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L'eco-ansia, ovvero l'ansia per il peggioramento della situazione climatica e ambientale del pianeta terra, è una nuova forma di ansia in espansione, soprattutto tra le nuove generazioni. La natura impalpabile e a lungo termine della crisi climatica determina uno stato di stress prolungato che porta a un'eccessiva produzione di cortisolo (l'ormone dello stress) ed espone il corpo e la psiche a processi di infiammazione. Le risposte che il nostro cervello attua a livello emotivo e cognitivo oscillano principalmente tra due opposti: distanziamento protettivo dall'argomento (che può portare a insensibilità) o impegno costruttivo. Gli individui più attivi nel tentativo di cambiare rotta sono anche quelli più soggetti all'eco-ansia, ma l'attivismo collettivo aumenta la soddisfazione e il senso di auto-efficacia. Un sondaggio di UNICEF Italia in collaborazione con Youtrend ha evidenziato che il 24% degli italiani ha sentito parlare di ecoansia e, di questi, il 9% ha manifestato sintomi psicologici legati all'ansia ambientale almeno una volta a settimana.
Il cervello in stato di allerta: neurobiologia dell'ecoansia
L'esposizione costante a notizie negative sul cambiamento climatico provoca nel nostro cervello reazioni simili a quelle di qualsiasi altra minaccia. Il centro cerebrale di allarme si attiva ripetutamente, scatenando una risposta di stress che rilascia cortisolo e conseguentemente indebolisce il sistema immunitario, aumenta lo stato di infiammazione dell'organismo, con risultati negativi sulla nostra salute mentale, causando insonnia e appunto, ansia.
In chi soffre di ansia climatica, aree cerebrali come la corteccia cingolata e l'insula – essenziali nella risposta alle minacce ambientali – mostrano funzioni alterate. Curiosamente, le persone più attive nell'attivismo sono spesso quelle che maggiormente soffrono di eco-ansia. Questo collegamento tra attivismo e ansia potrebbe essere spiegato da risposte neurobiologiche: le immagini di devastazione ambientale stimolano un'aumentata attività nell'insula anteriore, e chi presenta maggiore reattività di quest'area è più propenso a impegnarsi contro l'uso distruttivo del territorio. Questo fenomeno evidenzia la duplice natura dell'eco-ansia: un'esperienza angosciante che può però trasformarsi in forza motivazionale per l'azione ambientale.

La peculiarità dell'ecoansia rispetto ad altre forme di ansia risiede nella natura della minaccia: invisibile, globale e apparentemente incontrollabile. Le regioni cerebrali coinvolte nella proiezione del futuro e nella valutazione dei rischi sono quindi messe a dura prova. Come spiega il neuroscienziato Robert Sapolsky, il nostro cervello, evolutivamente programmato per rispondere a minacce immediate e concrete, si trova in difficoltà nell'elaborare una minaccia che non può essere vista direttamente o combattuta con una risposta di "lotta o fuga". È come chiedere a un antico sistema di navigazione di guidarci attraverso una moderna metropoli: gli strumenti di base ci sono, ma non sono stati progettati per questo scopo specifico.
Le risposte all'ecoansia: dalla paralisi all'azione
Un aspetto particolarmente interessante della risposta cerebrale all'ecoansia è la complessa interazione tra circuiti emotivi e cognitivi. Secondo un articolo pubblicato su Sustainability, l'esposizione prolungata alle informazioni sui cambiamenti climatici può portare a due principali modalità di risposta: il distanziamento o l'azione.
Per comprendere questo processo, possiamo immaginare il cervello come un grande fiume con diversi affluenti: l'ecoansia può deviare tutta l'acqua verso cascate di preoccupazione paralizzante, oppure può essere incanalata in numerosi piccoli ruscelli di azioni concrete, ciascuno dei quali contribuisce al flusso complessivo in modo più gestibile e produttivo.
Nel primo caso, è come se il cervello abbassasse il volume di una radio che trasmette continuamente cattive notizie. Questo meccanismo di protezione, sebbene utile nel breve termine per ridurre l'angoscia, può portare a lungo termine a una ridotta capacità di risposta e azione, una sorta di insensibilità. Nel secondo caso, quando si verifica un impegno costruttivo, le informazioni sul clima possono attivare sia i centri emotivi che le aree cognitive del cervello. Per esempio, la preoccupazione per il clima può rendere le persone più focalizzate e riflessive, motivandole a pensare in modo critico. Uno studio pubblicato su The Journal of Climate Change and Health ha rilevato che, tra tutte le emozioni, la rabbia (che nella ricerca viene chiamata eco-rabbia) porta a un maggiore coinvolgimento nell'attivismo pro-clima e a comportamenti personali a favore del clima.

Impegnarsi in azioni collettive per il clima è stato anche associato all'attenuazione del legame tra ansia climatica e sintomi di salute mentale, suggerendo che lavorare con altri può aumentare la speranza e il senso di efficacia nello sforzo di affrontare la crisi climatica. Questo indica che la preoccupazione per il clima, specialmente quando si trasforma in emozioni come la rabbia o quando è accompagnata da un senso di efficacia e controllo, può essere incanalata in azioni concrete.