;Resize,width=638;)
Negli ultimi giorni la proposta di Donald Trump ha fatto discutere il mondo intero: il Presidente degli Stati Uniti ha parlato della possibilità concreta di prendere il controllo della Striscia di Gaza e, dopo aver espulso circa due milioni di palestinesi che risiedono lì, trasformare l'area in una sorta di "Riviera del Medio Oriente". Si tratta di un'idea che ha lasciato stupefatta l’opinione pubblica e solleva interrogativi enormi, sia dal punto di vista del diritto internazionale, perché significherebbe violare la Quarta Convenzione di Ginevra, che della fattibilità pratica. Questa convenzione per “la protezione delle persone civili in tempo di guerra” (approvata nel 1949, entrata in vigore ufficialmente nel 1950), infatti, vieta espressamente il trasferimento forzato di popolazioni da un territorio occupato. Consideriamo inoltre che Trump ha ordinato a U.S.A.I.D. (l'agenzia americana per gli aiuti) di cessare le attività e rientrare negli Stati Uniti, interrompendo programmi cruciali.
Dall’Arabia Saudita all’Europa: le reazioni
La reazione di dissenso della comunità internazionale è stata forte: da Parigi a Berlino, da Londra ai Paesi arabi come Egitto, Giordania, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, in molti hanno condannato l’idea sottolineando i rischi di destabilizzazione per l'intera regione.
Non tutti gli attori internazionali sono contrari alla proposta. Lo stato di Israele in particolare si è dichiarato del tutto favorevole al piano statunitense. Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha accolto positivamente la proposta di Trump, definendola "un’idea straordinaria"; addirittura il ministro della Difesa israeliano, Israel Katz, ha persino ordinato alle forze armate di elaborare un piano per permettere la "partenza volontaria" degli arabi palestinesi da Gaza.
D'altro canto, l'organizzazione arabo-palestinese Hamas ha invitato la popolazione della Striscia a far muro contro la proposta di Trump.
Le difficoltà nella realizzazione del piano di Trump per Gaza
La proposta di Donald Trump di espellere gli arabi palestinesi dalla Striscia di Gaza è piena di difficoltà pratiche enormi, dal momento che trasferire circa due milioni di persone richiederebbe un'organizzazione logistica immane, enormi costi e sfide per trovare paesi disposti ad accogliere i rifugiati. L'Egitto e la Giordania, che già ospitano molti arabi palestinesi, hanno osteggiato apertamente l’idea di accoglierne altri. Inoltre, gestire la situazione implicherebbe l’impiego di decine di migliaia di soldati statunitensi sul campo, cosa che va contro le promesse di Trump di ridurre la presenza degli USA in Medio Oriente. Il piano prevederebbe anche enormi investimenti economici per trasformare Gaza in una destinazione turistica, ma le infrastrutture locali, che sono già gravemente danneggiate dalle guerre, non sarebbero adatte a un'operazione di questa portata se non dopo un intervento di ricostruzione. A tutto ciò si aggiungerebbe l'opposizione di molti Paesi arabi e la possibilità di una grave crisi umanitaria, con le persone costrette a lasciare la loro terra in condizioni drammatiche, situazione che riecheggia avvenimenti già condannati della storia moderna e contemporanea, senza considerare anche il problema della gestione delle proprietà abbandonate e delle difficoltà nel trasporto delle persone e dei loro beni.
Insomma, l’idea di Trump sembrerebbe un progetto che, se portato avanti, avrebbe conseguenze enormi, sia sul piano umanitario che su quello politico. Ma vista la dura opposizione internazionale, i problemi legali e la complessità logistica, questa proposta, almeno per ora, sembra destinata a rimanere solo un'ipotesi.
La trasformazione della Striscia di Gaza in un hub turistico non è un'idea nuova: Trump e il suo entourage, incluso il genero Jared Kushner, parlano da tempo del potenziale economico dell’area, immaginandola come un luogo di lusso, pieno di resort e investimenti internazionali. Il Presidente ha dichiarato che dopo 15 anni di lavori di sgombero e ricostruzione, Gaza potrebbe essere ripopolata da cittadini di tutto il mondo, che vivrebbero in grattacieli con vista sul mare. Tuttavia, un progetto del genere avrebbe bisogno di un controllo politico e militare stabile, situazione che nella contemporaneità risulta estremamente difficile da realizzare.
Trump e Netanyahu condividono una visione nazionalista e di estrema sicurezza nei confronti della questione palestinese. Questa proposta riflette il loro allineamento strategico: entrambi i leader politici hanno adottato approcci unilaterali e pongono al centro la sovranità statale e la sicurezza nazionale. Trump, anche durante il suo precedente incarico presidenziale, ha preso decisioni simboliche di grande importanza. Nel 2017 ha sostenuto la proposta di Gerusalemme come capitale di Israele, segnando un cambiamento radicale nella politica americana verso il conflitto israelo-palestinese, e nel 2020 ha appoggiato il “Piano del Secolo” , che prevedeva uno Stato palestinese con confini ridotti e sotto il controllo israeliano, idea che Netanyahu ha sostenuto per consolidare la sua politica di espansione. Sebbene sia la Palestina che la comunità internazionale l’abbiano rifiutato con forza, la teorizzazione del piano ha accresciuto il sostegno a Netanyahu e rafforzato l’immagine di Trump come alleato forte di Israele. In linea con questa visione, le politiche repressive adottate sia da Stati Uniti che da Israele (pensiamo ad esempio al taglio dei fondi all’UNRWA da parte di Trump le l’intensificazione delle operazioni militari di Netanyahu) hanno aggravato la situazione umanitaria nelle aree palestinesi. La proposta di espulsione degli arabi palestinesi da Gaza, in particolare, si inserisce in un quadro di controllo territoriale e sicurezza intransigente.