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I luoghi abbandonati esercitano su di noi una forte attrazione per la loro capacità di evocare emozioni complesse: un misto di nostalgia, inquietudine e adrenalina, innescato da diversi fattori oggetto di studio. Le architetture fatiscenti, dai borghi fantasma ai manicomi dismessi, sono infatti testimoni di un tempo ormai perduto e raccontano storie di trasformazioni economiche, sociali e culturali in grado di catturare l’immaginario collettivo. Da queste immagini cariche di decadenza nasce l’abandonalism, ovvero l’interesse crescente, ormai diffuso su scala globale, per le rovine: un fenomeno culturale che trova ampia espressione nella fotografia e nell’esplorazione urbana.
Cosa dicono gli studi sull'abandonalism
Esistono ragioni psicologiche, estetiche e filosofiche che spiegano la nostra attrazione verso i luoghi abbandonati. Sul piano emotivo, diversi studiosi osservano che davanti a edifici decadenti sperimentiamo emozioni contrastanti, come timore e curiosità. Può emergere anche un senso di nostalgia, suscitato dalla percezione di un passato ancora tangibile, dalle tracce lasciate da chi ha vissuto o abitato certi spazi, o dal riaffiorare di ricordi personali. A ciò si aggiunge anche una componente di adrenalina, dovuta all’eccitazione che si prova nell’addentarsi in luoghi sconosciuti o, clandestinamente, laddove sarebbe proibito. Le architetture abbandonate incarnano poi la malinconica bellezza dell’imperfezione e ci intrigano perché sono il riflesso materiale del tempo, dei suoi effetti e delle sue erosioni. Come ha dichiarato Sonia Paone, docente di sociologia urbana all’Università di Pisa:
Le rovine hanno sempre avuto un fascino perché alludono alla transitorietà dell’opera umana, all’inesorabile trascorrere del tempo, alla caducità delle cose. Oggi la tragicità cosmica di una natura che potrebbe riprendere il sopravvento fa sì che le rovine del tempo presente siano fonte di ispirazione.
È un concetto che ritroviamo nella cultura giapponese che da secoli celebra questa estetica attraverso la filosofia wabi-sabi, arte fondata sull'accettazione della transitorietà e dell'imperfezione delle cose.

Estetica e viralità: come è diventato una tendenza social
Sempre più persone, armate di macchina fotografica o smartphone, e spesso incuranti del pericolo, vanno “a caccia” di edifici in disuso e architetture dimenticate che, per naturale conseguenza, rivivono oggi anche sui social network. Immortalati in milioni di contenuti, provenienti da tutto il mondo e raccolti in pagine e hashtag dedicati, questi luoghi diventano anche destinazioni turistiche alternative, suggestivi set per campagne pubblicitarie e film, e perfino scenografie ricercate per sfilate di moda. È quanto emerge da uno studio condotto da Espresso Communication per Galleria Battilossi su oltre 30 testate internazionali dedicate a lifestyle e tendenze nei campi del fashion, del food, del design e dell’arte.
I luoghi abbandonati più famosi nel mondo e in Italia
Dalle ghost town americane, come Bodie in California e Virginia City in Nevada, alle rovine sparse in Asia e in Europa, i luoghi abbandonati costellano ogni angolo del pianeta. Uno dei casi più sorprendenti è quello di Burj Al Babas, in Turchia, complesso fantasma in cui giacciono inutilizzati 587 castelli identici in stile Disney. Altrettanto nota è Pripyat, la città ucraina evacuata dopo il disastro di Chernobyl del 1986 e diventata negli ultimi anni, prima del conflitto, una meta turistica per viaggiatori in cerca di emozioni forti. Qui la ruota panoramica abbandonata e le scuole deserte sono ormai icone riconoscibili, protagoniste di innumerevoli fotografie condivise online. Anche l’Italia vanta un gran numero di strutture abbandonate: un ricchissimo patrimonio di palazzi e dimore storiche fatiscenti, edifici industriali dismessi a causa dell'evoluzione tecnologica, e borghi disabitati in seguito a calamità o spopolamento, spesso poco conosciuti al grande pubblico ma ben noti agli appassionati di urban exploration. Fra gli esempi più celebri, Consonno in Lombardia, frazione che negli anni ’60 un eccentrico imprenditore trasformò in una sorta di “Las Vegas italiana”, il borgo medievale di Craco in Basilicata, evacuato negli stessi anni per una frana e mai più ripopolato, e i villaggi operai disabitati del Sulcis-Iglesiente, in Sardegna, che conservano la memoria della diffusa attività mineraria che caratterizzò a lungo l’area.

La sfida del riuso adattivo
Molti edifici in Italia sono stati abbandonati a seguito di trasformazioni legislative, storiche e socioculturali che ne hanno determinato una rapida e improvvisa obsolescenza. È il caso degli ospedali psichiatrici, aboliti con la Legge Basaglia che nel 1978 riformò il sistema di cura per il disagio mentale, e dei numerosi sanatori che furono gradualmente dismessi, o convertiti in strutture sanitarie alternative, con il drastico calo dell’incidenza della tubercolosi polmonare. Un'altra interessante categoria è quella delle colonie estive, costruite durante il ventennio fascista per offrire soggiorni estivi organizzati a migliaia di bambini e chiuse nel dopoguerra a causa dell'elevato costo di gestione, delle nuove politiche sociali e del cambiamento nelle abitudini vacanziere degli italiani. Analogamente, la dismissione di impianti militari, derivata dalla smilitarizzazione di molte aree strategiche, lascia sul territorio ulteriori silenziose testimonianze di un’epoca ormai conclusa.
Per quanto il fascino dell’abbandono sia indiscutibile, è altrettanto importante, laddove possibile, ripensare il futuro delle strutture in disuso attraverso progetti mirati di riuso adattivo. Farlo significa affrontare una sfida che va ben oltre il semplice recupero architettonico: vuol dire riconoscere il valore della memoria collettiva e creare un dialogo tra passato e futuro. Immaginare nuove prospettive e destinazioni d’uso, capaci di rispettare la storia e valorizzare l’identità di questi luoghi, restituirebbe alle nostre città un patrimonio preziosissimo.