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Il permafrost è una tipologia di suolo, formato da ghiaccio, rocce e sedimenti, che rimane congelato per tutto l'anno e la sua fusione è una delle molteplici e gravi conseguenze del cambiamento climatico. Sebbene se ne parli relativamente poco, il permafrost svolge un ruolo cruciale nella regolazione del clima globale ed è anche una delle componenti del sistema terrestre più sensibili al riscaldamento globale. La fusione di questa particolare tipologia di suolo tipica delle alte latitudine è un processo già in atto, con una perdita superiore al 10% negli ultimi decenni.
Tuttavia, ciò che preoccupa maggiormente non è tanto la fusione del ghiaccio in sé, quanto le sue conseguenze sull’ambiente. Danni a infrastrutture e abitazioni, il risveglio di virus dormienti da centinaia di migliaia di anni e il potenziale repentino rilascio di oltre 1.700 miliardi di tonnellate di gas serra nell’atmosfera sono solo alcune delle devastanti ripercussioni di questo fenomeno.
Il permafrost: cos’è, dove si trova e perché si sta fondendo
Il permafrost è quella strato di terreno permanentemente congelato, ovvero che si mantiene a temperature inferiori a 0°C per almeno due anni consecutivi. Si trova principalmente nell’emisfero boreale, in regioni come la Siberia, l’Alaska, il Canada, la Groenlandia e l’Altopiano Tibetano e l’Islanda, coprendo una superficie superiore a 19 milioni di km², pari a circa il 24% delle terre emerse nell’Artico. In molte aree, il permafrost persiste dall’ultima era glaciale e può raggiungere spessori considerevoli, fino a diverse centinaia di metri.

Questa porzione di suolo congelato è probabilmente uno dei sistemi terrestri naturali più sensibili al cambiamento climatico. Dati satellitari raccolti tra il 1997 e il 2018, insieme a misurazioni in situ, hanno evidenziato come la temperatura del permafrost sia aumentata mediamente di circa 1°C per decennio. Uno studio pubblicato nel 2017 sulla rivista scientifica internazionale Nature Climate Change suggerisce che tra il 2002 e il 2012 siano scomparsi circa 3,4 milioni di km² di permafrost. Tuttavia, si tratta di una stima con un ampio margine di errore (circa ±2,3 milioni di km²), a causa delle difficoltà legate alla misurazione di questa variabile.
I modelli climatici indicano inoltre che, se la temperatura globale dovesse stabilizzarsi a 2°C sopra i livelli pre-industriali – il limite massimo fissato dagli Accordi di Parigi – oltre 2,5 milioni di km² di permafrost potrebbero scomparire. Nello scenario peggiore, con un aumento di circa 6°C rispetto ai livelli pre-industriali, il permafrost potrebbe scomparire quasi del tutto.
Quali sono le conseguenze della fusione del permafrost
L’impatto ambientale associato allo scongelamento del permafrost artico è significativo e multifattoriale, e comprende il rilascio di gas serra o virus e pericoli naturali come frane e la formazione di crateri.
Rilascio di gas serra
Innanzitutto, il suolo congelato nel permafrost contiene enormi quantità di materia organica ricca di carbonio, composta da resti di piante e animali che non hanno potuto decomporsi a causa delle temperature estremamente rigide. Tuttavia, con la fusione del permafrost, i processi di decomposizione batterica si riattiverebbero, portando alla produzione e al rilascio di gas serra come sottoprodotto.
Diversi studi hanno sottolineato come il permafrost dell’emisfero boreale contenga oltre 1.700 miliardi di tonnellate metriche di carbonio congelato, anche sottoforma di metano e anidride carbonica. Si tratta di un valore ben 45 volte superiore alla quantità di CO2 emessa dall’uomo nel 2023, pari a circa 3.78 miliardi di tonnellate.
Tuttavia, non è ancora chiaro come e quando questo carbonio possa essere rilasciato in atmosfera. Alcune previsioni indicano che già nei prossimi 40-60 anni sarà possibile misurare il picco di rilascio di gas serra associato alla fusione del permafrost. Lo scenario peggiore prevede un rilascio repentino dei gas serra, con effetti devastanti sull’ambiente e compromettendo irreparabilmente ogni tentativo di arrestare il cambiamento climatico. Lo scenario più favorevole, invece, prevede un rilascio graduale del carbonio, consentendo agli scienziati di identificare e adottare appropriate misure di contenimento e adattamento.

Danni a strutture e infrastrutture
La fusione del permafrost ha anche un forte impatto sulle infrastrutture. Infatti, almeno 120.000 edifici, 40.000 km di strade e 9.500 km di oleodotti si trovano nelle aree di permafrost dell’emisfero settentrionale. In Russia, oltre il 60% del territorio è occupato dal permafrost.
Con la fusione del ghiaccio, la morfologia superficiale delle aree un tempo congelate diventa irregolare. Il ghiaccio, infatti, svolge una funzione simile a quella di un legante, mantenendo coesi i granelli di suolo poco consolidati. Di conseguenza, fenomeni di termocarsismo, frane, calanchi e altri processi erosivi superficiali di varia entità spesso accompagnano la fusione del permafrost, rappresentando una minaccia continua per infrastrutture e abitazioni.
Gli effetti negativi di questo fenomeno sono già evidenti in numerose regioni artiche. Nella città di Norilsk, in Russia, ad esempio, nel 2020 numerosi edifici e abitazioni hanno subito danni a causa del cedimento del suolo, oltre a un grave sversamento di gasolio. Inoltre, a partire dal 2013, esplosioni causate dal rilascio di gas idrati in seguito allo scongelamento del permafrost hanno generato numerosi crateri nella tundra siberiana.
Rilascio di virus
Al di là della materia organica e del carbonio, il permafrost custodisce numerosi virus, alcuni dei quali sono considerati debellati o quasi, come la peste bubbonica e il vaiolo, che, se reimmessi in circolazione, potrebbero rappresentare una minaccia per la salute umana.
Già nell'agosto del 2016, una decina di persone in Siberia furono colpite da un’epidemia di antrace, che causò anche la morte di un ragazzo di 12 anni. Gli scienziati hanno individuato l'origine del contagio in una carcassa di renna riemersa dallo scongelamento del permafrost. Inoltre, questi ghiacci contengono microbi esistenti da molto prima della società odierna, alcuni dei quali risalenti a oltre 400.000 anni fa.

Disturbi a flora, fauna e ambiente
Non va poi ignorato come la fusione del permafrost stia trasformando le regioni polari della tundra in paesaggi fangosi, determinando la scomparsa della flora locale e mettendo a rischio la sopravvivenza della fauna che se ne nutre.
Inoltre, quando il permafrost situato al di sotto di corpi idrici, come i laghi, fonde, l'acqua si infiltra nel terreno e scompare, contribuendo all’inasprimento delle condizioni di siccità.
