Il genoma umano coincide con quello di scimpanzé al 96%, eppure, nonostante la sconcertante somiglianza, esseri umani e scimpanzé sono due animali ben distinti. In questo articolo scaveremo in quel 4% di differenza, cercando di spiegare come sia possibile che genomi così simili generino due specie tanto diverse.
Cosa accomuna esseri umani e scimpanzé
Nel 1960 l’appena ventiseienne Jane Goodall stringe un’amicizia davvero singolare. Il suo nome era David Greybeard, aveva la barba argentata, ed era uno scimpanzé. Jane passò molto tempo insieme a David e alla sua famiglia nel parco nazionale del Gombe Stream in Tanzania; fu la prima a descrivere in dettaglio le abitudini, il linguaggio e il comportamento dei nostri cugini primati. Nel cuore della foresta africana, Jane intuì che la somiglianza tra esseri umani e scimpanzé andava ben oltre l’aspetto fisico. Entrambi ci prendiamo cura dei nostri figli, li nutriamo, li proteggiamo e gli insegniamo a vivere; proviamo gioia e dolore, ci emozioniamo, siamo compassionevoli e manifestiamo le nostre emozioni attraverso elaborate espressioni facciali; sappiamo costruire oggetti e tramandiamo ai più giovani ciò che abbiamo imparato.
Eppure, anche se fossimo di fronte ad un amico particolarmente peloso e ad uno scimpanzé, non avremmo dubbi su chi è chi: gli scimpanzé camminano principalmente su quattro zampe e sono almeno due volte più forti di noi; comunicano, ma non parlano in modo articolato; anche se hanno un cervello al di sopra della media del regno animale, è più piccolo e meno complesso del nostro; preferiscono la frutta ai carboidrati e non sanno nuotare. Queste ed altre differenze risiedono in quell’4% di DNA che non coincide. Ma dove precisamente?
Cosa distingue esseri umani e scimpanzé
Per comprendere a fondo in cosa differisce il patrimonio genetico degli esseri umani da quello degli scimpanzé, è necessario capire cos'è il genoma.
Il genoma è un ricettario molto dettagliato per costruire un essere vivente in ogni suo particolare. Costudito nelle cellule di tutti i viventi, dai microscopici batteri alle gigantesche balene, un genoma è composto da lunghi filamenti di DNA, la molecola perfetta per immagazzinare informazioni. Su questo grande ricettario, ogni passaggio si chiama “gene” e codifica l’informazione per produrre le proteine che compongo cellule e tessuti. La prima cosa che ci verrebbe da pensare è che quel 4% di differenza sia proprio nei geni. Non è così. Quasi due terzi delle nostre proteine sono uguali a quelle degli scimpanzé e la stragrande maggioranza delle altre differisce per uno o due amminoacidi che spesso non ne cambiano la funzione. A livello proteico, scimpanzé e esseri umani sono pressoché identici.
Lo studio dell’evoluzione molecolare, ovvero di come i genomi si sono evoluti nel tempo, ci ha insegnato che non servono necessariamente nuovi geni per ottenere nuove specie, ma bastano nuovi modi per regolare l’espressione dei geni già esistenti. Salvo poche eccezioni, la maggior parte delle differenze non sta “sui” geni, ma “tra” i geni. Infatti, tra un gene e l’altro esistono sequenze di DNA dette “regolative” che non codificano per proteine, ma funzionano da “interruttori” che accendono e spengono l’espressione dei geni. Per tornare all’analogia del libro di ricette, è come se i geni fossero gli ingredienti, mentre le sequenze regolative sono le indicazioni sulle quantità da usare, i tempi di cottura, quel pizzico di sale che fa la differenza… basta modificare leggermente queste informazioni per ottenere piatti molto diversi tra di loro anche partendo dagli stessi ingredienti.
Le sequenze interruttore
Un interessante esempio di queste sequenze interruttore (in gergo chiamate enhancer, ovvero “attivatrici”) appartengono al gruppo delle HAR, Human Accelerated Regions. Sono tratti di DNA che si sono “conservati” nei vertebrati per centinaia di milioni di anni, ma che circa 6 milioni di anni fa hanno iniziato a cambiare rapidamente solo nella linea evolutiva che ha distinto Homo sapiens dallo scimpanzé. Quando una sequenza di DNA è “conservata”, ovvero la ritroviamo identica nei genomi di specie diverse, significa che svolge un ruolo importante, e probabilmente comparabile, nei genomi di quegli esseri viventi che la possiedono. Se queste sequenze sono identiche nello scimpanzé, nel cane, nel ratto, nel topo, nel pesce, ma non nell’essere umano, allora è logico supporre che svolgano un compito che distingue l’essere umano dagli altri vertebrati, scimpanzé compreso. Da quando sono state scoperte nel 2006, si è visto che molte HAR potrebbero funzionare da enhancer di geni importanti durante lo sviluppo embrionale del cervello e potrebbero aver contributo ad aumentarne la complessità. È giusto precisare che anche gli scimpanzé hanno le loro accelerated regions che li distinguono da noi e dagli altri animali.
Quindi, cosa ci rende esseri umani? Abbiamo capito che non è una domanda semplice. Conoscere la sequenza del nostro genoma non significa conoscerne il funzionamento. Abbiamo letto interamente il ricettario per costruire uomini e scimpanzé, ma sono scritti in una lingua di cui sappiamo ancora troppi pochi vocaboli e pochissime regole grammaticali. La genomica, ovvero lo studio dei genomi nella loro interezza e complessità, è una branca della genetica ancora molto giovane, ma che sta crescendo rapidamente grazie ai grandi investimenti fatti nelle tecniche di sequenziamento, ovvero i metodi che ci permettono di leggere, lettera dopo lettera, tutto il DNA contenuto nelle nostre cellule. Basta pensare che il Progetto Genoma Umano, il primo che sequenziò il nostro genoma, ci mise tredici anni per leggerne il 99%, coinvolse decine di laboratori nel mondo e costò centinaia di milioni di dollari. Oggi esistono aziende dove chiunque può far sequenziare il proprio genoma in pochi giorni e spendendo qualche centinaio di euro.