Un nuovo studio dell'INGV ha indagato l'origine dei flussi di anidride carbonica emessi dai Campi Flegrei. Questo lavoro, pubblicato sulla rivista Geology il 2 marzo 2023, ha permesso di ottenere importanti informazioni sul degassamento magmatico – come ad esempio il fatto che il 20-40% della CO2 prodotta non è di origine magmatica. Questo, come vedremo, ha importanti implicazioni per ciò che riguarda lo studio dei segnali precursori delle eruzioni.
Le emissioni di CO2 nei Campi Flegrei
Facciamo un piccolo passo indietro. La caldera dei Campi Flegrei emette ogni giorni grandi quantità di anidride carbonica, specialmente in corrispondenza della Solfatara di Pozzuoli. Questi valori sono progressivamente aumentati nel tempo e sono coerenti con l'inizio della recente crisi bradisismica, iniziata nel 2005 e tutt'ora in corso. Si tratta di un periodo di lento innalzamento del suolo al quale sono associate non solo emissioni sempre più importanti di CO2 ma anche scosse di terremoto di media-bassa intensità.
I flussi di CO2 attualmente sono compresi tra le 3000 e le 5000 tonnellate al giorno, anche se si tratta di valori in costante aumento. Ma per quale motivo c'è così tanta attenzione nei confronti della CO2?
L'aumento dell'anidride carbonica come segno precursore
Nei periodi che precedono le eruzioni vulcaniche è possibile osservare un aumento della percentuale di CO2 tra i gas emessi dal vulcano – visto che l'anidride carbonica è la seconda specie volatile contenuta nel magma dopo l'acqua. Il nuovo studio però ha osservato come nei Campi Flegrei una buona fetta di questa CO2 – tra il 20 e il 40% circa – non sia legata direttamente al magma. Si tratterebbe infatti della dissoluzione della calcite idrotermale presente nelle rocce del sottosuolo flegreo, come confermato anche dall'autore Gianmarco Buono.
Questa roccia infatti quando entra in contatto con i fluidi idrotermali è in grado di formare CO2: questa si va poi a sommare a quella emessa dalla massa magmatica.
Questi risultati sono importanti perché permettono di comprendere al meglio i segnali premonitori di un'eruzione vulcanica e non è da escludere che lo stesso modello possa essere applicato anche ad altri vulcani nel mondo.