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15 Febbraio 2024
9:36

Dimmi come chiami le “chiacchiere” di Carnevale e ti dirò da dove vieni

Tra i dolci tipici del Carnevale, le chiacchiere hanno molti nomi in Italia, che variano da regione a regione e talvolta anche da città a città. Scopriamo quali e perché esiste tanta varietà.

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Dimmi come chiami le “chiacchiere” di Carnevale e ti dirò da dove vieni
chiacchiere carnevale

Le chiacchiere di Carnevale, conosciute anche come frappe o cenci (in Toscana), bugie (in Piemonte e Liguria), crostoli (in Veneto), cicerchiata (in Abruzzo), pignolata (in Calabria) e altre varianti a seconda della regione o dell'area d'Italia, sono dei dolci bollosi e friabili che vengono modellati in sfoglie, fritti e successivamente cosparsi di zucchero a velo. Hanno una lunga storia che risale all'antica Roma. Il loro nome originario era frictilia: erano dolci fritti nel grasso di maiale e si dice che fossero già preparate in occasione dei Saturnali e Baccanali. In epoca cristiana rimase la tradizione di friggere queste frittelle nel periodo di Carnevale, che segna l'inizio della Quaresima, un periodo di digiuno e penitenza prima della Pasqua. A seconda le contesto geografico, però, il dolce assunse nomi diversi. Vediamo quali.

Perché le chiacchiere di Carnevale si chiamano così: le origini del nome

Una delle caratteristiche più affascinanti del dolce tipico di Carnevale è la sua diversità di nomi e varianti. Il nome più comunemente usato è chiacchiere, che pare si debba a un aneddoto legato alla regina Margherita di Savoia. La sovrana ottocentesca un giorno si sarebbe dilungata nel chiacchierare e, presa da un improvviso morso di fame, avrebbe richiesto un dolce al cuoco di corte napoletano Raffaele Esposito, che avrebbe preparato delle frittelle servendole appunto con il nome di "chiacchiere".

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I vari nomi delle chiacchiere nelle Regioni italiane

D'altro canto esistono tante altre varianti utilizzate nelle diverse regioni italiane. Addirittura, anche nella stessa regione questi dolci possono essere chiamati con nomi diversi. Cominciamo dal Nord Italia: in Piemonte, per esempio, vengono chiamate sia risòle che gale che bugie (in genere più piccole, a forma di rombo e che esistono anche nella variante ripiena alla marmellata o al cioccolato). In Emilia-Romagna, invece, le chiacchiere possono chiamarsi sfrappole o intrigoni oppure pizze fritte; a Venezia, invece, le chiacchiere vengono chiamate galàni o crostoli.

Tutte queste parole non sono però semplici sinonimi: si chiamano geosinonimi, sono cioè sinonimi legati a un luogo specifico, che vengono raccolti negli atlanti linguistici e nelle carte geolinguistiche. C’è una scienza precisa che li studia: l’onomasiologia.

Il professore dell’Università di Parma Alberto Grandi, storico che ha condotto studi sulla cucina Italiana, in merito a una così grande varietà di nomi afferma che «qui abbiamo una ricetta uguale per tutti, sostanzialmente una sfoglia di farina, uova e zucchero che viene fritta. A variare sono le [eventuali] componenti alcoliche utilizzate e soprattutto le forme, che cambiano da regione a regione». E sono proprio le forme che danno origine a tantissimi nomi diversi.

In provincia di Brescia per esempio si chiamano lattughe, «perché ricordano una foglia di insalata», mentre in Toscana «vengono definite cenci per via della loro forma piatta».

Grandi spiega che le origini di questi nomi potrebbero trovarsi nei ricettari di famiglia: «Sono fonti molto specifiche e redatte in maniera spontanea, che potrebbero fornire delle indicazioni importanti su come siamo arrivati ad avere tutti questi nomi».

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Perché tutti questi nomi?

La scelta dei termini usati per descrivere i dolci di Carnevale è ovviamente legata alle tradizioni delle varie località, ma almeno un paio di spiegazioni lessicali ci sono e, secondo Lorenzo Coveri, accademico della Crusca, hanno a che fare con “3 nuclei semantici e 4 motivazioni”.

I nuclei semantici sono legati al significato letterale della parola usata per descrivere il dolce, che può essere riferita: al concetto di vacuità e vuoto (chiacchiere e fregnacce sono vuote di significato come i pettegolezzi, le bugie sono vuote di verità e così via), a quello dello sbriciolamento, o alla forma (in veneto, galani significa nastri).

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Le 4 motivazioni sono simili ma sono più legate alla fisicità del dolce, che si chiamerebbe come si chiama:

  • per la forma che ha: galani o intrigoni in Emilia Romagna; castagnòle in Friuli, Veneto, Marche, Toscana e Lazio; cicerchiata in Abruzzo e Centro Italia (cicerchia è nome di una leguminosa, che dal latino significa “cece”); favarèlle, favétte, favìcchie o fàve mielàte in Toscana; pignolata in Calabria e Sicilia;
  • per la croccantezza: crogétti in Toscana (da crogiare, “rosolare”); crostoli, grostoli, grostoi in Trentino, Friuli e Veneto; taralli in Basilicata (dal latino torrere, “disseccare, abbrustolire”);
  • perché deriva da materiale di scarto o di recupero: cenci o stracci toscani; frappe (da frappare, “tagliare minutamente”); strùffoli, strùfoli in Toscana, Umbria, Molise e Campania (da struffo, “batuffolo”); civìgliole (dal toscano civiglie, “chiodini senza capocchia dei calzolai”);
  • semplicemente perché è vuoto: bugie e chiacchiere.

Quel che è certo è che sembra impossibile stabilire quale di questi geosinonimi sia nato prima.

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