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22 Aprile 2024
10:39

La storia oscura dei test del QI: le applicazioni eugenetiche

Il primo test per misurare l'intelligenza risale al 1905 e serviva per aiutare le scuole. Talvolta però i test per il QI sono stati usati con scopi dalla dubbia morale o addirittura eugenetici, dalla sterilizzazione forzata in Viriginia alla Guerra del Vietnam passando per la Germania nazista.

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La storia oscura dei test del QI: le applicazioni eugenetiche
IQ test usato per applicazioni eugenetiche
Immagine generata con AI.

Il test del quoziente intellettivo è uno strumento che valuta quantitativamente l'intelligenza generale di un individuo. Il primo test quantitativo fu ideato nel 1905 dai francesi Alfred Binet e Theodore Simon ed era pensato per i bambini con l'obiettivo di supportare il sistema educativo: lo scopo era individuare tramite la cosiddetta scala Binet-Simon i bambini che necessitavano un maggiore aiuto. Con il passare dei decenni cambiarono le scale e le formule (oggi il punteggio del QI segue deriva dal lavoro di Wechsler e fa corrispondere la misura media della popolazione al valore 100), ma il concetto di assegnare un numero all'intelligenza di una persona è in uso ancora oggi. Purtroppo, però, in alcune occasioni nel corso dell'ultimo secolo questa idea è stata usata per giustificare scelte politiche tutt'altro che etiche.

Nel 1924, per esempio, lo Stato della Virginia creò una legge che permise la sterilizzazione forzata di coloro che avessero ottenuto un basso punteggio ai test del QI. Il giurista della Corte Suprema Oliver Wendall Holmes affermò:

Anziché attendere che vengano eliminate a causa dei crimini che commetteranno in futuro o lasciare che muoiano di fame a causa della loro stupidità, sarebbe meglio per il mondo se la società prevenisse le nascite di chi non è adatto alla continuazione della specie. Tre generazioni di imbecilli sono abbastanza.

Le tesi eugenetiche americane furono molto apprezzate dalla Germania nazista, dove le persone con disabilità psichiche ritenute ereditarie vennero sterilizzate obbligatoriamente. Successivamente si passò allo sterminio vero e proprio di persone con un QI più basso, che lo psichiatra tedesco Alfred Hoche arrivò a definire «indegne di vivere». Al processo di Norimberga alcuni gerarchi nazisti giustificarono le loro azioni citando proprio la frase di Holmes.

Processo di Norimberga

Nel Dopoguerra, anche se negli anni ’50 psicologi e neuropsichiatri continuarono a utilizzare i test per comprendere se i loro pazienti avessero dei disturbi psichiatrici (scoprendo ben presto che le due cose non avevano nulla a che fare) fu proprio l’incrocio tra eugenetica e QI a far rivalutare la validità dei test.

Il primo impiego su larga scala del test per il QI a scopo di selezione avvenne negli USA (dove il test era stato tradotto in inglese e rielaborato di anno in anno), durante la Prima Guerra Mondiale, quando l’esercito lo utilizzò per selezionare le reclute per il ruolo di ufficiali nella Guerra del Vietnam. Sebbene l’esercito statunitense non accettasse reclute con un QI inferiore a 80, a quei tempi c’era bisogno del maggior numero di candidature possibili, quindi questo requisito diventò molto lasso.

Circa 5478 degli uomini reclutati con un QI basso (< 70-75) morirono in combattimento, più di 20.000 rimasero feriti e circa 500 subirono amputazioni. Il tasso di mortalità era 3 volte superiore rispetto a quello degli uomini con un QI nella media o più alto.

Vietnam War

All’epoca, in un'America fortemente razzista, fu molto forte l’influenza dell’eugenetica, ossia l’ideologia secondo la quale ci sono tratti genetici migliori di altri e che le persone che non li hanno non dovrebbero riprodursi. Tra questi tratti c’era anche l’intelligenza, che si pensava fosse ereditaria. In questo scenario, non stupisce scoprire che gli scienziati somministrarono i test a persone di etnia diversa con l’intento di dimostrare che c’erano gruppi etnici intellettualmente superiori ad altri.

I punteggi rivelarono ciò che gli scienziati si aspettavano: ebrei ashkenaziti e asiatici ottennero i punteggi più alti, al contrario di ispanici e afroamericani. Non si tenne in conto del fatto che i soggetti che avevano svolto il test avevano background familiari molto diversi, e che ispanici e afroamericani non avessero lo stesso tasso di scolarizzazione rispetto ai primi, e soprattutto che molti di loro non conoscevano bene l’inglese.

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Veronica Miglio
Storyteller
Innamorata delle parole sin da bambina, ho scelto il corso di lingue straniere per poter parlare quante più lingue possibili, e ho dato sfogo alla mia vena loquace grazie alla radio universitaria. Amo raccontare curiosità randomiche, la storia, l’entomologia e la musica, soprattutto grunge e anni ‘60. Vivo di corsa ma trovo sempre il tempo per scattare una fotografia!
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