La pirateria rappresenta di per sé un problema gigantesco per il settore dell'intrattenimento. Un problema che si trasforma in una catastrofe per il mondo dei diritti sportivi, che proprio in Italia sta vivendo una stagione non propriamente florida a causa di un campionato di calcio di Serie A sempre meno attrattivo per gli investitori. Capite bene dunque come le istituzioni siano state costrette a operare un giro di vite contro i così detti «pezzotti», ovvero tutti quei sistemi che consentono di guardare le partite bypassando gli abbonamenti ufficiali: una perdita economica per realtà come DAZN e SKY, un guadagno che spesso confluisce verso la criminalità organizzata.
Ecco perché, a partire da settembre 2024, è entrata in funzione la piattaforma Piracy Shield. Messa a punto dallo Studio Previti e donata dalla Lega Serie A all’AGCOM (L'Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni), è pensata per intervenire su due fronti, intercettando sia chi sta diffondendo il segnale pirata e sia chi ne sta usufruendo (e dunque l'utente finale). In tal senso Massimiliano Capitanio – Commissario AGCOM – ha annunciato qualche giorno fa l'arrivo del protocollo che dovrebbe consentire di applicare in maniera semplice le sanzioni da 150 a 5.000 euro previste da un'apposita legge approvata lo scorso anno.
Come la versione 2.0 di Piracy Shield
Partiamo innanzitutto da un aspetto importante. I tempi delle schede elettroniche sono ormai superati: la pirateria viaggia oggi attraverso internet, con veri e propri siti web che diffondono in maniera illegale i contenuti protetti da copyright, tra cui gli eventi sportivi (con particolare riferimento alle partite di calcio). Tutto passa attraverso dei decoder con cui i pirati informatici riescono ad accedere ai contenuti offerti dalle piattaforme Pay-Tv per trasmetterli gratuitamente, aggirando così gli abbonamenti. La tecnologia utilizzata si chiama IPTV (Internet Protocol Television) e permette dunque a chi ha una connessione di poter guardare i programmi su computer, smart tv o cellulare. Gratuitamente, o quasi.
Chi gestisce infatti queste piattaforme illegali opera accedendo ai contenuti a pagamento, ricodificando il segnale dei programmi in maniera tale che possa essere trasmesso via internet e vendendo i contenuti piratati agli utenti a un prezzo che è notevolmente inferiore a quanto prevede l’abbonamento originale. In questo contesto è entrata in vigore la legge n. 93/2023, ribattezzata «anti-pezzotto», pensata per contrastare chi trasmette o utilizza streaming illegali e bloccando tempestivamente questi contenuti. Ma in che modo? Il filo d'Arianna è l'indirizzo IP.
Un indirizzo IP è un indirizzo univoco che identifica un dispositivo su internet o in una rete locale. È l'acronimo di «Internet Protocol», ovvero Protocollo Internet, l'insieme delle regole che disciplinano il formato dei dati scambiati su Internet o sulla rete locale. In pratica un indirizzo IP è un identificatore che consente ai dispositivi di scambiarsi informazioni su una rete: può contenere informazioni sulla posizione e consentire l'accesso ai dispositivi per la comunicazione. Il web ha bisogno di un metodo per distinguere i diversi computer, router e siti web. Gli indirizzi IP hanno proprio questo scopo e costituiscono un aspetto essenziale del funzionamento di Internet.
L'obiettivo è dunque quello di identificare gli indirizzi IP di chi diffonde il segnale pirata e degli utenti che lo visualizzano, così da poterli rintracciare, bloccare e multare. Il governo ha perciò conferito all’AGCOM poteri più estesi, consentendo all’authority di bloccare l’accesso ai siti pirata e ai domini e sottodomini che oggi o in futuro sono associati a tali attività illecite. Tra gli strumenti a disposizione dell'Autorità è arrivata anche Piracy Shield, che permette agli operatori a pagamento con licenza di segnalare chi sta trasmettendo senza autorizzazione, fornendo l’indirizzo IP del sito illegale e le motivazioni per cui si sta chiedendo l’oscuramento del contenuto. Entro 30 minuti dalla richiesta lo scudo antipirateria genera un ticket e lo invia agli operatori delle telecomunicazioni (TIM, Vodafone, Fastweb, WindTre etc.), che entro altri 30 minuti dalla segnalazioni provvederanno a bloccare il sito illegale.
Questo blocco avviene automaticamente, non è previsto un controllo umano, motivo per cui è stata creata una whitelist di siti che non possono essere interessati dalle segnalazioni. Un approccio che però non è bastato a evitare errori grossolani, con siti web perfettamente legali che sono stati bloccati in quanto si sono trovati a condividere il proprio indirizzo IP con quelli illegali (grazie ad appositi stratagemmi dei pirati informatici). Motivo per cui si è lavorato a una versione 2.0 di Piracy Shield, che entrerà in funzione tra qualche settimana: Google sembrerebbe pronta al dialogo per aiutare la procedura e, finalmente, si è trovata la quadra sul famoso protocollo tra Procura e Guardia di Finanza, che consentirà di scambiarsi informazioni per identificare gli utenti che fruiscono dei servizi pirata.
L'efficacia della lotta alla pirateria
Rimane comunque un grosso punto interrogativo circa l'effettiva efficacia di Piracy Shield. La piattaforma funziona senza dubbio ed è importante sottolineare come le istituzioni siano oggi nella condizione chi rintracciare chi paga per un abbonamento pirata (e chi lo diffonde) e punirlo in maniera pesante. Il punto però è che applicare la legge spesso non è così semplice e automatico, o almeno non lo è stato sino ad ora. La cronaca ci ha raccontato di un unico utente rintracciato e punito, a fronte invece di diverse operazioni che hanno colpito i criminali informatici che riuscivano a intercettare il segnale legale delle piattaforme autorizzate: solo durante le prime due giornate di campionato sono stati bloccati circa 500 indirizzi IP. Un'enormità, segno evidente di come la piattaforma funzioni.
La sensazione però è che, con questo nuovo giro di vite, l'AGCOM voglia intensificare controlli e multe nei confronti soprattutto degli utenti che pagano un vero e proprio abbonamento ai criminali. Ci sono infatti casi di contenuti pirata che si riescono a visionare senza alcun pagamento, che rappresentano comunque un reato ma che probabilmente sono meno sotto la lente d'ingrandimento delle autorità. Anche perché, è bene sottolinearlo, la lotta alla pirateria è un qualcosa di tutt'altro che semplice, con un panorama che, come abbiamo visto, è incredibilmente complesso e frastagliato.
Rimane fermo un dettaglio: accedere a contenuti pirata rimane un reato sempre, a prescindere che lo si faccia a pagamento o in forma gratuita. Prestate attenzione dunque, anche perché il futuro dell'intrattenimento passa anche dalla responsabilità di noi utenti.