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20 Dicembre 2023
12:34

La storia dell’ACNA, la fabbrica di esplosivi e coloranti che ha avvelenato il fiume Bormida

Per più di un secolo la val Bormida, tra Piemonte e Liguria, ha subìto l’inquinamento della cosiddetta “fabbrica dei veleni”: un disastro ambientale enorme, le cui conseguenze si avvertono ancora oggi. Ripercorriamo la storia dell’ACNA, la famosa azienda chimica italiana che produceva esplosivi e coloranti attiva fino al 1999.

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La storia dell’ACNA, la fabbrica di esplosivi e coloranti che ha avvelenato il fiume Bormida
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Fondata verso la fine dell’Ottocento a Cengio, in provincia di Savona, l’ACNA (acronimo di Azienda Coloranti Nazionali e Affini) per decenni ha ricoperto un ruolo centrale nell’economia italiana, producendo prima gli esplosivi impiegati in guerra e poi coloranti per l’industria tessile. Fu uno dei centri di produzione chimica più importanti del Paese. La sua attività è durata più di un secolo (fino al 1999) nel corso del quale ha riversato enormi quantità di inquinanti nelle acque superficiali (tra cui quelle del fiume Bormida) e sotterranee, nel suolo e nell’aria. Verso la fine della sua attività, l'azienda produceva ogni anno qualcosa come 30.000 tonnellate di intermedi organici, soprattutto derivati del benzene e della naftalina. Come se non bastasse l'inquinamento ambientale, anche le conseguenze sulla salute degli operai sono state terribili. Nonostante ciò, l’ACNA è stata obbligata a chiudere solo nel 1999, dopo numerosissime battaglie da parte della popolazione. Dietro di sé ha lasciato una contaminazione enorme che ha richiesto una lunga bonifica, ancora in atto.

Origine e sviluppo dello stabilimento

La storia dell’ACNA comincia nel 1882 a Cengio, un tranquillo borgo agricolo dell’entroterra ligure, al confine con il Piemonte: qui, su un’ansa del fiume Bormida, viene costruito il Dinamitificio Barbieri, una fabbrica di dinamite. Il luogo è ideale per lo sviluppo industriale: il fiume fornisce una grande quantità di acqua, la ferrovia rappresenta un collegamento fondamentale con il porto di Savona e la manodopera è a basso costo. Circa dieci anni dopo la sua fondazione, il dinamitificio viene rilevato dalla SIPE (Società Italiana Prodotti Esplodenti) e si espande molto rapidamente. La richiesta di esplosivi infatti è altissima: servono per le guerre, prima quelle del colonialismo italiano e poi quelle mondiali. Nel 1918 nella fabbrica lavorano 6000 operai e si producono enormi quantità di acido solforico concentrato, acido nitrico, fenolo, tritolo, binitronaftalina, acido picrico, balistite e nitrocotone. Ogni giorno si fabbricano ben 100 tonnellate di esplosivi.

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Vista aerea di Cengio. Credits: Olivier Cleynen, CC BY 4.0, via Wikimedia Commons.

Nel primo dopoguerra lo stabilimento comincia a produrre anche coloranti per l’industria tessile, in particolari prodotti a base di catrame di carbone, utilizzabili per preparare sia esplosivi sia colori sintetici. Poi però subentra una crisi, per cui nel 1925 il dinamitificio viene rilevato da Italgas. Nel 1929 lo stabilimento di Cengio, insieme a quelli di Rho e Cesano Maderno, diventa ACNA e nel 1931 passa alla Montecatini e alla tedesca IG Farben.

L’impatto su ambiente e lavoratori

A lungo gli abitanti di Cengio e dei territori circostanti, fino ad allora perlopiù contadini, vedono nella fabbrica una grande opportunità lavorativa. Nel tempo, però, sale la preoccupazione per l'inquinamento delle acque del Bormida: sono giallo-rossicce, contaminate dagli scarichi dello stabilimento per circa 70 km a valle, in territorio piemontese, e inutilizzabili per irrigare i campi. Anche l'inquinamento delle acque sotterranee diventa preoccupante, al punto che già nel 1909 si vieta l’utilizzo dei pozzi a valle della fabbrica. I rifiuti solidi vengono accumulati sul greto del fiume o in buche scavate nel terreno. Dalle ciminiere fuoriescono fumi tossici che danno origine a una costante nebbia: le sue particelle si depositano sul terreno, avvelenando le coltivazioni e il bestiame, mentre la popolazione manifesta malesseri di varia natura. Ma non è tutto: gli operai, che lavorano a contatto con sostanze velenose e respirano polveri e vapori, cominciano ad ammalarsi di cancro e di molte altre patologie.

A partire dagli anni Quaranta le proteste degli agricoltori si moltiplicano, tra manifestazioni e blocchi stradali. Dureranno decenni, mentre i tecnici dell’ACNA continueranno a negare la pericolosità della contaminazione e denunce e processi si concluderanno con un nulla di fatto. Negli anni Settanta la Legge Merli stabilisce limiti precisi per le emissioni di inquinanti: il risultato è che l’ACNA comincia a seppellire di notte i rifiuti nei terreni circostanti e ad adottare altri accorgimenti per superare i controlli. Intanto, il fiume Bormida viene dichiarato da una Commissione ministeriale “biologicamente morto”.

Dalle proteste alla chiusura dell’ACNA

Solo nel 1987 la val Bormida viene dichiarata “Area ad elevato rischio di crisi ambientale”. Ma la contaminazione dell’ACNA, ormai passata sotto il controllo della Montedison, continua: particolarmente significativo è l’episodio dell’enorme nube bianca che nel 1988 intossica la popolazione. Negli anni Ottanta e Novanta le proteste si intensificano: gli attivisti manifestano legati e imbavagliati davanti alla stazione di Cengio, si incatenano alla sede della regione Liguria e bloccano perfino il Giro d’Italia. Il caso diventa di interesse mediatico.

Intanto, la situazione economica dell’ACNA peggiora drasticamente e nel 1991 l’azienda viene assorbita da Enichem, la società petrolchimica del gruppo Eni. Bisognerà aspettare il 1999 perché l’ACNA venga chiusa e perché sia dichiarato lo stato di emergenza socio-ambientale per il sito.

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L'ACNA di Cengio oggi: la difficile bonifica

Finalmente, nel 2006 viene approvato e affidato a Eni Rewind un progetto di bonifica. Negli anni successivi una grande quantità di rifiuti è stata rimossa, mentre una parte è stata soltanto messa in sicurezza in modo permanente. Oggi le acque del Bormida sono pulite, vengono di nuovo utilizzate per irrigare i campi ed è anche permesso pescare. La bonifica, però, è ancora in corso e presenta numerose criticità: per esempio, un’area esterna al sito presenta ancora alti livelli di inquinanti, mentre la tenuta delle barriere di contenimento dei rifiuti è oggetto di dibattito e ci sono perplessità sul possibile riutilizzo del sito.

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