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18 Aprile 2025
20:30

La storia della città perduta di Ubar, l’Atlantide delle Sabbie: quando l’archeologia incontra il mito

Ubar, l’“Atlantide del Deserto”, fu un florido centro sulla Via dell’Incenso. Detta anche "Iram dei Pilastri" o "Iram delle colonne", scomparve sotto le sabbie dell’Oman e fu riscoperta nel 1992 grazie a immagini satellitari: una storia che unisce mito, commercio e archeologia in un affascinante racconto di riscoperta.

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La storia della città perduta di Ubar, l’Atlantide delle Sabbie: quando l’archeologia incontra il mito
ubar

Ubar, chiamata "Atlantide delle Sabbie”, è la protagonista di un mito rivelatosi sorprendentemente reale. Si trattava di una città splendente e ricca, fulcro di antichi commerci, crocevia di culture affacciato sulla storica Via dell’Incenso. Un luogo che, come la leggendaria Atlantide che venne sommersa dalle acque, svanisce nel nulla, inghiottito dalle sabbie e dal silenzio. Conosciuta anche come "Iram dei Pilastri" o "Iram delle colonne", questa città perduta della Penisola Araba, si trova nell'attuale Oman, a 1 040 km a sud di Muscat, nella regione sud-occidentale del Paese in corrispondenza di Shisr, un villaggio vicino al confine con lo Yemen, nella provincia del Dhofar.

L'Iram dei Pilastri, tra leggenda e realtà

Per secoli, il nome di Ubar ha danzato tra leggenda e realtà: i racconti la dipingevano come una città molto ricca, una stazione fondamentale lungo la Via dell’Incenso, dove carovane cariche di spezie, mirra e incenso facevano tappa nel loro viaggio dall’Arabia verso le grandi civiltà dell’Egitto, della Mesopotamia e dell’India. Il suo controllo su questo commercio vitale la rese un centro strategico e prospero, crocevia di genti, lingue e tradizioni. Ma proprio come Atlantide, anche Ubar scomparve, dissolvendosi nel tempo e nella leggenda.

antica città di ubar

La città viene anche chiamata “Iram dai Pilastri”, e con tale nome è menzionata nel Corano che la colloca nel Rubʿ al-Khālī, il vasto e inospitale “Quarto Vuoto” della Penisola Arabica. Le fonti arabe più antiche la descrivono come una città mercantile del deserto, forse esistita tra il 3000 a.C. e il I secolo d.C. e persino T.E. Lawrence, il celebre Lawrence d’Arabia, pare ne fu affascinato tanto da definirla “l’Atlantide del Deserto”, la qual cosa alimentò il mistero che la circondava.

Gli scavi archeologici e la scoperta

La svolta arrivò solo nel 1992, quando un’équipe di scienziati, archeologi e tecnologi decise di passare dalla leggenda alla ricerca concreta. Grazie all’utilizzo di immagini satellitari e tecniche di telerilevamento, furono individuate tracce compatibili con antiche vie carovaniere e con i profili geologici evocati nelle descrizioni tradizionali. A capo della spedizione c’era l’archeologo Dr. Juris Zarins, che condusse gli scavi in una delle zone più proibitive della Terra. Le scoperte furono eccezionali: una fortezza centrale, quartieri residenziali, pozzi d’acqua e una complessa rete di strade emersero dalle sabbie.

iram dei pilastri

Ma l’aspetto più affascinante (e tragico) riguardava ciò che si trovava sotto la città: un intricato sistema di caverne calcaree, contenenti una preziosa riserva d’acqua sotterranea, vitale per la sopravvivenza di Ubar nel deserto. Tuttavia, il suo stesso tesoro fu anche la sua condanna. Con il tempo, e forse a causa dell’uso eccessivo della falda, queste caverne collassarono, portando con sé le strutture sovrastanti. La città sprofondò letteralmente nel suolo, in un destino che richiama in maniera inquietante quello della mitica Atlantide.

L’intuizione di Sir. Ranulph Fiennes

A rendere ancora più epica la vicenda fu il ruolo di Sir. Ranulph Fiennes, leggendario esploratore britannico definito dal Guinness dei Primati come il “più grande esploratore vivente”. Celebre per le sue imprese ai limiti dell’estremo, come il giro del mondo “in verticale”, toccando entrambi i poli, Fiennes dedicò anni e otto spedizioni alla ricerca di Ubar. La sua tenacia fu premiata in modo tanto casuale quanto provvidenziale: raccontò infatti che, dopo giorni di scavi e ricerche, durante una conversazione sentì alcuni funzionari omaniti mettere in dubbio la serietà dell’impegno della spedizione. Spinto dall’orgoglio e dall’intuito, esortò Zarins ad avviare scavi immediati proprio nei pressi del campo base, dove si trovava una sorgente d’acqua.

Ranulph Fiennes
Sir. Ranulph Fiennes, Credit: David Levenson/Getty Images

Tre giorni dopo, accadde qualcosa di straordinario: venne alla luce una scacchiera di ceramica risalente a circa 2000 anni fa. Un oggetto semplice, ma rivelatore: era infatti la prova materiale dell’esistenza di un insediamento umano nel luogo esatto che la leggenda indicava. Fiennes documentò questa avventura nel suo libro "Atlantis of the Sands", contribuendo a diffondere la leggenda di Ubar nel mondo.

La Via dell’Incenso come snodo commerciale e culturale

La riscoperta di Ubar confermò quanto la cultura araba pre-islamica fosse avanzata, organizzata e in profondo dialogo con il resto del mondo antico, offrendo inoltre nuovi indizi sul ruolo della Via dell’Incenso come arteria fondamentale di scambi commerciali, culturali e spirituali. Alcuni studiosi, nel confronto con altri siti dell’antica Arabia meridionale, come Mar'ib e Shabwa, hanno sottolineato somiglianze sorprendenti. In effetti anche queste città, oggi ridotte a rovine nel deserto, prosperarono grazie al commercio e si distinguevano per soluzioni architettoniche complesse. Le loro storie, al pari di quella di Ubar, ci parlano di una Penisola Arabica un tempo più fertile, ricca e dinamica, oggi irriconoscibile a causa dei profondi mutamenti climatici avvenuti nei millenni.

Fonti
La Stampa Lonely Planet
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