Lungo la costa nord-occidentale del Cile, tra la catena delle Ande e la Cordigliera della Costa, si estende per oltre 100.000 km2 uno dei luoghi più aridi del pianeta. È il deserto di Atacama, dove le precipitazioni sono inferiori a 3 mm all’anno e la temperatura oscilla tra 5 °C di notte e 40 °C di giorno. Gli abitanti sono pochi a causa delle condizioni proibitive, che però non impediscono alla vegetazione di crescere in alcune aree e di dare luogo, talvolta, a fioriture spettacolari. Purtroppo, questi ecosistemi sono minacciati da una delle maggiori discariche di vestiti usati e invenduti del mondo, così grande che si vede spiccare tra le dune anche nelle immagini satellitari. Ma che cosa c’è dietro questo inquietante scenario causato dal fast fashion?
La discarica di vestiti usati di Atacama
La discarica di vestiti sorge alla periferia di Alto Hospicio, all’estremità occidentale del deserto di Atacama, da circa una quindicina di anni. Appare come un enorme cumulo tra le dune, costituito da indumenti di ogni tipo, usati ma anche nuovi, per un totale di ben 40.000 tonnellate. Qua e là gli abitanti rovistano tra magliette, jeans e camicie alla ricerca di qualcosa che possa ancora essere indossato. Ogni giorno camion carichi di abiti raggiungono indisturbati la discarica e li depositano illegalmente a cielo aperto. Si tratta perlopiù di tessuti sintetici, derivati dalla plastica, che per decomporsi in modo naturale possono impiegare oltre 200 anni. Nel frattempo, rilasciano sostanze inquinanti nel suolo. Come se non bastasse, di tanto in tanto qualcuno incendia la catasta con l’intenzione di ridurla e libera così fumi tossici che raggiungono la città.
Da dove provengono gli abiti usati
I vestiti della discarica, prima di arrivare nel deserto di Atacama, compiono un lungo viaggio attraverso i continenti. Vengono prodotti con tessuti di bassa qualità in Paesi come Cina, Bangladesh, India, Pakistan e Vietnam, dove la manodopera è a basso costo e lavora con orari insostenibili e in condizioni di scarsa sicurezza. È la cosiddetta fast fashion, la moda “usa e getta” economica e di tendenza, ma estremamente inquinante, che ha preso sempre più piede negli ultimi decenni. Una volta confezionati, gli abiti raggiungono Stati Uniti, Europa e Asia, dove vengono venduti per essere indossati poche volte, prima che passino di moda e vengano dismessi. I vestiti di seconda mano e quelli invenduti partono a bordo di navi container dirette verso il Cile, dove sbarcano poi al porto di Iquique, a pochi kilometri da Alto Hospicio. Come mai vengono inviati proprio qui?
Perché i vestiti vengono mandati in Cile
La città portuale di Iquique è una “zona franca” stabilita dal governo cileno per facilitare il trasporto internazionale delle merci e incentivare l’economia locale. Ciò significa che le aziende della zona non pagano le imposte doganali e possono così ottenere a prezzi stracciati i vestiti della fast fashion di cui il Nord del mondo vuole liberarsi.
Al porto di Iquique arrivano circa 60.000 tonnellate di vestiti usati all’anno. Qui vengono smistati e selezionati: quelli in buone condizioni vengono venduti nei negozi di altri Paesi dell’America Latina o sui mercati locali, mentre quelli più rovinati (che sono una buona parte) devono essere smaltiti. A questo punto, per non pagare i costi dello smaltimento, i vestiti invenduti vengono portati in discariche abusive come quella nel deserto di Atacama.
Anche se quello di Atacama è un caso eclatante, le conseguenze ambientali della fast fashion sono gravi in tutto il mondo. Tra queste, la dispersione di microplastiche, la produzione di acque reflue, le emissioni di gas serra, l’enorme consumo di acqua per la produzione. Per ridurre l’impatto dei rifiuti tessili, sempre più aziende si occupano di recuperarli trasformandoli, per esempio, in nuove fibre o in pannelli isolanti. Alla base, però, ognuno di noi dovrebbe limitare il numero di capi acquistati durante l’anno, scegliendo quelli di maggiore qualità, destinati a durare di più.