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Imparare una nuova lingua può essere una sfida entusiasmante, ma alcune risultano particolarmente complesse da padroneggiare. Premesso che la difficoltà nell'apprendere una lingua dipende anche dalla propria lingua madre, le lingue neolatine come l'italiano, il francese e lo spagnolo presentano diverse similitudini, rendendo l'apprendimento reciproco più agevole. In questo articolo esploreremo le lingue considerate tra le più difficili al mondo: cinese mandarino, arabo, giapponese, russo, polacco, coreano e ungherese, ognuna con le proprie peculiarità che mettono alla prova anche gli studenti più motivati. Infatti imparare una nuova lingua e riuscire a comunicare con culture differenti dalla propria, per quanto affascinate, è un processo che va ben oltre la semplice acquisizione di vocaboli o regole grammaticali: significa aprirsi a una nuova visione del mondo, scoprire modi diversi di pensare, esprimere emozioni e concetti.
Cinese mandarino

Il cinese mandarino è spesso considerato la lingua più difficile al mondo. Innanzitutto per una questione legata al sistema di scrittura: si basa su un vasto numero di caratteri (hànzì) ognuno dei quali ha un significato e una pronuncia specifici, rendendone la memorizzazione una sfida importante, soprattutto per chi è abituato agli alfabeti fonetici come quelli delle lingue neolatine (ad esempio l’italiano). Un’ulteriore sfida è rappresentata dal fatto che il mandarino sia una lingua tonale, cioè una lingua in cui la variazione di tono di una stessa sillaba ne determina il significato o l'appartenenza ad una classe grammaticale, con quattro toni principali che possono cambiare completamente il significato di una parola. Un esempio? La sillaba "ma" può significare più cose a seconda del tono utilizzato. Nel pratico: se pronunciata col primo tono, mā, può significare "mamma" (妈); se pronunciata col secondo tono, má, rimanda a "canapa" (麻); se pronunciata col terzo tono, mǎ, corrisponde a "cavallo" (马); se pronunciata col quarto tono, mà, significa "insultare" (骂). Queste sono alcune delle caratteristiche che ne rendono comprensione e produzione verbale particolarmente ostica per i non nativi.
Arabo

Per un madrelingua italiano, sebbene molte parole del nostro vocabolario si somiglino per provenienza diretta, l’arabo è un'altra lingua estremamente complessa da imparare. Il suo alfabeto è completamente diverso dal nostro: è composto da 28 lettere che cambiano forma a seconda della loro posizione nella parola (iniziale, mediale o finale). Inoltre, si scrive da destra a sinistra e la pronuncia include suoni che in italiano non esistono, come "ع" (‘ayn) e "ح" (ḥā’). Anche la grammatica araba presenta una notevole complessità, basandosi su un sistema di radici trilittere da cui derivano molte parole con significati diversi a seconda delle vocalizzazioni.
Giapponese

È un errore comune pensare che il cinese e il giapponese siano due lingue molto simili ma, tolte alcune analogie di superficie, si rivelano completamente diverse a partire dalle famiglie di appartenenza: il cinese appartiene alle lingue sino-tibetane, il giapponese invece sfugge a classificazioni nette. Alcuni linguisti la considerano parte della famiglia atlaica, anche se è una teoria molto discussa, altri invece la vedono come una lingua isolata, che non ha legami chiari con altre famiglie linguistiche. Il giapponese è noto per la sua complessità, derivante principalmente dal sistema di scrittura che combina tre diversi alfabeti: hiragana, katakana e kanji. I kanji, in particolare, sono ideogrammi di origine cinese che richiedono una memorizzazione significativa dei loro tratti e significati: ne esistono migliaia e, per essere considerati alfabetizzati in Giappone, è necessario conoscerne almeno 2.000. Ciascun carattere può avere più letture: l’on’yomi, di derivazione cinese, e la kun’yomi, di origine giapponese, il che ne rende l’apprendimento ancora più complesso. La grammatica giapponese differisce dall'italiano, perché presenta una struttura della frase soggetto-oggetto-verbo e l'uso di particelle per indicare le funzioni grammaticali, ad esempio “は” (wa) per il soggetto, “を” (wo) per l'oggetto diretto, e “に” (ni) per indicare il destinatario o la direzione. Un uso errato delle particelle può cambiare completamente il significato di una frase.
Russo
Il russo rappresenta una sfida importante per gli italiani principalmente a causa dell'alfabeto cirillico e della complessità grammaticale. L'alfabeto cirillico è composto da 33 lettere che, sebbene in alcuni casi assomiglino a quelle latine, spesso codificano suoni diversi. Ad esempio la lettera “В” che si pronuncia come una “V”, e la “Р” corrisponde a una “R”. Grammaticalmente, la lingua russa utilizza sei casi grammaticali e tre generi, che richiedono una comprensione approfondita delle declinazioni. Per quanto riguarda i verbi si distingue un aspetto perfettivo e imperfettivo, aspetti che indicano se un'azione è completata o in corso. Questo concetto non ha un riscontro diretto in italiano, il che ne rende l’apprendimento particolarmente impegnativo.
Polacco
Il polacco fa parte delle lingue slave occidentali ed è strettamente legato al ceco e allo slovacco. La sua difficoltà principale risiede nella fonologia e nella grammatica articolata. È vero che il polacco utilizza l'alfabeto latino, ma con l'aggiunta di segni diacritici che modificano la pronuncia delle lettere, come ł, ż e ń. La pronuncia presenta suoni difficili da replicare per un italiano, come i gruppi consonantici complessi (“cz”, “sz”, “rz”) e le vocali nasali (ą, ę). La grammatica polacca prevede sette casi (nominativo, genitivo, dativo, accusativo, strumentale, locativo e vocativo) che richiedono la modifica delle desinenze dei sostantivi, aggettivi e pronomi. Inoltre, altra differenza con l’italiano, il polacco distingue tre generi grammaticali (maschile, femminile e neutro). Il vocabolario è in gran parte slavo, con alcune influenze dal latino e dal tedesco, ma resta poco familiare per un italiano.
Coreano

Il coreano è un’altra lingua estremamente complessa da imparare, anche se presenta alcune caratteristiche che ne facilitano l’apprendimento. Innanzitutto utilizza l'Hangul, un alfabeto coniato nel XV secolo e composto da 14 consonanti e 10 vocali base, ogni carattere identifica un suono e i simboli vengono combinati in blocchi sillabici. Questo significa che la scrittura è relativamente semplice da imparare, ma la complessità linguistica risiede altrove: nella grammatica. Come il giapponese, anche il coreano segue l'ordine soggetto-oggetto-verbo (SOV). Inoltre, i verbi coreani si coniugano in base al tempo, all'aspetto e al livello di formalità. L’uso corretto dei registri di cortesia infatti è imprescindibile nelle interazioni quotidiane. Il sistema di cortesia coreano ricorda per certi versi quello giapponese, con gradi di formalità che devono essere usati in base all’età, al contesto e al rapporto tra i parlanti. Un ulteriore elemento di complessità è aggiunto dai suoni che possono risultare difficili per un italiano, come le consonanti aspirate e le doppie consonanti, che cambiano il significato delle parole; anche il sistema di intonazione può influenzare la comprensione.
Ungherese
L’ungherese appartiene al ramo ugro-finnico della famiglia delle lingue uraliche, il che lo rende completamente diverso dalle lingue neolatine come l'italiano. Ciò significa che l'ungherese ha ben poche somiglianze con le lingue dell'Europa occidentale, sia dal punto di vista grammaticale che lessicale. Una delle principali differenze è l'assenza di distinzione tra generi grammaticali, caratteristica che potrebbe sembrare una semplificazione, ma in realtà sposta la complessità su altri aspetti della lingua: ad esempio, l'ungherese ha ben 18 casi grammaticali, che richiedono una grande attenzione alle declinazioni e possono risultare difficili da padroneggiare. Anche la pronuncia presenta delle difficoltà: sono infatti inclusi suoni vocalici e consonantici che non esistono in italiano, come le vocali lunghe e brevi, le cui differenze possono cambiare completamente il significato delle parole. Inoltre, l'ordine delle parole è più flessibile rispetto all'italiano, una flessibilità che comporta la necessità di una conoscenza approfondita dei casi grammaticali e delle regole sintattiche per costruire frasi corrette.