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24 Aprile 2023
10:00

Il programma spaziale cinese: cosa ha fatto e cosa può fare la Cina nello spazio

La Cina è diventata a tutti gli effetti una superpotenza spaziale e ha sviluppato programmi ambiziosi per l’esplorazione della Luna e di altri corpi celesti. In Occidente, i progressi cinesi nelle missioni oltre l’atmosfera creano molta apprensione.

A cura di Erminio Fonzo
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Il programma spaziale cinese: cosa ha fatto e cosa può fare la Cina nello spazio
programma spaziale cinese

La Cina ha iniziato a interessarsi di missioni spaziali negli anni ‘50. Pur non essendo in grado di competere con l’Unione Sovietica e gli Stati Uniti, i cinesi conseguirono alcuni successi, come la messa in orbita del primo satellite artificiale nel 1970.

Per alcuni anni i progressi furono piuttosto lenti, ma negli anni ’90 la Cina iniziò a investire ingenti risorse nella ricerca spaziale, dotandosi di tecnologie all’avanguardia. Ha così raggiunto traguardi importanti, come l’invio di astronauti oltre l’atmosfera e di veicoli robotici sulla Luna e su Marte.

I successi cinesi suscitano preoccupazione negli Stati Uniti, che vedono messo in discussione il loro primato e sono intimoriti dal possibile utilizzo” economico e militare dello spazio. La Cina, del resto, ha annunciato progetti molto ambiziosi, tra i quali quello di portare l’uomo sulla Luna.

Lancio di un razzo Lunga Marcia 3B
Lancio di un razzo Lunga Marcia 3B

I primi passi della Cina nello spazio

Nella seconda metà degli anni ’50, quando presero avvio i viaggi spaziali di Stati Uniti e Unione Sovietica, la Repubblica popolare cinese cercò subito di ritagliarsi un ruolo nel settore. La Cina era ancora un Paese poco industrializzato, ma la sua estensione e l’abbondanza di popolazione lasciavano intravedere grandi potenzialità.

Le autorità di Pechino iniziarono a collaborare con l’URSS, che mise a disposizione le proprie tecnologie aerospaziali, ma nel 1960 la crisi diplomatica tra i due Paesi interruppe la cooperazione. La Cina, perciò, dovette fare da sé.

Pechino era interessata allo spazio soprattutto per ragioni militari, essendo consapevole dell’utilità dei satelliti artificiali per lo spionaggio e delle potenzialità dei razzi, che potevano trasportare non solo carichi oltre l’atmosfera, ma anche bombe sui territori nemici. Negli anni ’60 gli ingegneri cinesi iniziarono a lavorare alla costruzione dei lanciatori, ma solo nel 1970 furono in grado di mandare in orbita il primo satellite, il Dong Fang Gong I.

Il satellite Dong Fang Hong I
Il satellite Dong Fang Hong I

Il satellite fu portato in orbita dal razzo Lunga Marcia 1 (così denominato dalla marcia compiuta dalle armate di Mao Zedong nel 1934-35), il primo esemplare di una famiglia di lanciatori destinata ad avere grande sviluppo.

Lenti progressi fino agli anni ‘90

Negli anni successivi la Cina continuò a costruire razzi e a mandare in orbita satelliti artificiali. Inoltre, mise in cantiere progetti più ambiziosi, tra i quali l’invio nello spazio di missioni con equipaggio umano, ma il suo livello di sviluppo tecnologico non consentì di realizzare il progetto.

La situazione cambiò alla fine degli anni ’80, quando nel Paese presero avvio profondi cambiamenti socio-economici. I leader politici aumentarono le risorse per le missioni oltre l’atmosfera e nel 1993 fondarono l’Agenzia spaziale cinese (CNSA) che assunse le competenze su tutto quanto concerneva lo spazio (prima di competenza delle forze armate).

Logo dell'Agenzia spaziale cinese
Logo dell’Agenzia spaziale cinese

Inoltre, la caduta dell’Unione Sovietica del 1991 consentì di riprendere la collaborazione con la Russia. Grazie ai cambiamenti, negli anni ’90 la Cina fu in grado di costruire lanciatori più potenti e di inaugurare nuovi spazioporti. Nel 1999 poté testare anche la sua prima navicella per il trasporto di un equipaggio umano, la Shenzou 1.

La crescita dopo il 2000

Negli anni 2000 la Cina è diventata una superpotenza economica, il che le ha permesso di investire molti più fondi sulle missioni spaziali. Nel 2003 la CNSA ha mandato nello spazio il suo primo astronauta (in Cina chiamato taikonauta), Yang Liwei, che ha raggiunto l’orbita terrestre a bordo della navicella Shenzou 5 ed è rientrato a Terra dopo 21 ore.

La Cina è diventata così il terzo Paese, dopo URSS e USA, a realizzare missioni umane oltre l’atmosfera terrestre con tecnologia interamente nazionale (gli astronauti di altri Paesi, come gli italiani, si servono di mezzi americani o russi).

Da allora i successi si sono susseguiti a ritmo serrato. Tra l’altro, la CNSA ha intrapreso un programma di esplorazione della Luna con mezzi robotici, mandando la prima sonda in orbita lunare nel 2007 e il primo rover sul suolo del satellite nel 2013. Nel 2021, un veicolo robotico cinese, denominato Zhurong, è atterrato con successo su Marte. Pechino, in sostanza, è diventata a tutti gli effetti un protagonista delle missioni oltre l’atmosfera.

Il rover Zhurong fotografato da una suo apposita telecamera (credit China News Service)
Il rover Zhurong fotografato da una sua apposita telecamera (credit China News Service)

I rapporti internazionali e la stazione spaziale

Negli Stati Uniti i successi cinesi creano apprensione. Negli anni 2000 Pechino si è rivelato un pericoloso concorrente di Washington non solo in merito alle missioni spaziali, ma anche a livello industriale e commerciale; gli americani, inoltre, temono che la Cina possa in futuro sfidarli persino sul piano militare, perché sta sviluppando armi sempre più complesse.

In merito allo spazio, la CNSA ha cercato di collaborare con i Paesi occidentali, in particolar modo nelle operazioni sulla Stazione spaziale internazionale, ma la collaborazione è stata rifiutata dagli Stati Uniti. Tra il 2011 e il 2013 il Congresso ha emanato alcuni provvedimenti per proibire ogni rapporto di cooperazione aerospaziale, con la motivazione di non voler fare conoscere ai cinesi la tecnologia statunitense.

La Cina non ha potuto partecipare alle missioni sulla Stazione spaziale internazionale, perché la Nasa è uno dei partner, e ha perciò deciso di costruire una sua stazione, la Tiangong, il cui primo modulo è stato messo in orbita nel 2021. Il completamento è previsto per la fine del 2023, ma la stazione già ospita astronauti.

La stazione cinese (credi Shujianyang)
La stazione spaziale cinese (credit Shujianyang)

L’opposizione degli Stati Uniti limita anche le possibilità di cooperazione con altri Paesi, che rischierebbero di mettere in discussione il loro rapporto con Washington se condividessero tecnologie aerospaziali con Pechino. L’Italia, in particolare, nel 2019 ha rinunciato a un accordo per la costruzione di un modulo della stazione Tiangong.

Progetti futuri e rapporti internazionali

La Cina oggi dispone di quattro spazioporti per i lanci orbitali, di razzi potenti e di tecnologie all’avanguardia. Anche le ambizioni sono forti. Le autorità di Pechino, pur senza rendere pubblici programmi dettagliati, hanno dichiarato di voler far arrivare degli astronauti sulla Luna e installarvi una base permanente.

In prospettiva futura, i cinesi pensano persino a una missione umana su Marte. Hanno inoltre avviato programmi per l’esplorazione dello spazio profondo e per lo studio di nuove tecnologie, tra le quali la costruzione di una centrale capace di immagazzinare energia solare nello spazio e portarla sulla Terra.

Il lanciatore Lunga Marcia 5
Il lanciatore Lunga Marcia 5

Non è possibile prevedere se e quando la Cina sarà in grado di realizzare i suoi progetti. È però sicuro che i piani cinesi sono simili a quelli degli Stati Uniti, che di recente hanno avviato, in cooperazione con altri Paesi, il programma Artemis per portare di nuovo l’uomo sulla Luna. Si è perciò sviluppata una competizione, che sembra quasi una riedizione, sia pure con molte differenze, della corsa allo spazio degli anni ’60.

Il “controllo” dello spazio, del resto, può avere grande importanza economica e militare, soprattutto per le potenzialità dei satelliti artificiali. Inoltre, se in futuro sarà possibile sfruttare le risorse della Luna o di altri corpi celesti, il confronto potrebbe diventare ancora più aspro, anche perché gli attuali trattati di diritto aerospaziale non stabiliscono regole precise per tutte le questioni politiche che possono sorgere.

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