
L’ultimo weekend di ottobre per gli amanti dello sci ha un significato speciale: è iniziata la Coppa del Mondo di sci alpino con il doppio slalom gigante (maschile e femminile) di Sölden, sul ghiacciaio Rettenbach, in Austria. Un ghiacciaio che, come tanti altri, sta soffrendo moltissimo le temperature ogni anno più alte e gli inverni che non sembrano mai davvero arrivare, e che, come tante altre piste da sci di Coppa del Mondo, sfrutta le più recenti tecnologie per evitare di scomparire come l’utilizzo di teli termici che riflettono i raggi del Sole (con cui il ghiacciaio viene coperto durante i mesi più caldi), o lo snow-farming, la tecnica attraverso cui la neve invernale viene prelevata e stoccata ad alta quota per poi essere riutilizzata d’inverno.
Due tecniche che se da un lato permettono di garantire una stagione stabile a sciatori professionisti e non, dall’altro fanno capire quanto corta sia la coperta degli sport invernali e di come sia sempre più complesso garantire la presenza della neve, un elemento che non è più scontato, ma un bene che va amministrato, prodotto, difeso. Lo sci agonistico dipende sempre più da interventi tecnologici e logistici per esistere. E questo cambia la natura stessa delle gare: non sono più solo sfide tra atleti, ma anche tra organizzatori che hanno a che fare con un sistema sempre più fragile che andrebbe radicalmente rivisto.
Nella Coppa del Mondo di sci alpino le cancellazioni o i rinvii delle gare hanno smesso di essere eventi occasionali per diventare un elemento ricorrente nelle ultime stagioni. Decine di località colpite dal maltempo o dalla mancanza di condizioni idonee, appuntamenti storici saltati a causa di precipitazioni fuori stagione, temperature troppo alte o bufere che hanno reso le piste pericolose. La tendenza è evidente: le gare vengono cancellate non più per singoli eventi eccezionali ma per una variabilità delle condizioni climatiche che si è fatta strutturale.
La Coppa del Mondo di sci alpino 25/26 e l'attivismo degli atleti
La Coppa del Mondo di sci alpino, organizzata dalla Federazione Internazionale Sci e Snowboard (FIS), si svolge ogni anno da fine ottobre a marzo e prevede gare in diverse località sparse per il mondo, assegnando punti in base ai piazzamenti in ogni disciplina (discesa libera, super gigante, slalom gigante, slalom speciale). Alla fine della stagione, chi ha accumulato più punti vince la Coppa del Mondo generale, oltre alle coppe di specialità dedicate ai migliori di ogni singola disciplina. Le prime gare di slalom gigante sul ghiacciaio del Rettenbach a Sölden hanno visto la vittoria dell'austriaca Julia Scheib nel femminile (con l'uscita di Sofia Goggia nella prima manche) e dello svizzero Marco Odermatt nel maschile. Il prossimo appuntamento è previsto per il weekend del 16-17 novembre a Levi, in Finlandia, dove si disputeranno le gare di slalom speciale.
Il calendario di Coppa del Mondo, tuttavia, è sempre più soggetto all'incognita del meteo: le cancellazioni e i rinvii sono diventati una costante nelle ultime stagioni. Temperature troppo alte e mancanza di neve evidenziano come la variabilità climatica sia ormai un fattore che minaccia la regolarità del circuito.
La reazione più significativa è venuta da dentro, dagli atleti stessi. Nel 2023 oltre 500 sciatori professionisti hanno firmato una lettera indirizzata alla FIS chiedendo misure concrete per adeguarsi alla crisi climatica e cercare di ridurre l’impatto dello sport sulle montagne che ospitano queste discipline: un calendario ridisegnato per ridurre al minimo i grandi spostamenti e minimizzare quindi le emissioni, una strategia di sostenibilità che punti a compensare le emissioni di anidride carbonica prodotte (il cosiddetto net-zero), e una maggior trasparenza nell’impatto ambientale con obiettivi vincolanti, in modo da poter salvare uno sport che sembra destinato a morire.
L’iniziativa, promossa dall’ex sciatore professionista e attivista Julian Schütter e sostenuta dall’organizzazione no-profit Protect Our Winters, fondata dall’ex snowboarder Jeremy Jones, ha raccolto decine di migliaia di firme: non è più solo una presa di posizione simbolica, è un movimento concreto che vuole cambiare le regole del gioco. Questo attivismo, sostenuto in prima linea dagli atleti stessi, ha cambiato il dibattito: negli uffici federali ora non si parla più solo di piste e commissari, ma anche di scienza climatica, obiettivi di compensazione della CO₂ e di quali gare abbiano ancora senso a livello geografico.
L’importanza della neve artificiale per lo sci alpino: ma a che prezzo?
In tutto ciò recita ogni anno di più un ruolo fondamentale l’utilizzo della neve artificiale: da un lato essenziale, dall’altro in contrasto con “l’impatto zero”. La neve artificiale infatti non solo garantisce piste innevate anche in assenza di precipitazioni, ma diventa imprescindibile nella preparazione delle piste di Coppa del Mondo per garantire condizioni uniformi e sicure per tutti gli atleti, e fare in modo che si possa iniziare a lavorare sulla pista per prepararla alla gara con largo anticipo.
Nonostante le tecnologie sempre più all’avanguardia, i cannoni da neve non possono funzionare con temperature superiori a 1°C. Con l’innalzamento delle temperature, la “soglia dello zero termico” potrebbe salire dagli attuali 850 metri a 1.500 metri entro il 2060, rendendo problematica la preparazione di piste da sci a quote medie e basse. Inoltre, l’energia necessaria per far funzionare i cannoni e l’impiego massiccio di acqua rende questo sistema insostenibile nel lungo periodo, seppur sempre più utilizzato e foraggiato da finanziamenti pubblici per mantenere in vita comprensori sciistici che sarebbero già chiusi da tempo se dovessero sfruttare la sola neve naturale per le proprie piste.

A tal proposito, uno studio dell’Università di Waterloo ha evidenziato come, se le emissioni dovessero continuare a far innalzare la temperatura del pianeta, molti luoghi che hanno ospitato in passato le Olimpiadi invernali non potrebbero più ospitarle per mancanza di neve. Pensare alle Olimpiadi del futuro significherà chiedersi dove sarà rimasta abbastanza neve naturale, dove si potrà ancora garantire agli atleti condizioni eque e sicure e quanto costerà rendere artificiale quello che la natura non regala più.
Il ragionamento è semplice: le gare di sci richiedono un certo numero di giorni con copertura nevosa adeguata e temperature favorevoli. Se quel “serbatoio” si restringe, la scelta delle sedi si restringe su aree più alte o con specifiche caratteristiche climatiche. La conseguenza sarebbe uno sport sempre più concentrato su poche località ad alta quota, o su impianti estremamente “artificializzati”.
Il programma “FIS Impact” e le prospettive future per la coppa del mondo di sci alpino
Di fronte a questa emergenza, la FIS ha messo sul tavolo strumenti e impegni. La scorsa stagione è stato presentato l’“Impact Programme”, una roadmap che prevede, tra le altre cose, la riduzione delle emissioni del 50% entro il 2030 e l’obiettivo net-zero per le attività FIS entro il 2040, compensando quindi la totalità di gas serra emessi. La Federazione ha anche avviato una collaborazione tecnica con l’Organizzazione Meteorologica Mondiale per migliorare la previsione e la gestione delle condizioni per le gare. Questi primi passi rappresentano un enorme cambiamento di linguaggio e di prassi rispetto al passato, spinto dalle migliaia di firme raccolte da atleti ed appassionati, i quali però ritengono che la misura non sia ancora sufficiente, sottolineando la necessità di obiettivi più vincolanti e soprattutto come non sia sufficiente “fare qualcosa” per “fare abbastanza”.
Considerando la situazione attuale, si può ipotizzare quale sarà il futuro degli sport invernali secondo due scenari, uno ottimistico e uno pessimistico. Nello scenario ottimistico, l’umanità riuscirà a limitare il riscaldamento globale a meno di 2°C, come previsto dagli Accordi di Parigi, e la maggior parte dei luoghi che hanno ospitato in passato le Olimpiadi Invernali rimarrà climaticamente affidabile almeno fino al 2050, garantendo tempo sufficiente per sviluppare tecnologie e strategie di adattamento.
Nello scenario pessimistico, con un aumento delle temperature di 4°C rispetto ai livelli pre-industriali, non solo gli impatti climatici sarebbero catastrofici per tutto il pianeta, ma solo le località sopra i 2.400 metri potrebbero contare su innevamento naturale sufficiente, rendendo estremamente complicata la pratica degli sport invernali.