Nella notte tra il 13 e il 14 aprile 170 droni e 150 missili balistici e da crociera sono stati lanciati dall’Iran verso obiettivi militari nel territorio di Israele. La maggioranza di questi sono stati intercettati dall’IDF (Israel Defence Forces) e neutralizzati. La base militare israeliana di Nevatim, situata nel sud di Israele e precisamente nel deserto del Negev, è stata quella che ha riportato i danni maggiori.
Era stata proprio questa la base da cui il 1 aprile 2024, secondo Teheran, erano partiti gli F35 che hanno colpito l’ambasciata iraniana a Damasco, in cui hanno perso la vita alcuni alti esponenti delle Guardie della Rivoluzione iraniana (tra cui Mohammad Reza Zahedi). La base di Nevatim è una delle principali delle forze di difesa israeliane, lontana da obiettivi civili, che però è già stata dichiarata nuovamente operativa.
Alla controffensiva israeliana per neutralizzare i droni iraniani, anche nei territori di Siria e Iraq, hanno partecipato anche aerei dell'aeronautica statunitense, francese, giordana e britannica.
L'attacco del 1 aprile scorso: perché l'Iran ha attaccato Israele
L’Iran ha dichiarato che l’attacco lanciato ad Israele si inserisce nel quadro di un’azione difensiva in seguito all’attacco all'ambasciata iraniana avvenuto in Siria il 1 aprile scorso. Durante un raid missilistico israeliano, infatti, è stata attaccata una parte dell'edificio dell’ambasciata iraniana a Damasco, in cui aveva perso la vita anche uno dei più importanti esponenti delle Guardie della Rivoluzione iraniane: Mohammad Reza Zahedi, ufficiale comandante della forza Quds.
Si ricordi che l'opposizione tra Iran ed Israele non è qualcosa di nuovo, ma che ha origine dalla nascita della Repubblica Islamica iraniana nel 1979. Attualmente, nel conflitto Israele-Hamas, il governo israeliano accusa l’Iran di finanziare, oltre che Hamas, anche il movimento libanese Hezbollah e gli Houthi dello Yemen.
La reazione internazionale dell'attacco iraniano ad Israele
In seguito all’attacco iraniano, la comunità internazionale si è mobilitata per timore di un allargamento del conflitto e un ulteriore aggravarsi della situazione in Medio Oriente. Gli Stati Uniti, pur dando il proprio supporto logistico all’IDF insieme a Regno Unito e Francia, hanno chiesto una riunione straordinaria del G7, ed anche il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres ha condannato l’attacco, ricordando però l’inviolabilità della sovranità territoriale di uno Stato anche nelle sedi consolari e diplomatiche. Gli Stati Uniti, secondo quanto dichiarato da John Kirby, coordinatore del Consiglio di Sicurezza Nazionale per le comunicazioni strategiche degli Stati Uniti, si sono dichiarati contrari ad ulteriori attacchi contro Teheran, per non scatenare un conflitto regionale su vasta scala. Anche altri attori internazionali come Cina, Russia, Egitto, Turchia si dichiarano preoccupati per un’escalation del conflitto.
L'Italia e gli altri componenti del G7 in riunione straordinaria hanno auspicato una non risposta del governo israeliano per evitare un'escalation che potrebbe compromettere ulteriormente la situazione in Medio Oriente e che porterebbe ad una situazione dagli esiti inaspettati.
I possibili scenari futuri: le conseguenze dell'attacco dell'Iran
Al momento il governo israeliano ha dichiarato di non voler estendere le operazioni militari mentre l‘Iran considera conclusa la questione, vista come una risposta circoscritta a scopo difensivo in seguito all'attacco del 1 aprile scorso. Alla luce di ciò gli scenari possibili potrebbero contemplare una non risposta da parte di Israele per evitare un allargarsi del conflitto, anche su spinta degli alleati, in primis gli Stati Uniti, limitandosi alla riuscita della proprie forze di difesa aerea nel neutralizzare circa il 99% dei droni e missili iraniani.
La seconda opzione potrebbe essere che Israele scelga, anche se non subito, di rispondere all'attacco iraniano in modo simbolico, includendo tra i propri obiettivi, oltre all'Iran, anche le milizie di Hezbollah o gli Houthi in Yemen. Questo l'allargarsi del conflitto nella regione potrebbe portare a conseguenze inaspettate e tragiche.
Senza dubbio Israele deve considerare anche la propria situazione interna: il governo si trova ad affrontare una crisi del consenso, dovuta al mancato rilascio degli ostaggi israeliani nelle mani di Hamas e all'offensiva sempre più lunga nella Striscia di Gaza, che non accenna a fermarsi. Gli alleati sunniti regionali, inoltre, come Emirati Arabi, Egitto, Giordania ed Arabia Saudita avranno un ruolo importante in questo contesto e la loro linea sarà un elemento importante da tenere in considerazione negli equilibri dell'area e in caso di possibile escalation.