
A Belém, in Brasile, si è ufficialmente aperta la COP30, la 30ª Conferenza delle Parti delle Nazioni Unite sulla gestione della crisi climatica e del riscaldamento globale: per la prima volta nella storia, il vertice si svolgerà alle porte della Foresta Amazzonica. Due gli obiettivi principali di quest'anno: stabilire un piano per mobilitare, entro il 2035, 1.300 miliardi di dollari all'anno per i Paesi in via di sviluppo – così come deciso alla fine della COP29 – e rafforzare la transizione ecologica che porti all’abbandono dei combustibili fossili – obiettivo conclusivo della COP28.
Si tratta di un appuntamento importante, dato che quest'anno ricorrono i 10 anni dall'adozione degli Accordi di Parigi e i 20 anni dall'entrata in vigore del Protocollo di Kyoto, due dei più importanti accordi internazionali per il contrasto dei cambiamenti climatici.
In realtà, come già successo nella COP29 di Baku, trovare un accordo che metta d'accordo tutti i Paesi sarà particolarmente difficile, anche a causa dell'assenza di grandi personalità – tra cui Donald Trump e Xi Jinping – al vertice dei leader politici che si è tenuto lo scorso 7 novembre.
Nel frattempo, un recente studio ha confermato che il 2024 è stato l'anno più caldo finora registrato nella storia: secondo il segretario ONU Antonio Guterres, è ormai irrealizzabile il contenimento del riscaldamento globale a +1,5 °C in più rispetto ai livelli pre-industriali.
Cos'è la COP30 di Belém in Brasile e quali sono gli obiettivi
L'acronimo COP sta per Conference of Parties, letteralmente “Conferenza delle Parti” e indica la Conferenza ONU, organizzata annualmente per riunire i circa 200 rappresentanti, tra Paesi e organizzazioni internazionali (come l'UE), che hanno firmato l’accordo sul clima delle Nazioni Unite del 1992.
La grande priorità della COP30, che proseguirà fino al 21 novembre, è quella di mettere in pratica il “New Collective Quantified Goal” concordato alla COP29. Nello specifico, i Paesi dovranno delineare un piano strategico per destinare, entro il 2035, almeno 1.300 miliardi di dollari all'anno per i Paesi in via di sviluppo. Questi fondi, che serviranno come aiuti climatici, dovranno essere stanziati dai Paesi più sviluppati, ma potranno contribuire anche investimenti privati o Paesi emergenti che attualmente non sono donatori.
Ma la posta in gioco, quest'anno, è piuttosto alta: la COP30 è la prima Conferenza delle Parti a riconoscere il fallimento dell'obiettivo di contenere il riscaldamento globale a +1,5 °C rispetto ai livelli pre-industriali. Tra l'altro, secondo un recente rapporto ONU – l'Emissions Gap Report 2025 – se le attuali politiche energetiche non dovessero cambiare, è possibile che entro la fine del XXI secolo si arrivi a un aumento della temperatura media globale di 2,8 °C rispetto all'epoca pre-industriale.

Tra le novità, poi, c'è il possibile lancio di un “Tropical Forests Forever Facility”, ovvero un meccanismo di finanziamento multilaterale proposto dal Brasile per “sostenere la conservazione delle foreste in pericolo e delle popolazioni che vi abitano” e la definizione delle modalità di accesso al Fondo per le Perdite e i Danni (FRLD), lo strumento creato per aiutare i paesi più interessati dagli effetti del cambiamento climatico e gestito con il sostegno della Banca Mondiale.
Più in generale, il programma della COP30 si articola in sei diversi pilastri stabiliti dal Brasile, che detiene la presidenza della Conferenza ONU sul clima, in quanto Paese ospitante:
- La transizione delle fonti di energia, dell'industria e dei trasporti.
- La gestione delle foreste, degli oceani e della biodiversità.
- La trasformazione dell'agricoltura e dei sistemi alimentari.
- Il rafforzamento della resilienza delle città, delle infrastrutture e delle risorse idriche.
- La promozione dello sviluppo umano e sociale.
- La liberazione di fattori abilitanti e acceleratori, anche per quanto riguarda la finanza, la tecnologia e lo sviluppo di capacità.
Perché sarà difficile arrivare a un negoziato durante la Conferenza ONU sul clima
Così come successe per la COP29 di Baku, e per la precedente COP28 di Dubai, raggiungere un accordo finale sarà particolarmente complicato, per diversi motivi.
Primo fra tutti, l'assenza alla COP30 dei leader dei quattro Paesi che più inquinano al mondo: USA, Cina, India e Russia. E, tra l'altro, dopo il ritiro di Washington dagli Accordi di Parigi – uno dei primi provvedimenti firmati da Trump all'inizio del suo secondo mandato – il Presidente Donald Trump ha fatto sapere che gli Stati Uniti non parteciperanno alla Conferenza con rappresentanti di alto livello.
Insomma, a Belém sono arrivati la metà dei Capi di Stato rispetto allo scorso anno: con una partecipazione così ridotta, è assai improbabile che si raggiunga un accordo condiviso dall'intera comunità internazionale. A tutto questo si aggiungono le numerose tensioni geopolitiche internazionali, che renderanno ancora più difficili i negoziati per raggiungere un compromesso per la gestione della crisi climatica.
In generale, comunque, le decisioni prese alle COP non hanno carattere vincolante (e quindi obbligatorio per gli Stati), ma possono gettare le basi per futuri trattati, come avvenuto con gli Accordi di Parigi.