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27 Febbraio 2025
13:53

Protocollo migranti Italia-Albania alla Corte di Giustizia: quali sono i punti e possibili sviluppi

Il Protocollo Italia-Albania, firmato nel 2023, prevede il trasferimento in Albania di migranti soccorsi in mare dall’Italia, ospitandoli in centri gestiti da personale italiano per procedure di rimpatrio. L'accordo Italia-Albania ha suscitato critiche e ricorsi legali: il 25 febbraio è iniziato il processo presso la Corte di Giustizia UE. La sentenza verrà emessa entro aprile.

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Protocollo migranti Italia-Albania alla Corte di Giustizia: quali sono i punti e possibili sviluppi
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Il primo ministro albanese Edi Rama e la Presidente del Consiglio italiano Giorgia Meloni.

Dal 2024 il governo italiano presieduto da Giorgia Meloni, insieme al governo albanese presieduto da Edi Rama, sta lavorando a un piano per il trasferimento di richiedenti asilo dall’Italia in appositi centri di accoglienza in Albania, con una proposta di legge per trasformarli in centri permanenti di rimpatrio (CPR) con procedure accelerate ed eventuale provvedimento di espulsione e rimpatrio. Sono state numerose le polemiche e le proteste sollevate, da parte non solo delle opposizioni politiche in Italia, ma anche da parte di numerosi giuristi e magistrati, tra cui quelli del Tribunale di Roma, che hanno fatto ricorso alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea.

Cosa prevede il Protocollo Italia-Albania sui centri di rimpatrio

A novembre 2023, il governo italiano e quello albanese hanno firmato un accordo, il Protocollo Italia-Albania, che prevede che le persone migranti e richiedenti asilo soccorse dalle autorità italiane nel Mar Mediterraneo non vengano accolte in un porto sicuro in Italia, ma trasferite in Albania in apposite strutture di accoglienza. L’accordo, della durata di cinque anni con rinnovo automatico, prevede la realizzazione in Albania di strutture per le “procedure di frontiera o di rimpatrio” dei migranti che dovrebbero ospitare, secondo le stime, circa 36 mila persone all'anno.
Queste strutture dovrebbero essere gestite da personale italiano, rispettando le leggi europee ed italiane in materia migratoria. I costi per la manutenzione e gestione delle strutture sono a carico dell’Italia, compreso il personale impiegato per la sorveglianza e sicurezza dei centri e per il trasferimento dei migranti. Con questo Protocollo l'Albania riconosce all'Italia il diritto all'utilizzo – secondo i criteri stabiliti – di determinate aree, concesse a titolo gratuito per la durata dell’accordo.
La situazione dei centri per migranti in Albania, attualmente, è caratterizzata da incertezze e modifiche nelle politiche governative italiane: dopo l'avvio del trasferimento di migranti salvati nel Mar Mediterraneo verso i centri albanesi il 15 ottobre 2024, il governo italiano ha affrontato numerosi ostacoli legali. In particolare, la Corte d'Appello di Roma ha deciso di non convalidare il trattenimento di 43 migranti nelle strutture albanesi, ordinando il loro ritorno in Italia.

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Quanti sono e dove sono i centri per migranti

I centri che dovrebbero accogliere i migranti in arrivo dall’Italia si trovano a Shengjin, a circa  un'ora dalla capitale Tirana, dove è presente una struttura destinata allo sbarco e all’identificazione dei migranti. Il secondo centro si trova a Gjader, nell’entroterra, ed è formato da tre strutture: un centro di prima accoglienza con 880 posti, un Centro di permanenza e rimpatrio (CPR) con 144 posti ed un penitenziario con 20 posti. Ad ogni modo, finora tutti i migranti trasferiti nei centri sono rientrati in Italia dopo 48 ore poiché i giudici italiani hanno respinto o sospeso i trattenimenti: i centri in Albania al momento sono vuoti ed i contratti del personale impiegato nelle strutture sono stati annullati.

Qual è l’attuale procedura secondo il Protocollo Italia-Albania

Secondo l’attuale Protocollo Italia-Albania, dopo le missioni di soccorso e salvataggio, le persone migranti vengono visitate ed esaminate sulle navi della Marina Militare Italiana, e tra queste solo i cittadini maschi maggiorenni, provenienti dalla lista dei cosiddetti “Paesi terzi sicuri”, se ritenuti non vulnerabili, vengono trasferiti nei centri in Albania. Qui, dopo essere stati identificati, vengono trattenuti in attesa dell’esame della loro domanda d’asilo: il nodo della vicenda risiede in questo punto poiché il provvedimento di fermo dovrebbe essere convalidato dal Tribunale di Roma entro 48 ore. Ma i giudici riconoscono in questo punto un illegittimo, poiché queste persone sarebbero trattenute forzatamente e verrebbe effettuata una "procedura di frontiera accelerata", non rispettando il diritto d’asilo, e basando il giudizio su valutazioni troppo veloci e quindi possibilmente errate.
Infatti, in base al comma 3 del Protocollo Italia-Albania in materia migratoria  “le aree concesse in uso all'Italia da parte dell'Albania sono equiparate alle zone di frontiera o di transito; in tali aree, in presenza di determinate condizioni, si applica la procedura accelerata di esame delle richieste di protezione internazionale”.

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La sede della Corte di Giustizia dell’UE, Lussemburgo. Fonte: Wikimedia commons

Il Protocollo Italia-Albania davanti alla Corte di Giustizia UE

Secondo il Protocollo Italia-Albania, le persone trasferite nei centri in Albania sono coloro che provengono dai cosiddetti Paesi “sicuri”. Proprio il Tribunale di Roma ha fatto ricorso alla Corte di Giustizia dell’UE in merito alla legittimità dei fermi secondo il criterio di "Paese terzo sicuro": venivano considerati sicuri dal governo italiano Paesi come Egitto e Bangladesh, i quali per alcune comunità, come ad esempio le LGBTQ+, non rispettano i diritti civili e le libertà, e dunque non possono essere considerati sicuri per tutti. L’udienza alla Corte di Giustizia dell’UE è iniziata il 25 febbraio e sarà svolta con procedura accelerata, con sentenza che verrà emessa entro il 10 aprile 2025.

I nodi del Protocollo Italia-Albania

Oltre al concetto di Paese sicuro, è stato oggetto di discussione il trasferimento e l'eventuale procedura di rimpatrio dei migranti che, secondo alcuni magistrati, deve svolgersi in territorio europeo, mentre i centri in Albania non ricadono all’interno del territorio dell’Unione Europea. L’Albania, infatti, sebbene abbia fatto richiesta di adesione all’UE nel 2009 e sia Paese candidato dal 2014, non è attualmente un Paese membro. Le persone migranti e richiedenti asilo che vengono trasferite nei centri di rimpatrio rischiano inoltre di non ricevere l’adeguata assistenza medica, psicologica e legale di cui necessitano, con una probabilità più elevata di rigetto della richiesta d’asilo. Numerose organizzazioni per la difesa dei diritti umani, tra cui l' "Agenzia dell'UE per i diritti fondamentali", vedono nel provvedimento un'espulsione “collettiva”, pertanto illegale secondo la normativa europea. Nel nostro Paese, inoltre, le opposizioni politiche criticano queste procedure, sostenendo che potrebbero violare i diritti umani e il diritto d'asilo ed esprimono preoccupazione per la possibilità che i migranti vengano trattenuti in condizioni inadeguate o rimpatriati verso Paesi dove la loro vita potrebbe essere a rischio, non rispettando il principio di non respingimento (non-refoulement).

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