L'idea è farli atterrare su Marte prima dell'arrivo dei futuri astronauti, in modo che questi trovino già pronto il propellente necessario per il loro viaggio di ritorno. MOXIE è soltanto il primo passo di una strada che porterà – lo speriamo vivamente – a posare un giorno il primo piede umano su un altro pianeta!

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Filippo Bonaventura
Content editor coordinator
Laureato in Astrofisica all’Università di Trieste e ha conseguito un Master in Comunicazione della Scienza presso la SISSA di Trieste. È stato coordinatore della rivista di astronomia «Le Stelle», fondata da Margherita Hack. Insieme a Lorenzo Colombo e Matteo Miluzio gestisce il progetto di divulgazione astronomica «Chi ha paura del buio?». Vive e lavora a Milano.
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