
Il decreto sicurezza è ufficialmente legge: il 4 giugno 2025 il Senato ha approvato il testo definitivo con 109 voti favorevoli e 69 contrari, dopo che il 29 maggio anche la Camera aveva dato il suo via libera. Con il cosiddetto «ddl sicurezza», il Codice Penale si amplia con 14 nuovi reati e 9 aggravanti: la norma riguarda principalmente materie di sicurezza pubblica, reati contro il patrimonio, tutela delle forze dell'ordine e terrorismo. Al termine della votazione in Senato, alcuni partiti dell'opposizione hanno protestato, criticando fortemente il contenuto del decreto che, secondo loro, «restringerebbe il campo dei diritti e del dissenso».
Ma il decreto-legge n. 48/2025 rappresenta davvero un rischio per i diritti fondamentali riconosciuti dalla Costituzione Italiana? Effettivamente, il nuovo decreto sicurezza inasprisce alcune pene e sanzioni legate alle manifestazioni contro le opere pubbliche, trasformando il blocco stradale in un vero e proprio reato (punibile con il carcere fino a 2 anni) e minando potenzialmente alcune forme di protesta non violenta che sono state adottate negli ultimi anni da alcuni movimenti ambientalisti come Ultima Generazione.
Visto l'ampio dibattito sul contenuto del decreto voluto dal governo Meloni, è possibile che la Corte Costituzionale sia chiamata a intervenire per verificare la compatibilità della norma con i diritti fondamentali riconosciuti dalla Costituzione Italiana.
Cosa prevede il decreto sicurezza e cosa cambia: nuovi reati e aggravanti
Ma quindi, cosa cambia effettivamente con il decreto sicurezza? La nuova legge contiene in totale 39 articoli che, come abbiamo già detto, introducono nel Codice Penale 14 nuovi reati e 9 aggravanti: tra i più discussi c'è sicuramente «la norma anti-Ghandi». Il blocco stradale, infatti, da illecito amministrativo diventa un reato vero e proprio, punito con il carcere da 6 mesi fino a 2 anni nel caso in cui siano più persone a ostruire l'accesso a vie o binari attraverso il proprio corpo.
A questo si aggiunge poi l'aggravante ad hoc nel caso di violenza o minaccia nei confronti di un pubblico ufficiale durante manifestazioni contro la realizzazione di un'opera pubblica strategica, come nel caso delle proteste contro la costruzione del Ponte sullo Stretto o la TAV (la linea ferroviaria che si propone di collegare Torino con Lione e che potrebbe arrivare entro il 2033).
Il decreto, poi, rafforza la pena anche nel caso di danneggiamenti durante le manifestazioni: in questo caso, il tempo in carcere potrebbe andare da 1 anno e 6 mesi fino a 5 anni, con una multa fino a 15 mila euro e l'arresto in flagranza differita (ossia non immediata) quando il fatto è commesso in luogo pubblico o aperto al pubblico.
Dall'altro lato, aumenteranno le tutele statali nei confronti dei pubblici ufficiali: poliziotti, vigili del fuoco o altre forze dell'ordine indagate per fatti avvenuti durante il servizio non saranno più sospesi automaticamente e lo Stato si farà carico delle spese legali fino a un massimo di 10.000 euro.
La legge prevede infine un inasprimento della pena nel caso di truffa aggravata agli anziani, punibile con reclusione da 2 a 6 anni, e pene più severe anche per chi sfrutta minori per attività di accattonaggio (la pratica di chiedere l'elemosina) o per chi detiene materiale terroristico.
Gli ultimi punti del decreto-legge n.48/2025 riguardano la criminalizzazione della cannabis-light, con le infiorescenze di canapa che ora sono equiparate alla cannabis illegale a prescindere dalla percentuale di Thc presente, mentre diventa facoltativo quello che finora era l'obbligo di rinvio della pena per le donne in gravidanza e le madri detenute con figli sotto i 3 anni.
Quali sono i potenziali rischi per i diritti fondamentali
Ma nella pratica, quali sono i diritti costituzionali potenzialmente a rischio con la nuova legge? Al momento, diversi giuristi ritengono che il contenuto della legge violi gli articoli 17 e 21 della Costituzione, che riconoscono il diritto di riunione pacifica e di libera manifestazione del proprio pensiero:
Articolo 17: I cittadini hanno diritto di riunirsi pacificamente e senz'armi. Per le riunioni, anche in luogo aperto al pubblico, non è richiesto preavviso. Delle riunioni in luogo pubblico deve essere dato preavviso alle autorità, che possono vietarle soltanto per comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica.
Articolo 21: Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure. […]
Il decreto sicurezza, quindi, sembra voler scoraggiare i cittadini nelle proteste contro la costruzione di ingenti opere pubbliche, rafforzando le pene per alcune delle manifestazioni più frequenti degli ultimi mesi, come quelle contro la costruzione del Ponte sullo Stretto di Messina.
In particolare, la nuova legge andrà a colpire direttamente alcune forme di protesta non violenta (tra cui lo stesso blocco stradale), che negli ultimi anni sono state adottate da diversi movimenti ambientalisti. Proprio queste forme di protesta erano state depenalizzate nel 1999, essendo strettamente legate alla libertà di manifestazione del pensiero.
Allo stesso modo, sono state introdotte pene più severe per il deturpamento e imbrattamento di beni pubblici con graffiti e scritte, un reato ora punibile con la reclusione da 6 mesi a un 1 anno e mezzo. Anche in questo caso, i principali destinatari del provvedimento sembrano essere i movimenti ambientalisti, che hanno spesso fatto ricorso alla vernice contro statue od opere pubbliche con l'obiettivo di sensibilizzare la popolazione sui rischi derivati dal cambiamento climatico.
Cosa potrebbe succedere se la Corte Costituzionale intervenisse sul nuovo decreto sicurezza
Già nel corso degli scorsi mesi, il decreto sicurezza è stato fortemente criticato da numerosi giuristi, che hanno definito il provvedimento incostituzionale perché «viola le prerogative costituzionali garantite al Parlamento, punta a reprimere il dissenso e comprime alcuni diritti fondamentali , tassello fondamentale in qualunque democrazia».
Tra i favorevoli al decreto, invece, c'è chi sostiene che questa legge possa effettivamente aumentare la sicurezza dei cittadini, grazie a un rafforzamento delle pene contro le occupazioni abusive, le truffe agli anziani e chi commette violenze contro un pubblico ufficiale.
Sarà quindi compito della Corte Costituzionale stabilire se il decreto rappresenta effettivamente un rischio per alcuni dei diritti fondamentali sanciti dalla Costituzione Italiana: se così fosse, la Corte potrebbe dichiarare incostituzionale l'intera legge o solo una parte del contenuto. A quel punto, sarà il Parlamento a dover porre rimedio, introducendo le modifiche necessarie.
I precedenti storici: i casi in cui è intervenuta la Corte Costituzionale
Visto l'ampio dibattito, è quindi probabile che la Corte Costituzionale sia chiamata a intervenire per verificare se il contenuto della legge sia effettivamente compatibile con i principi costituzionali. Non si tratterebbe, comunque, di un caso isolato.
Già nel 2024 la Corte Costituzionale era intervenuta dichiarando incostituzionali diverse parti della legge sull'autonomia differenziata (anche conosciuta come ddl Calderoli).
Nel 2019, invece, l'illegittimità costituzionale era stata dichiarata per l'articolo 580 del Codice Penale, nella parte in cui incriminava l'aiuto al suicidio.
Nel 2014, poi, l'intervento della Corte aveva riguardato la legge elettorale nota come «Porcellum» (chiamata così perché il suo stesso autore, Roberto Calderoli, la definì una «porcata»): in questo caso, la legge era stata ritenuta incostituzionale con riferimento al premio di maggioranza e alle liste bloccate, che violavano i principi di rappresentanza e uguaglianza del voto.