In tutti i Paesi occidentali, compresa l'Italia, si assiste al fenomeno dell’invecchiamento della popolazione, ossia della quota degli “anziani” che supera quella dei “giovani”. Questa condizione dipende da diversi fattori: dalla caduta della natalità, dall’aumento dell’aspettativa di vita (grazie ai servizi di cura sempre più sviluppati), dall’aumento del livello di istruzione e dalle abitudini e scelte di vita personali.
Le conseguenze di questa tendenza si ripercuotono sia in ambito sociale che economico: per esempio nell’ambito della produzione, dei consumi, nel mercato del lavoro e nel sistema sanitario e previdenziale. In poche parole: saremo sempre più costretti a fare i conti con una “questione demografica”.
La situazione italiana
Mentre per continenti come l’Africa e l’Asia parla di “bomba demografica”, in Europa si assiste al fenomeno opposto. L’Italia è attualmente il paese più anziano al mondo dopo il Giappone.
La diminuzione della fecondità (diminuzione del numero di figli in media per donna) e l’aumento della speranza di vita (si muore più tardi) hanno completamente cambiato la piramide demografica della popolazione italiana.
Siamo giunti a un quasi rovesciamento della piramide: un tempo la base della piramide era molto corposa, ossia c’erano tanti nati ad alimentare la popolazione. Oggi, invece, la base è sempre più stretta e la “punta” sempre più rilevante. In base alle proiezioni ISTAT, tra 20 anni ci saranno 18,8 milioni di cittadini sopra i 65 anni, 5 milioni in più di oggi, contro una popolazione in età da lavoro (15-64 anni) che si sarà ridotta a sua volta di 5 milioni (a 33,7 milioni).
Perché la popolazione “invecchia”
L’invecchiamento della popolazione è il risultato di vari fattori.
In primo luogo, citiamo l’aumento della sopravvivenza: grazie alle cure mediche sempre più avanzate e a tenori di vita molto alti, gli individui vivono più anni che in passato.
Secondariamente, si assiste a una progressiva diminuzione della fecondità: le donne fanno meno figli. Questa tendenza dipende anzitutto dall’accesso e dall’uso dei contraccettivi (soprattutto della pillola anticoncezionale) che ha rivoluzionato anche culturalmente il rapporto delle donne con la riproduzione. Influisce, inoltre, anche l’aumento degli anni di istruzione: si entra più tardi nel mondo del lavoro e, mentre si studia, tendenzialmente non si fanno figli. Quando e se si decide di averne, si hanno a disposizione meno anni (la fertilità subisce un primo calo intorno ai 32 anni e un rapido declino dopo i 37).
Non da ultimo, vanno ricordate le condizioni socio-economiche e l’innalzamento dell’età di fuoriuscita dalla casa dei genitori: anche i provvedimenti di politica pubblica che sostengono o meno la natalità influenzano i tassi di fecondità.
E i figli delle persone che migrano nel nostro Paese? Non è inusuale imbattersi in ragionamenti che vedono la categoria delle persone migranti come chiave per il “problema demografico italiano”. In realtà, l’azione esercitata dai movimenti migratori parrebbe funzionare solo nel breve termine: nel lungo termine, i comportamenti tendono ad assomigliare sempre più a quelli già osservati (senza contare che anche le persone immigrate invecchiano e che potenzialmente portano a far crescere la popolazione anziana).
L’impatto socio-econimico dell’invecchiamento
Come viene sottolineato nei telegiornali, nei convegni e nel dibattito pubblico, l’invecchiamento della popolazione comporta fondamentali conseguenze, collettive e individuali, arrivando a coinvolgere praticamente ogni settore della vita quotidiana.
Sul piano economico può modificare il potenziale di crescita economica di un Paese, costringendolo a rivedere l’organizzazione e la produzione di beni e servizi e può alterare la quantità di capitale umano nel mercato del lavoro. In aggiunta, l’invecchiamento della popolazione comporta la necessità di dover sostenere un numero sempre maggiore di prestazioni previdenziali, assistenziali e sanitarie, che in Italia ha significato un ingente numero di riforme statali.
È per questo motivo che, a partire dagli anni '90, abbiamo iniziato ad assistere a importanti riforme del sistema pensionistico: con il calo della natalità e l’aumento dell’aspettativa di vita ci si è accorti che il sistema vigente era insostenibile (semplificando, si iniziava a vivere più anni in pensione che in attività lavorativa, non vi era un numero sufficiente di giovani a sostituire gli anziani per pagare le pensioni e così via).
Sul piano sociale, in ultimo, non va dimenticato l’importante e fondamentale impegno che le famiglie assolvono in merito ai carichi di cura. Si invecchia di più, ma lo si fa nelle mura domestiche: poiché le persone vivono più a lungo e quindi hanno maggiori probabilità di sperimentare più malattie croniche, si prevede che un numero crescente di adulti dovrà affrontare la necessità di prendersi cura di parenti molto anziani e talvolta fragili. Ciò avviene particolarmente in Italia, dove l’assistenza è ancora un’attività prevalentemente relegata alla cerchia familiare.