Quando parliamo di Alpi abbiamo in mente la montagna per eccellenza, quella con la M maiuscola. Colossi dalle cime scintillanti, imponenti ghiacciai dalle venature azzurre, silenziose vallate coperte da nevi immacolate… È triste dirlo, ma purtroppo potrebbe essere sempre più difficile ammirare questi paesaggi.
Un recente studio realizzato in collaborazione tra l’Università di Padova e l’Istituto di scienze dell’atmosfera e del clima del CNR (Consiglio Nazionale delle Ricerche) ha dimostrato infatti che la durata del manto nevoso sulle Alpi è notevolmente diminuita negli ultimi decenni e, attualmente, la durata media annua è la più breve degli ultimi 600 anni: oltre un mese in meno rispetto alla durata media analizzata sul lungo periodo. Vediamo cause e conseguenze del fenomeno.
Il manto nevoso delle Alpi
In montagna, alle altitudini maggiori e durante la stagione fredda, le precipitazioni avvengono soprattutto in forma nevosa e ricoprono il suolo e la roccia nuda con uno spesso strato di neve in grado di conservarsi per diversi mesi, anche quando si trova al di sotto del limite delle nevi perenni (la quota al di sopra della quale la neve accumulata non fonde mai del tutto). In generale, la durata del manto nevoso dipende da diversi fattori geografici, come la latitudine, l’altitudine e l’esposizione al Sole di un territorio, ma anche meteorologici, come la presenza del vento e di un cielo in prevalenza nuvoloso oppure sereno.
Lo studio della durata del manto nevoso
Per effettuare un’analisi del manto nevoso alpino che tenesse conto delle variazioni sul lungo periodo, i ricercatori dell'Università di Padova e del CNR si sono basati sullo studio degli anelli di accrescimento del ginepro comune, un arbusto molto longevo (può vivere diversi secoli) che alle alte quote alpine cresce sviluppandosi parallelamente al terreno.
Gli anelli di accrescimento sono i cerchi concentrici che possiamo vedere all’interno dei fusti legnosi degli alberi quando li osserviamo tagliati per sezione trasversale e indicano le fasi di crescita stagionale della pianta. Variazioni in questa crescita, dovute a fattori esterni, come gelate prolungate oppure caldi anticipati, restano quindi “impresse” nella struttura degli anelli di accrescimento per sempre.
Essendo il ginepro una pianta che ad alte quote non si eleva dal terreno per più di qualche decina di centimetri, risulta evidente che la copertura del manto nevoso incida notevolmente sul suo ciclo biologico stagionale. Incrociando i dati delle temperature e delle precipitazioni locali con quelli delle variazioni nella struttura degli anelli di accrescimento del ginepro, i ricercatori sono riusciti a elaborare un modello in grado di analizzare la durata del manto nevoso sulle Alpi, anche in un passato in cui ancora non esisteva la raccolta dei dati climatici.
Grazie a questa metodologia sono stati riscontrati i dati già descritti: oggigiorno la durata media annua di permanenza del manto nevoso sulle Alpi è la più breve degli ultimi 600 anni.
Le cause del calo della durata del manto nevoso sulle Alpi
Benché i ricercatori non si siano occupati di approfondire le cause della riduzione del manto nevoso, altri studi, effettuati sulle principali catene montuose dei Paesi in tutto l'emisfero settentrionale, hanno messo in evidenza numerose correlazioni osservabili tra l'aumento delle temperature (e quindi il riscaldamento globale) e la durata del manto nevoso sui rilievi. Temperature più alte determinano infatti una minor quantità di precipitazioni nevose, che avvengono quindi sotto forma di pioggia, e incidono sui tempi di conservazione e fusione della neve e del ghiaccio presenti a terra.
A rendere ancora più evidente questa circostanza concorrono il progressivo ritiro dei ghiacciai e la diffusione della vegetazione a quote sempre più elevate, in aree in cui le condizioni ambientali non avrebbero consentito la crescita di specie vegetali complesse fino a qualche decennio fa.
Le conseguenze della scomparsa della neve
Quali possono essere le conseguenze della progressiva scomparsa della neve sulle Alpi? Per cominciare, neve e ghiaccio sono estraneamente importanti nel mantenimento degli equilibri climatici. Ampie superfici innevate o ghiacciate, infatti, aumentano il fenomeno dell’albedo, cioè la capacità riflettente dei raggi del Sole da parte di una superficie. Più radiazione solare riflessa significa meno radiazione solare assorbita dalla superficie terrestre, con la conseguenza di una temperatura più bassa, rispetto, per esempio, a zone vicine in cui l’albedo è minore e la radiazione solare scalda maggiormente il terreno, con effetti diretti sui paesaggi e sugli ecosistemi.
Le conseguenze di una minore durata del manto nevoso non riguardano però solo gli equilibri ambientali e climatici, ma possono interessare, a breve e lungo termine, anche una moltitudine di altri settori. La copertura nevosa è infatti uno dei principali fattori che incide sul ciclo dell'acqua. I ghiacciai e le nevi delle Alpi, infatti, sono un gigantesco serbatoio di acqua dolce, fondamentale per la biosfera, certo, ma anche per le attività umane. Meno neve e meno ghiaccio significa meno acqua in alcuni dei più importanti bacini idrografici d’Europa, come quello del Po, durante la stagione calda.
Nelle regioni alpine (e anche a valle), agricoltura, allevamento, attività industriali, produzione di energia idroelettrica, edilizia e turismo sono attività che, direttamente o indirettamente, necessitano di grandi quantità di acqua dolce e di neve. È quindi estremamente importante continuare a monitorare questo fenomeno e agire con una certa prontezza per salvaguardare non solo gli equilibri ambientali, ma anche i settori economici più vulnerabili delle regioni alpine.